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unità 234 Marconi Guglielmo, Scalini Enrico, Gavazzi Lodovico, Leonardi Cattolica Pasquale ed altri (Processo Banca italiana di sconto) (1922 - 1926)

Descrizione

NOTA ARCHIVISTICA In particolare, la sezione monarchica dell'Archivio storico conserva tra l'altro i documenti scaturiti dall'attività giudiziaria svolta dal Senato del Regno riunito in Alta corte di giustizia (fisicamente situati presso la sala 1, ballatoio, armadi 14-23). Nel corso di tale attività processuale ultraottantennale59 fu prodotta e raccolta una notevole mole di documenti conservati in 453 buste corrispondenti a un totale di 362 procedimenti (ACG III I - 453). Si tratta di un fondo che comprende varie serie archivistiche. Oltre alla serie dei "Fascicoli processuali" (455 buste), comprendente le carte relative a ciascun processo celebrato dall'Alta corte", altre serie con carte e notizie riguardanti l'attività svolta dall'Alta corte di giustizia sono: - "Sentenze" (nove volumi)61 - "Atti" (otto buste)62, - "Processi verbali della Commissione permanente d'istruzione dell'Alta corte di giustizia" (due registri)63, - "Processi verbali della Commissione permanente d'accusa dell'Alta corte di giustizia" (un registro)", - "Protocolli delle lettere" (quattro registri)65, - "Querele o denunce" (due registri)", - "Rubrica del registro delle querele o denunce" (una rubrica)67, - "Copialettere della Commissione d'Istruzione dell'Alta corte di giustizia" (due registri)68, 59 Gli estremi cronologici dei processi vanno dal 1866 al 1948. 60 Le carte di ciascun processo costituiscono una sottoserie archivistica. 61 Originali delle sentenze rilegati in ordine cronologico (1867 - 1947). 62 Documentazione varia relativa all'attività dell'Alta corte di giustizia (1866 - 1947). 63 Processi verbali delle sedute con l'indicazione dei senatori presenti (1929 - 1947). 64 Processi verbali delle sedute con l'indicazione dei senatori presenti (1929 - 1931). 65 Registri di protocollo della corrispondenza ricevuta (1875 - 1948). 66 Registri con i datidi-tutti i processi, ordinati cronologicamente (1866 - 1946). 67 Elenco dei senatori giudicati dall'Alta corte di giustizia ordinati alfabeticamente (1871 - 1929). 68 Registri della corrispondenza inviata (1866 - 1888). - "Ricorsi contro le sentenze della Commissione d'istruzione dell'Alta colte di giustizia" (un registro)69, - "Spedizioni" (due registri)70. Ogni processo era individuato con un numero d'ordine progressivo e denominato con il nome del/dei senatore/i imputato/i. Nel momento in cui si dava inizio a un procedimento presso l'Alta corte, veniva attribuito il numero cronologico d'apertura del procedimento attraverso il registro delle querele o denunce e poi si riportavano tutti i dati di ogni singolo procedimento sulla rubrica alfabetica in corrispondenza del nome di ciascun imputato coinvolto. Normalmente il processo prendeva il nome del senatore o dei senatori coinvolti. Tuttavia, nel caso di cui trattiamo, poiché gli imputati erano particolarmente numerosi, la denominazione fu abbreviata in "Processo [alla] Banca italiana di sconto". Il processo alla Banca italiana di sconto fu quello che produsse più carte di qualunque altro: la relativa documentazione è custodita in ben 63 cartelle (la media era di una o due buste) della serie Fascicoli processuali, ma troviamo dati e documentazione sul procedimento anche in altre serie del fondo. In particolare: il registro delle denunce attribuisce il numero 234 al procedimento di cui ci occupiamo; nella rubrica, al nome di ciascun senatore coinvolto è associato il numero e la descrizione del procedimento; nei volumi delle sentenze sono inseriti cronologicamente tutti i testi delle decisioni adottate durante il processo in questione72; inoltre nella busta 9 degli Atti sono presenti tra l'altro vari stampati relativi al processo in questione. Per quanto riguarda l'aspetto esteriore delle unità di conservazione73, che si ritiene utile descrivere per dare un'idea di come si presenta materialmente la serie nell'ambito di un archivio già ordinato e costituito con una sua precisa fisionomia, possiamo dire che si tratta per la maggior parte di cartelle color verdone e di scatole rosse e grigie, quasi sempre in formato A/4, chiuse con lacci non sempre in buone condizioni (dalla busta 53 vengono chiamati pacchi). Un'etichetta sul dorso riporta sia il numero progressivo della busta nell'ambito dell'intera serie (da 261 a 320 bis), sia un altro numero, sempre progressivo, che raggruppa tutte le buste della sottoserie (da 1 a 56 bis). Un'altra etichetta sul fronte riporta un titolo che di solito corrisponde al contenuto del fascicolo che si trova al suo interno. Relativamente allo stato di conservazione delle carte, il soddisfacente stato d'ordine non ha richiesto lavori di ordinamento, si è quindi proceduto direttamente alla schedatura e inventariazione nel rispetto dell'ordine originario. Come già detto, le buste erano già numerate e intitolate. La numerazione originale è progressiva dall'uno al 56 bis e dal 261 al 320 bis: nel primo caso si fa riferimento al singolo procedimento in