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PETTINENGO (DE GENOVA DI) Ignazio

28 febbraio 1813 - 02 novembre 1896 Nominato il 12 marzo 1868 per la categoria 03 - I deputati dopo tre legislature o sei anni di esercizio e per la categoria 05 - I ministri segretari di Stato e per la categoria 14 - Gli ufficiali generali di terra e di mare. Tuttavia i maggiori generali e i contrammiragli dovranno avere da cinque anni quel grado in attività provenienza Piemonte

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Domenico Farini, Presidente

Signori senatori! Pia e civile usanza richiama sul mesto mio labbro i pregi che adornarono, il bene che i colleghi estinti durante la proroga della sessione, vivendo operarono. [...]
Uno degli ufficiali che meglio intesero e più assecondarono Alfonso Lamarmora nel rinnovamento dell'esercito piemontese, fu il conte Ignazio de Genova di Pettinengo, morto il 2 di novembre presso Moncalieri nell'età di ottantatré anni, otto mesi, due giorni, col grado di tenente generale conseguito trentasei anni addietro.
Nato a Biella di nobile famiglia si educò alle armi nell'Accademia militare di Torino, dove, assieme a tanti altri venuti in fama, ebbe compagni ed amici il Lamarmora ed il Cavour.
Ufficiale d'artiglieria, già nei gradi inferiore era pregiato; tant'è che nel 1848, benché soltanto capitano, venne incaricato di organare l'artiglieria lombarda. Occorreva chi la rigidità della disciplina temperasse colle maniere; ci voleva tale che tirasse gli animi colla caldezza del sentire; vi bisognava chi dicesse in modo da essere compreso, chi sapesse fare in guisa da essere assecondato. In breve tempo diede ordine e forma a quel corpo e ne fu capo come tenente colonnello e colonnello, rivelando attitudini di organizzatore, di amministratore, di comandante, tali che sui primi del 1849 lo elevarono al congresso consultivo permanente e, dopo Novara, al segretariato generale del Ministero della guerra.
Per due anni comandante in secondo dell'Accademia militare, più tardi quale maggior generale la governò. Nel primo stadio aveva dato, all'educazione ed all'insegnamento, indirizzo conforme ai tempi sciogliendoli da pastoie, tagliando corto ai mali usi ed abusi; facendo sì che uno spirito nuovo penetrasse ed alitasse dove rimaneva la memoria, se non il rammarico, dei perduti privilegi. Nel secondo, durato l'anno che precedette la guerra del 1859, represse disordini, restaurò la scaduta disciplina; alle regole, alla disciplina all'andamento dell'Istituto, fatto per imbrigliare fanciulli sostituì nuove norme adatte a correggere giovani di sé consci e responsabili: un collegio di minorenni trasformò in un Istituto di soldati.
Allevato io alla prima scuola torna oggi innanzi a me il superiore amorevole che colle maniere dignitose e i nobili sentimenti cercava la via ai nostri cuori, ci parlava della patria e del Re, ci esortava, ci ammoniva, ci spronava. E ricordando Ignazio di Pettinengo, di più d'uno di noi educatore, negli anni in cui le miserie d'Italia ci conducevano da ogni provincia a Torino agli studi militari, e ci cresimavano a future lotte ed a nuova vendetta, non so sottrarmi ad una profonda commozione. Quei primi anni furono seme del nostro avvenire; da quella educazione io ripeto gli uffici a cui una grande fortuna ed una maggiore benevolenza mi sollevarono: a me, chiamato a dire di lui da questo seggio, non si vieti, di rendere alla sua memoria omaggio di gratitudine. (Approvazioni).
Intendente generale d'Armata, poi direttore generale nel Ministero della guerra per sette anni, fu il nostro cinque volte commissario regio presso i due rami del Parlamento, per difendere bilanci e leggi militari. Del laberinto amministrativo buon conoscitore, ne manifestava la pratica col discorso abbondante e scorrevole più che nei primi tempi della vita parlamentare non si udisse, sovratutto fra gli ufficiali. Quella pratica rincalzata da sagace previdenza fu più volte riconosciuta, più volte ricompensata: cito solo la commenda dell'ordine militare di Savoia, che premiò gli eminenti servizi di lui nell'allestire e mantenere provveduta dalla opportuna suppellettile, la spedizione d'Oriente.
