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MALVEZZI Giovanni

10 settembre 1819 - 03 ottobre 1892 Nominato il 18 marzo 1860 per la categoria 21 - Le persone che da tre anni pagano tremila lire d'imposizione diretta in ragione dei loro beni o della loro industria provenienza Emilia-Romagna

Commemorazione

 

Domenico Farini, Presidente
Signori Senatori!
Un mesto esordio precedere deve ogni nostro lavoro: la commemorazione dei colleghi che da noi si dipartirono, dacché il Senato si aggiornò.
Funerea, lunga, dolorosa lista! [...].
Il discendente di una fra le più antiche ed illustri famiglie italiane, il conte Giovanni Malvezzi dei Medici è morto nella sua villa di Ozzano su quel di Bologna addì 3 ottobre.
Il gran parentado, gli antenati nelle armi, nelle lettere celebri, negli uffici civili o della chiesa potenti, la ricchezza grande non furon nebbia che lo avvolgesse nella stretta cerchia d'una casta, né che lo irrigidisse, tronfio degli avi, fra le strettoie de' pregiudizi. Simile ai più dei nostri patrizi, specie di Romagna, ebbe consuetudine amorevole o dimestichezza con ogni ordine, ben disponendo verso di sé gli animi tutti per la bontà del suo. Gentilezza di tratto, sentire schietto, natura accostevole, la sua casa era ritrovo gradito della gente più eletta che vivesse o capitasse nella città.
L'animo aperto ad ogni alta aspirazione; della indipendenza, delle guarentigie di libero stato tenerissimo, divenne nella virilità fautore operoso. Largo del danaro, onde aveva dovizia, offeriva nel 1848 vistoso sussidio alla guerra nazionale; né il terrore dell'occupazione austriaca, né la tema delle sevizie papali lo rattennero dall'aiutare generosamente la Società nazionale che preparò la rivincita.
Già non senza ardimento e fermezza, il 10 maggio 1849 dopo un sanguinoso scontro, coll'invasore vittorioso alle porte, aveva assunto il comando della guarda nazionale "scongiurando in nome di quanto vi ha di più sacro...fosse pronta ad ogni sacrificio, ad ogni fatica per la salute comune": non senza abnegazione e fortezza nell'anno vendicatore fu della bolognese Giunta provvisoria di Governo.
Dirimpetto ai tiepidi, cui premeva affanno del vivere quieto, od ai trepidi per le persone e per la roba; in mezzo alle incertezze, all'incubo di una pretesa fatale immunità per la sovranità dei chierici, quel Governo di circa un mese fu merito non piccolo di chi invitto lo tenne. Ad esso Giovanni Malvezzi, il rampollo della famiglia cui Leone X aveva aggiunto il cognome della propria, recò la forza ed il prestigio che circondava il suo nome.
Mercé sua, mercé altri liberi ottimati non fu più lecito alle auliche congreghe tassare i patriotti di gente senza fede, senza nome, sciolta d'ogni freno, pronta soltanto a sovvertire ogni ordine civile: prima vittoria!
Deputato all'Assemblea delle romagne [sic] per il quinto collegio di Bologna promosse, con altri, la deliberazione per la quale, spossessato il Pontefice, Vittorio Emanuele II era acclamato Re; e quando il patriottico voto nella successiva primavera ebbe effetto, egli generale della guardia nazionale, ricevette il Re eletto nella capitale dell'Emilia. Parve dopo che, non nato alle lotte e contese quotidiane, il Malvezzi, raggiunto l'intento di un Governo libero, ordinato e forte per cui si era gettato allo sbaraglio, quantunque senatore dal giorno stesso dell'annessione, si ritraesse quasi dalla politica. Non mancò è vero di tratto in tratto alle nostre adunanze; ma soltanto i Consigli del comune e della provincia, ai quali presiedette per qualche tempo, l'Istituto di belle arti, la Congregazione di beneficenza, il ricovero di mendicità, che governò con intelletto di fervente carità, soltanto le istituzioni, a lustro ed utile della sua Bologna, lo ebbero intiero.
Di tale maniera ed alle cure della famiglia visse settantatré anni e sette giorni.
Profonde convinzioni, bontà soverchiata dalla modestia, virtù private pari alle pubbliche furono doti spiccate di Giovanni Malvezzi, che il gran nome la riputazione dell'antica casata mise in servizio dei tempi nuovi, della nuovissima Italia.
Aureola purissima questa nuova cui mi piace raccomandare, come a maggior merito ed onore, la memoria del lacrimato collega.(Benissimo).

Senato del Regno, Atti parlamentari, Discussioni, 24 novembre 1892.