questione, mentre nel secondo caso i numeri sono in rapporto a tutti i processi celebrati presso l'Alta corte. La documentazione è stata suddivisa solo su un piano virtuale in 38 fascicoli il cui oggetto rispecchia sempre il titolo indicato sulla busta. Infatti normalmente in ogni cartella sono contenuti documenti formanti un singolo fascicolo ma non è sempre così: talvolta i documenti di un fascicolo si prolungano in più cartelle (fascicoli 3, 5, 10, 15, 16, 19, 21, 31, 34, 35, 38)74. Spesso il titolo interno è molto più lungo o poco descrittivo rispetto a quello esterno, il quale invece riassume meglio l'oggetto del fascicolo. Per questo si è preferito mettere in evidenza per primi i titoli scritti sulle buste. Anche perché non sempre le carte raccolte nelle cartelle hanno una copertina propria e quindi una propria intitolazione. Il titolo dei fascicoli quindi è sempre ricavato dal titolo riportato sulla busta. ed è riportato tra virgolette. Solo per qualche sottofascicolo o inserto ci si è discostati dal titolo originale o se ne è dato uno completamente nuovo senza usare le virgolette. La descrizione inventariale rispecchia la seguente gerarchia: unità di conservazione, unità archivistica o sottounità, consistenza, estremi cronologici. Dopo aver riportato la numerazione e il titolo originali dell'unità di conservazione, si è individuato il numero e il titolo dell'unità archivistica e dell'eventuale sottounità; segue una descrizione sommaria del tipo e/o dell'oggetto dei documenti ivi contenuti, integrata di quei singoli documenti che si discostano dal titolo o si ritengono particolarmente importanti. A fine unità si riporta l'eventuale materiale bibliografico presente. Per quanto riguarda l'aspetto dei fascicoli, fino alla cartella 19 sono denominati volumi per via della rilegatura che tiene uniti i documenti e all'inizio troviamo quasi sempre un indice degli atti con relativa numerazione dei fogli, ordinati cronologicamente. I primi 12 fascicoli hanno la copertina intestata della Regia procura di Roma, presso la quale il procedimento era iscritto sul registro generale al n. 26/922. Dopo la cartella 14, sebbene talvolta sulle buste troviamo ancora scritto volume, si tratta in realtà di carte sciolte e stampati che non sempre si trovano disposte in ordine cronologico. Anzi spesso è riscontrabile un po' di confusione anche nella progressione delle buste. Tali fascicoli hanno talvolta la copertina intestata al Senato del Regno - Alta corte di giustizia, ma più spesso essa è senza intestazione o manca del tutto. Per quel che riguarda la successione dei fascicoli, vediamo che gli atti iniziali del procedimento (denunce e querele, individuazione degli imputati e dei reati, costituzione delle parti civili) e gli atti di indagine (esame dei testimoni, sequestro e acquisizione di documentazione riguardante la Banca italiana di sconto e i suoi amministratori) trovano posto nei primi 12 fascicoli L'attività svolta 61 pubblico ministero in fase istruttoria, dalla Commissione d'istruzione e da quella d'accusa occupa i fascicoli dal 13 al 14 e il 37. Dal fascicolo 15 al fascicolo 18, dal 27 al 29 e dal 46 al 48 sono raccolti gli atti del dibattimento (udienze dibattimentali, questioni pregiudiziali, interrogatori degli imputati, esami testimoniali, perizia, convocazione e provvedimenti dell'Alta corte, requisitorie del pubblico ministero). I documenti e le memorie presentati dalle parti sono inseriti in vari fascicoli: dal 20 al 26, dal 29 al 34 e nel 38, ma se ne trovano occasionalmente anche in altri fascicoli75. Diversi sono i fascicoli che raggruppano carte riguardanti determinati argomenti: informazioni sull'attività e sulla situazione della Banca italiana di sconto e dei suoi amministratori si trovano soprattutto nei fascicoli dal 5 al 12 e anche nei fascicoli 14, 24, 32 e 33; la relazione dei periti è inserita nei fascicoli 19 e 20; notizie sul gruppo Ansaldo formano oggetto dei fascicoli 12, 19 V parte, 21 e dal 31 al 34. Per quanto riguarda la consistenza, sono stati contati solo i fogli contenenti segni grafici, anche minimi, omettendo i fogli completamente in bianco. Sebbene le date degli atti processuali veri e propri risalgono agli anni 1922-1926, come molto spesso succede nei processi giudiziari, i fascicoli processuali sono particolarmente pieni di documenti presentati dalle parti come mezzi di prova a propria difesa con le datazioni più disparate, spesso di gran lunga anteriori alle date del processo. Inoltre, anche dopo la fine del processo, si continua a raccogliere nei fascicoli documenti con date di molto posteriori. Interi fascicoli sono formati da "allegati". Per questo, nella descrizione inventariale si è evitato di riportare l'indicazione "con cc. allegate dal", che avrebbe dovuto essere usata troppo spesso, appesantendo notevolmente il discorso. Quindi per ogni fascicolo/sottofascicolo/inserto vengono forniti gli estremi cronologici risultanti dal documento più antico e da quello più recente ivi contenuti, prendendo in considerazione anche tale documentazione come parte integrante dell'attività processuale. Seguendo tale criterio possiamo affermare