Valoroso, quanto intelligente e culto, nella terza guerra d'indipendenza, guidando la brigata Casale, guadagnò un'altra medaglia al valore; la prima da dieci anni, dal 23 marzo 1849, brillava sul suo petto. Se n'erano ammirate le saggie disposizioni nei ripetuti assalti; cadutogli ucciso sotto il cavallo, lo si vide a spada sguainata incoraggiare, trascinare i suoi fantaccini sulla fulminata erta di San martino: per nota di perizia e di prodezza un maggiore premio gli sarebbe spettato, se già non l'avesse avuto. Luogotenente generale dal settembre 1860, emerse in tutti gli incarichi, in tutti i comandi avuti prima d'essere collocato a riposo il novembre 1877. In questi diciassette anni ora diresse l'Amministrazione militare, ora le armi speciali; quando ispettore, quando membro o presidente del Consiglio sugli istituti militari; a volte il Comitato delle varie armi, a volte la Commissione permanente di difesa si valsero delle sue cognizioni. Comandò le divisioni di Genova, di Torino, di Napoli, dove poi fu, per oltre quattro anni, comandante generale: la presidenza del Comitato dei carabinieri chiuse la bella carriera. Ne erano stati corona due altissimi uffici, politici e militari insieme, nei quali, ragione fatta delle difficoltà, non venne meno.
Alludo alla luogotenenza del Re nelle provincie siciliane, tenuta fra lo scorcio del 1861 e la primavera successiva: dico il Ministero della guerra, retto dal dicembre 1865 all'agosto 1866. La pubblica opinione ondeggiante, sbattuta fra le strettezze della finanza e le audacie politiche; il Parlamento esitante, non franco sulla via del raccoglimento e nemmeno risoluto alla guerra per la Venezia; una lusinga di spontaneo abbandono, di pacifico acquisto; un lento, incerto negoziato di una nuova alleanza, da dissimulare con circospetta industria, misero a dura prova il ministro della guerra e l'esercito. Riduzione di organici e di soldati; cavalli venduti; leva non descritta; affannosa ricerca, larga promessa di economie nei primi tre mesi: dal marzo, tutto l'ampliamento dei quadri e l'aumento dei soldati; tutte le compere, tutto l'affrettato apparecchio imposto dalla guerra incalzante, presentita lunga e grossa, affrontata con fermissima fede di vittoria; che fu breve e disgraziata. Trista condizione, distretta tristissima, per uscire dalla quale con successo il ministro usò mente, vigoria, nulla risparmiò; né del non averlo conseguito equità vuole non si faccia rimprovero a lui, a lui solo.
Senatore del Regno dal marzo 1868, come già nell'altra Camera, in cui rappresentò il collegio di Fossano per due legislature (VIII-IX), anche in questa trattò in ispecie dell'organamento e dell'amministrazione militare. Da vent'anni non s'udiva più la sua voce, anzi da un pezzo neppure più lo si vedeva; ma sempre ed anche di corto, in occasione di un lieto avvenimento, dolevasi che la salute non gli permettesse di unirsi al nostro reverente omaggio, e meco se ne scusava come di mancanza al dovere.
Alto lo sentiva ed a modesta stregua misurava sé steso. Lo mostrò per l'ultima volta rifiutando le onoranze civili e militari dovutegli, quasi a significare la pochezza di quel che avea operato dirimpetto all'ardua meta cui aveva costantemente inteso.
Perché nel lungo vivere l'animo, lo spirito del veterano non avevano smentito mai i pensieri, gli affetti che n'erano stati la regola, l'ornamento, l'impresa: patria e Re; fedeltà ed onore! (Bene).

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 30 novembre 1896.