che le carte del processo alla Banca Italiana di Sconto vanno dal 190 al 1930. Al termine della descrizione inventariale segue una doppia tavola di raffronto tra vecchia e nuova segnatura. La prima permette di individuare la progressione originale delle unità di conservazione in collegamento con la numerazione delle unità archivistiche, mentre la seconda mette in evidenza la successione dei fascicoli abbinandoli alla collocazione d'archivio. Inoltre, data la presenza di numeroso materiale bibliografico, per una sua migliore fruibilità biblioteconomica, si è preferito darne un'ulteriore descrizione in un'apposita tavola con la collocazione d'archivio, oltre a quella associata a ciascuna unità archivistica in cui è contenuto. La bibliografia si limita a riportare le pubblicazioni che riguardano l'Alta corte di giustizia e la Banca italiana di sconto. Infine chiudono il lavoro due indici alfabetici: uno dei nomi delle persone e degli enti, l'altro dei luoghi. Entrambi prendono in considerazione anche le note e tralasciano i nomi presenti nelle tavole finali e nella bibliografia. Oltre agli strumenti di ricerca coevi, anteriormente alla stesura di questo inventario, l'unico mezzo di corredo archivistico di cui era dotato l'Archivio storico del Senato per ciascuna sottoserie del fondo Alta corte di giustizia era un semplice elenco sommario76: per la serie dei "Fascicoli processuali" esso indica per ogni processo il numero di corda, il numero di processo, la data di arrivo in Senato, il numero e la data della o delle decisioni adottate, il nome del senatore o dei senatori imputati e l'oggetto del reato. Si tratta quindi del primo inventario che sia mai stato compilato sull'attività processuale dell'Alta corte di giustizia del Senato. Si è ritenuto di iniziare la descrizione inventariale proprio con il processo contro gli amministratori della Banca italiana di sconto in quanto rappresenta quello che ha prodotto più documentazione di tutti gli altri: ben 62 buste contenenti oltre trentaduemila carte. Risulta quindi particolarmente interessante perché permette una migliore fruibilità della consistente documentazione ivi contenuta e consente anche di apprendere meglio il funzionamento e le modalità operative dell'Alta corte. Ci si augura che l'intero fondo possa essere oggetto di futuri lavori di inventariazione, anche per capire meglio come nel tempo si siano evoluti storicamente l'Alta corte e i suoi organi, in modo tale che l'intera comunità scientifica possa avere a disposizione maggiori strumenti per la conoscenza di questa importante istituzione che fu l'Alta corte di giustizia del Senato.

Contenuto

NOTA STORICA
Lo Statuto albertino affidava anche funzioni giudiziarie in materia penale al Senato, che le esercitava sotto il nome di Alta corte di giustizia nei casi tassativamente stabiliti: per giudicare dei crimini di alto tradimento e di attentato alla sicurezza dello Stato, per giudicare i ministri accusati dalla Camera dei deputati, per giudicare dei reati imputati ai suoi membri (articoli 36 e 37). In questi casi il Senato non era più un corpo politico ma un corpo giudiziario autonomo da qualsiasi altro potere dello Stato. Questa speciale giurisdizione esclusiva riguardante i senatori veniva giustificata per l'elevatezza attribuita alla funzione senatoria, come se si trattasse di un privilegio aristocratico, di classe, per evitare che un giudizio ordinario comportasse una turbativa della funzione senatoria, ma anche per la maggiore gravità da attribuirsi al reato di cui si macchiava chi rivestiva una così alta carica, contemplante una maggior misura di doveri.
Il Senato dunque, a garanzia dell'ufficio legislativo, era l'unica autorità competente per giudicare i senatori per tutti i delitti e le contravvenzioni che fossero loro contestati, con la sola esclusione della materia civile. Era prevista l'estensione del giudizio dell'Alta corte anche nei confronti di imputati estranei al Senato quando nel processo erano coinvolte persone coimputate per lo stesso reato o per reati connessi.
L'Alta corte di giustizia, che funzionò dal 1866 al 1947, in tutto si occupò di 378 processi. La maggior parte di essi furono definiti nella fase istruttoria. In quattro casi i senatori imputati si dimisero dalla carica e vennero giudicati dal giudice ordinario.
Tre furono le condanne: per il ammiraglio Carlo Persano nel 1866 [Colpevole di essersi allontanato dagli ordini ricevuti e per non aver adempiuto alla missione di cui era stato incaricato e non aver tentato di bloccare l'armata nemica il 13 luglio 1866, per come ha comandato e si è condotto nelle battaglie per conquistare Lissa], per il senatore Luigi Pissavini nel 1888 e per il senatore Alfredo Capece Minutolo di Bugnano nel 19238.
I giudizi favorevoli agli imputati si ebbero in pochissime occasioni, tra cui il processo contro gli ex amministratori della Banca italiana di sconto, negli anni 1922-26, oggetto del presente lavoro.
Risale al 1866 la prima stesura del regolamento giudiziario formato dal Senato che doveva regolare i processi davanti all'Alta corte: 18 articoli che in seguito vennero riformati e ampliati più volte9.
All'epoca del processo di cui ci interessiamo, il procedimento si svolgeva in 3 fasi. All'inizio c'era una fase introduttiva presso una Commissione d'istruzione, poi una fase intermedia davanti a una Commissione d'accusa e infine la fase del giudizio definitivo di fronte all'Alta corte di giustizia. I senatori che avevano preso parte alla deliberazione di rinvio degli atti alla Commissione d'accusa o di rinvio dell'imputato a giudizio non potevano prendere parte alle deliberazioni durante il dibattimento: potevano soltanto assistere alle udienze dell'Alta corte senza diritto di voto.
La Commissione d'istruzione, nominata all'inizio della legislatura (Tale Commissione divenne permanente dopo la riforma del regolamento giudiziario nel 1900 solo per i giudizi sui reati compiuti dai senatori.), era composta di 6 membri ordinari e 8 supplenti ed era presieduta da un vice-presidente del Senato o da un senatore designato dal presidente. Essa era investita di tutte le funzioni attribuite dal codice di procedura penale al giudice istruttore, tranne quelle assegnate alla Commissione d'accusa. Poteva valersi degli atti compiuti dall'autorità giudiziaria ordinaria, rinnovando quelli ritenuti opportuni. Per gli atti occorrenti fuori Roma, poteva delegarli a un magistrato di Corte d'appello. Compiuta l'istruttoria, la Commissione trasmetteva gli atti al pubblico ministero perché presentasse le sue requisitorie. Decorsi i termini per l'esame degli atti da parte dei difensori e per la presentazione delle memorie, la Commissione pronunciava sentenza di non doversi procedere o di rinvio a giudizio (Se il delitto era punito con una pena superiore ai 5 anni di reclusione, la Commissione d'istruzione trasmetteva gli atti alla Commissione d'accusa.). Contro tali provvedimenti si poteva propone appello alla Commissione d'accusa.
La Commissione d'accusa (Istituita con la riforma del regolamento giudiziario del 1900, era permanente nel caso di processi contro i senatori. Fu abolita nel 1940 e sostituita da una Commissione d'appello.) era formata da 8 senatori e 4 supplenti ed era presieduta da un vice-presidente del Senato o da un senatore designato dal presidente. Essa giudicava degli appelli proposti contro le ordinanze e le sentenze della Commissione d'istruzione e, in casi determinati, poteva definire l'istruzione. Dal 1900 al 1929 essa ebbe il compito di giudicare le contravvenzioni, competenza poi trasferita alla Commissione permanente d'istruzione. Poteva ordinare con sentenza il rinvio dell'imputato davanti all'Alta corte o alla Commissione per il giudizio, oppure pronunciava sentenza di non doversi procedere.
L'Alta corte di giustizia era competente per la fase dibattimentale in caso di processi per delitti. Era costituita da tutti i senatori e presieduta dal presidente o da un vice-presidente del Senato. Per la validità del dibattimento era richiesto un numero minimo di cinquanta senatori in grado di concorrere al giudizio. Dopo il 1928 le rimase la competenza di giudicare solo nei casi di cui all'art. 36 dello Statuto (per le accuse contro i ministri e per i reati di alto tradimento e attentato alla sicurezza dello Stato). Ad ogni udienza veniva compilata la lista dei senatori presenti in quanto solo quelli intervenuti a tutte le udienze potevano partecipare al giudizio: una volta formata, nessun senatore poteva assentarsi ingiustificatamente. Il dibattimento si svolgeva poi secondo le norme del codice di procedura penale.
Nel 1928 venne istituita la Commissione per il giudizio, con il compito di giudicare i senatori imputati di delitti e sugli appelli contro le sentenze della Commissione permanente d'istruzione. Nominata all'inizio di ogni legislatura, era composta di 60 membri, 30 effettivi e 30 supplenti, ed era presieduta dal presidente del Senato o da un vice-presidente.
Era esclusa l'appellabilità delle sentenze dell'Alta corte e della Commissione per il giudizio davanti a un'autorità estranea al Senato. Mezzi di impugnazione erano previsti solo all'interno dell'Alta corte: presso le Commissioni d'accusa e per il giudizio, solo contro le decisioni della Commissione d'istruzione.
L'autorità giudiziaria, alla quale fosse pervenuta notizia di un reato attribuito a un senatore, doveva informarne immediatamente il presidente del Senato e trasmettergli gli atti, e contemporaneamente ne dava avviso al ministro per la giustizia; nel frattempo accertava i fatti e raccoglieva le prove che avrebbero potuto sparire.
Quando giungeva al Senato una querela o una denuncia contro un senatore, il presidente, che presiedeva anche l'Alta cotte, dopo aver dichiarato con un'ordinanza la costituzione dell'Alta corte di giustizia (Tale atto preliminare fu eliminato con la riforma del regolamento giudiziario del 1929), rimetteva gli atti alla Commissione d'istruzione, nominava i membri delle commissioni e i loro presidenti, ed aveva gli stessi poteri spettanti per legge al presidente della Corte d'assise.
Le funzioni di pubblico ministero erano esercitate da un alto funzionario giudiziario nominato con decreto reale e designato dal governo preventivamente all'inizio di ogni sessione. Solitamente furono chiamati come rappresentanti del pubblico ministero presso l'Alta corte giudici della magistratura requirente, come il procuratore generale della Corte d'appello di Roma e l'avvocato generale della Corte di cassazione. In alcuni casi l'ufficio venne affidato a magistrati senatori. Il pubblico ministero riceveva gli atti dalla Commissione d'istruzione e solo ad essa poteva presentare richieste, senza avere alcun potere istruttorio: poteva solo chiedere di assistere agli atti compiuti dalla Commissione d'istruzione.
Le funzioni di cancelliere dell'Alta corte furono dapprima attribuite al direttore della segreteria del Senato. In seguito vennero svolte da uno speciale funzionario che poi assunse la qualifica di direttore di un apposito ufficio di cancelleria. Dal 1929, la carica venne attribuita al segretario generale del Senato, coadiuvato da uno speciale ufficio, con possibilità di delega al capo di tale ufficio o ad altri funzionari addetti all'ufficio di cancelleria.
Dal 1923 fu vietato ai senatori avvocati di assumere la difesa nei giudizi davanti all'Alta corte, la quale spettava solo agli avvocati iscritti nell'albo speciale presso la Corte di cassazione.
Il processo contro gli amministratori della Banca italiana di sconto fu portato alla competenza dell'Alta corte di giustizia in quanto 4 dei 42 imputati iniziali erano senatori del Regno: Lodovico Gavazzi, Guglielmo Marconi e Enrico Scalini, imputati in qualità di amministratori membri del Comitato centrale della Banca italiana di sconto, e Pasquale Leonardi Cattolica imputato in qualità di amministratore non appartenente al Comitato centrale.
Gli altri imputati erano i direttori: Gaspare Luigi Cantù, Federico Canziani, Alfredo Combe, Nullo Muratori, Attilio Reali, Ernesto Tucci, Emilio Wirz; gli amministratori membri del Comitato centrale: Luigi Bertarelli, Cesare Coppi, Carlo Galimberti, Ernesto Galazzi, Luigi Mazzanti, Mario Perrone, Angelo Pogliani, Leo Rappapo21, Achille Venzaghi; gli amministratori non appartenenti al Comitato centrale: Senatore Borletti, Roberto Calegari, Giuseppe Da Zara, Louis Dreyfus, Francesco Gondrand, Giuseppe Gruss, Leopoldo Introini, Luigi Lazzaroni, Leopoldo Mabilleau, Luigi Medici del Vascello, Giuseppe Moretti, Mario Piacenza, Pio Perrone, Mario Pozzi, Filippo Reina, Luigi Solari; i sindaci: Vittorio Emanuele Bianchi, Edoardo Bruno, Ottorino Cometti, Emilio Paoletti, Alessandro Puri e l'agente di cambio Ottorino Paoletti (non appartenente alla Banca).
I reati contestati consistevano nelle seguenti infrazioni: per tutti gli amministratori e i direttori tranne che per Cantù, attribuzione ai soci di dividendi manifestamente insussistenti per l'esercizio 1920 con conseguente diminuzione del capitale sociale di lire 22 milioni e duecentomila; distrazione dall'attivo della somma di un milione e 269.612,13 di lire quale percentuale di utili inesistenti attribuita agli amministratori per l'esercizio 1920 e la somma di 566.980,60 di lire quale percentuale di utili inesistenti attribuita ai direttori, condirettori e vicedirettori; distrazione dall'attivo della banca tra il 1920 e il 1921 di varie somme usate per rimborsare amministratori, sindaci e funzionari del prezzo delle azioni nominative possedute che figuravano vendute alla Banca Italo Caucasica; aggiotaggio continuato, cioè produzione artificiosa in borsa di un aumento del prezzo delle azioni della Banca italiana di sconto attraverso il loro acquisto per conto della Banca Italo Caucasica che serviva da prestanome alla Sconto, effettiva acquirente (accusa rivolta anche a Ottorino Paoletti); predeterminazione colposa del procedimento di moratoria attraverso l'impegno di notevole parte del patrimonio della banca in partecipazioni, finanziamenti e sovvenzioni manifestamente imprudenti (reato contestato anche per Luigi Cantù) e per aver pagato alcuni creditori a danno della massa dopo la cessazione dei pagamenti; per i membri del Comitato centrale, illegittimo prelevamento di Lire 360.000 come ulteriore compenso per l'esercizio 1920. La Banca italiana di sconto costituiva uno dei quattro gruppi finanziari che dominavano l'economia bancaria italiana in quel periodo. Nata nel 1914 con l'intenzione dichiarata di finanziare l'industria italiana nell'interesse della nazione, in poco tempo aveva raggiunto dimensioni tali che le consentirono di superare ogni altra banca italiana. Istituì sedi, succursali e agenzie nelle principali città italiane (160) e 8 sedi all'estero (tra cui Parigi, Rio de Janeiro, San Paolo del Brasile). Ingenti furono i finanziamenti alle industrie italiane sia in tempo di guerra sia in tempo di pace. Essa si vantava di essere patriottica, nazionalista e interventista, in contrapposizione con la principale concorrente, la Banca Commerciale, tradizionalmente "tedesca" e neutralista.
Il gruppo industriale Ansaldo, uno dei più grandi del Paese, era quello che più di tutti ne aveva beneficiato. Completamente italiano, durante la guerra aveva messo a disposizione tutto il suo apparato per rifornire prontamente lo Stato degli armamenti necessari e dopo la guerra era riuscito a trasformare tutti i propri stabilimenti per produzioni di pace, pur avendo un enorme credito verso lo Stato (più di un miliardo di lire), il quale aveva pagato regolarmente solo le commesse ordinate fino al 1917. Ciò nonostante, nel 1921 il patrimonio complessivo dell'Ansaldo superava i due miliardi di lire. I legami tra l'Ansaldo e la Banca italiana di sconto erano molto stretti, data la presenza dei fratelli Perrone ai vertici di entrambe le società.
Dopo la guerra però, l'economia italiana era entrata in crisi. Molte delle industrie verso le quali la Banca italiana di sconto era maggiormente esposta subirono perdite rilevanti. Inoltre, nel 1920 e nel 1921 iniziò una campagna denigratoria nei confronti della Sconto diretta a sollevare dubbi sulla sua possibilità di smobilizzare le proprie attività e ciò creò allarme tra i depositanti che accorsero in massa agli sportelli per prelevare i propri risparmi, provocando una crisi di liquidità, sebbene l'attivo superasse il passivo. Venne anche creato un consorzio tra la Banca d'Italia e i maggiori istituti di credito per aiutare la Sconto a smobilizzare parte delle operazioni più pesanti, ma dopo poco tempo gli aiuti furono sospesi aggravando la crisi di cassa.
Fallito infine ogni tentativo di suscitare un intervento governativo diretto a risollevarne la sorte, l'amministratore delegato Pogliani fu costretto a chiudere gli sportelli e a chiedere la moratoria, istituto diretto a sospendere il fallimento, appositamente ripristinato con regio decreto n. 1861 del 28 dicembre 1921 e concesso con sentenza del Tribunale di Roma del 29 dicembre 1921. Fu fissato a un anno il periodo della moratoria e venne nominata un'apposita Commissione giudiziale per la gestione della Banca italiana di sconto in moratoria, composta Cesare Vivante, illustre giurista professore all'Università di Roma, del senatore Giovanni Cassis e del comm. Tommaso De Angelis, direttore della sede romana del Banco di Napoli. In seguito venne nominato un commissario aggiunto: il comm. Domenico Gidoni, funzionario della Banca d'Italia e poi presidente della Banca Nazionale di Credito.
In data 28 dicembre 1921 fu quindi promossa l'azione penale da parte del procuratore del re contro i sindaci, i direttori centrali, i membri del Consiglio di amministrazione e del Comitato centrale, considerati responsabili della cattiva gestione della Banca italiana di sconto. L'11 gennaio 1922 i creditori della banca si costituirono in un apposito Consorzio nazionale, presieduto dal cav. di gran croce ing. Francesco Bruno, che durante il processo si costituì parte civile.
Il processo alla Banca italiana di sconto, che durò in tutto cinque anni, fece un certo scalpore all'epoca, mettendo in stato d'accusa alcune delle personalità più importanti in campo industriale e finanziario. In pratica il processo mise allo scoperto le relazioni esistenti nel sistema bancario e industriale italiano di quegli anni e anche i suoi rapporti col mondo politico. Tutta la stampa italiana seguì attentamente l'andamento delle vicende processuali riportando le vivaci polemiche tra chi non riteneva opportuno un intervento statale a carico del bilancio pubblico incolpando della caduta della banca gli ex amministratori, e quanti invocavano il salvataggio della Sconto accusando il governo di non averne impedito la crisi.
Proposte di finanziamento e di ricostruzione per il riassetto dell'istituto furono presentate da alcuni amministratori della Banca italiana di sconto e anche dal Consorzio nazionale dei creditori, ma non vennero accolte.
All'epoca, sotto il governo di Ivanoe Bonomi la questione fu trattata dal ministro dell'Industria Bortolo Belotti, il quale reclamava il principio per cui nel caso della Sconto non si poteva utilizzare il denaro pubblico per salvare una impresa privata che era stata gestita male dai suoi amministratori; comunque rivendicava il merito di averne impedito il fallimento vero e proprio attraverso l'emanazione del decreto sulla moratoria, considerato un male minore in grado di non sottrarre al mercato italiano un importante organismo bancario di interesse nazionale quale era la Sconto.
L'8 aprile 1922 l'Alta corte di giustizia fu costituita con ordinanza del presidente del Senato e venne presieduta dapprima dall'onorevole senatore Tommaso Tittoni e poi, dal 12 gennaio 1926, dall'onorevole senatore generale Vittorio Zupelli.
Le tappe del processo furono le seguenti:
l'istruttoria, basata sui risultati delle indagini compiute dagli organi giudiziari ordinari e incentrata nella requisitoria del pubblico ministero" dell'11 aprile 1923, prosegue con la sentenza della Commissione permanente d'istruzione del 1° giugno 1923 e si chiude con la sentenza della Commissione permanente d'accusa del 23 novembre 1923;
il dibattimento, che si apre con l'esame delle eccezioni pregiudiziali, prosegue con l'esecuzione della perizia contabile sullo stato patrimoniale della Banca italiana di sconto al 9 marzo 1921, seguita con gli interrogatori", gli esami testimoniali", le arringhe" e si conclude con la sentenza definitiva dell'Alta corte di giustizia datata 2 marzo 1926.
La Commissione permanente d'istruzione, con sentenza del 1° giugno 1923, respinse le eccezioni preliminari di improcedibilità e l'istanza della difesa per una perizia contabile, dichiarò amnistiata e quindi estinta l'azione penale per il reato di bancarotta semplice"; dichiarò insussistente il fatto costituente il delitto di bancarotta fraudolenta (distrazione dall'attivo della banca di varie somme per rimborsare amministratori, sindaci e funzionari della Sconto del prezzo di azioni nominative della Banca italiana di sconto che figuravano vendute alla Banca Italo-Caucasica); dichiarò di non doversi procedere per il reato di aggiotaggio perché il fatto non costituiva reato; rinviò a giudizio Bertarelli, Combe, Coppi, Galimberti, Galazzi, Gavazzi, Mazzanti, Pogliani, Rappaport, Scalini, Venzaghi, per aver dato ai soci dividendi manifestamente insussistenti, diminuendo così il capitale sociale di 25 milioni e duecentomila lire pari a un dividendo dell'8% sulle azioni e per aver distratto un milione e 269.612,13 lire quale percentuale di utili inesistenti attribuita agli amministratori per l'esercizio 1920 e la somma di 566.980 lire quale percentuale di utili inesistenti attribuiti ai direttori, condirettori e vicedirettori della banca; ordinò il rinvio a giudizio degli stessi imputati tranne Combe e aggiungendovi Marconi e Mario Penne per aver prelevato a loro favore dall'attivo della banca 360 mila lire come compenso ulteriore per l'esercizio 1920.
La Commissione d'accusa dichiarò inammissibili le opposizioni degli imputati e l'appello del Combe contro l'esclusione della perizia richiesta; dopo aver confermato l'amnistia per il reato di bancarotta semplice e dichiarata estinta l'azione penale nei confronti di Da Zara a causa del suo decesso avvenuto durante il processo, rinviò al giudizio dell'Alta corte l'agente di cambio Ottorino Paoletti, il direttore centrale Combe e gli amministratori Bertarelli, Coppi, Galimberti, Galazzi, Mazzanti, Pogliani, Rappaport, Venzaghi e i senatori Gavazzi e Scalini.
Dichiarò non farsi luogo a procedimento penale contro Marconi perché il fatto attribuitogli non costituiva reato. Gli altri imputati furono prosciolti perché il fatto non costituiva reato" o per insufficienza di prove".
Da quando si era concluso il processo contro il ministro Nunzio Nasi, nel 1908, l'Alta corte di giustizia non si era più riunita L'inizio del dibattimento venne fissato per il 24 aprile del 1924. I senatori che avevano fatto parte delle Commissioni d'istruttoria e d'accusa o che erano stati sentiti come testimoni vennero esclusi dal partecipare alle sedute.
Le prime decisioni riguardarono le questioni pregiudiziali dell'ammissibilità delle parti civili e dell'improcedibilità dell'azione penatesi. Quest'ultima eccezione fu respinta, mentre furono ammesse come parti civili soltanto il Comitato liquidatore della Banca italiana di sconto, Nicola Piattelli e il Consorzio nazionale dei creditori presieduto da Francesco Bruno e difeso dagli avvocati Stratta e Bonardi, poi rimasta unica parte civile dopo il ritiro delle altre il 13 gennaio 1926. Inoltre, fu accolta la richiesta avanzata dal difensore di Pogliani di eseguire una perizia contabile che accertasse lo stato di cessazione dei pagamenti della Banca italiana di sconto al 29 dicembre 1921, la verità delle cifre del bilancio del 1920, la insussistenza o meno dei dividendi che vennero distribuiti agli azionisti e la legittimità dei prelevamenti fatti dagli amministratori sul bilancio stesso. Nell'udienza del 6 giugno 1924 furono incaricati di tale compito il prof. ing. Umberto Savoia, perito della difesa, e il comm Angelo Titi, presidente della Camera di commercio di Lecce, perito d'ufficio.
L'esame peritale ebbe inizio nel giugno 1924 e si concluse con il deposito del relativo documento il 14 marzo 1925. Il giudizio dei due periti fu unanime: giunsero alla conclusione che al 29 dicembre 1921 la Banca italiana di sconto non era in stato di cessazione dei pagamenti, che le cifre del bilancio al 31 dicembre 1920 corrispondevano a verità, che il dividendo di 40 lire per azione approvato dall'Assemblea degli azionisti del 9 marzo 1921 era stato assegnato legittimamente e che legittimi erano i prelievi sul bilancio al 31 dicembre 1920 a favore dei direttori, amministratori e membri del Comitato centrale della Banca italiana di sconto. In pratica furono smontate tutte le accuse.
Anche lo stato contabile e patrimoniale del gruppo societario Ansaldo di Genova, che aveva ricevuto ingentissimi finanziamenti dalla Banca italiana di sconto, venne sottoposto ad esame peritale. I periti poterono affermare che al 29 dicembre 1921 i crediti della Banca italiana di sconto verso le aziende del gruppo Ansaldo erano sufficientemente garantiti e non soggetti a svalutazione.
I risultati della perizia furono comunque contestati dal pubblico ministero e dal Consorzio nazionale dei creditori. Le altre parti civili preferirono ritirarsi.
Alla ripresa del dibattimento, si procedette all'interrogatorio degli imputati: prima l'amministratore delegato Pogliani e poi Combe, Venzaghi, Bertarelli, Coppi, Rappaport, Galazzi, Galimberti, Mazzanti, Gavazzi, Scalini, Mario Perrone, Ottorino Paoletti.
Il processo proseguì con gli esami testimoniali. Furono sentiti come testi d'accusa: Bonaldo Stringher, direttore della Banca d'Italia; il comm. Antonio Ghislotti, funzionario della Banca d'Italia; il comm. Tommaso De Angelis, il prof. Cesare Vivante, il comm. Domenico Gidoni e il dott. Romolo Ferlosio, membri della Commissione giudiziale nominata per la gestione della Banca italiana di sconto in moratoria; l'onorevole Belotti, ex ministro dell'industria e del commercio nel governo Bonomi; l'avvocato Benedetto Scarselli, membro della Commissione di vigilanza dei creditori; il conte ing. Roberto Taeggi Piscicelli, che fece anch'egli parte della Commissione di vigilanza dei creditori e fu poi nominato dal Tribunale di Roma sindaco effettivo della liquidazione; l'avv. Raffaele Starace, legale della sede romana del Banco di Napoli; il cav. Vincenzo Procida, direttore della sede di Roma e poi di Genova del Banco di Sicilia; Cesare Brassetti, ex ispettore della Banca italiana di sconto; il comm. Giorgio Forlì, ex condirettore della sede di Roma della Banca Italo Caucasica.
Vennero poi sentiti come testi a discarico: l'avvocato Luigi Parodi, consulente legale della Banca italiana di sconto; il sen. prof. Alberto Marghieri, professore di diritto commerciale nell'Università di Napoli; l'on. avv. Edoardo Rotigliano, il gr. uff. Senatore Borletti e il comm. Guido Segre, incaricati da alcuni consiglieri della Banca italiana di sconto di studiare un piano di ricostruzione della banca; il cav. Umberto Scarpetta, addetto all'ufficio ispettorato generale della Sconto; il conun. Giacomo Michel, ex ispettore generale della Banca italiana di sconto; il rag. Salvatore Fossati, ex ispettore generale del gruppo Ansaldo e direttore generale amministrativo della Gio. Ansaldo e C. nel 1920-21; l'ing. Camillo Manzitti, tecnico dell'Ansaldo; il comm. Paolo Monti, direttore della filiale di San Paolo del Brasile della Banca italiana di sconto; il comm. prof. Vincenzo Gitti; il comm. Nullo Muratori, ex direttore generale della Banca italiana di sconto; il cav. di gran croce ing. Francesco Bruno, presidente del Consorzio nazionale dei creditori, ex presidente della Banca Nazionale di Credito e consigliere delegato dell'Ansaldo; l'avv. Raffaello Stratta, parte lesa costituita parte civile come creditore e azionista, sindaco controllore concordatario per la liquidazione della Banca italiana di sconto nominato dal Tribunale di Roma; il rag. Ugo Bonessi, ex capo dell'ufficio sviluppo della Banca italiana di sconto; il marchese Luigi Solari; il senatore Luigi Della Torress, presidente della Associazione bancaria; il comm. Guglielmo Aimi, direttore generale amministrativo dell'Ansaldo fino al 1921; il comm. Giuseppe Cerutti, agente di cambio; il comm. Ettore Pollich, amministratore della ditta navale Libera Triestina; il coram. Vittorio Emanuele Parodi, ex presidente della Società fra gli armatori; Carlo Oriani, socio della Ditta Bertarelli di Milano; Carlo Schapira, consigliere delegato del Cotonificio Bustese; il comm. Giovanni Laucli; il comm. Ugo Recanati, presidente del Sindacato degli agenti di cambio; l'avv. coram. Pietro Brambilla; Antonio Delachi, incaricato della contabilità generale presso la Sconto; Renato Fondi, ex funzionario della Banca italiana di sconto.
Seguirono le arringhe: prima quelle delle parti civili difese dall'av. v. Stratta e dati' aw. Bonardi; poi la requisitoria del pubblico ministero Santoro al termine della quale egli mantenne l'accusa unicamente per il comm. Pogliani e per il comm. Combe. Quindi la parola passò ai difensori: prima l'avv. Bortolo Federici in difesa del senatore Gavazzi; poi l'avv. Michele Terzaghi per il senatore Scalini; l'avv. Ungaro, per il comm. Rappaport; l'avv. Emanuele Fiano, per l'agente di cambio Onorino Paoletti; l'avv. Enrico Cavaglià, per il comm. Combe; l'on. Vincenzo Riccio; l'on. Enrico Ferri, difensore di Mario Perrone; l'avv. Raffaello Levi, altro difensore di Onorino Paoletti; l'avv. Francesco Di Benedetto, altro difensore del comm. Combe;
infine Vittorio Vaturi, difensore del comm Pogliani
Il 2 marzo 1926 l'Alta corte di giustizia emise la propria sentenza definitiva: assoluzione per tutti gli imputati. In particolare, secondo l'Alto consesso, non era provata l'attribuzione ai soci di dividendi manifestamente insussistenti per l'esercizio 1920, non costituiva reato la distrazione dall'attivo a favore di amministratori, direttori, condirettori e vicedirettori di una percentuale di utili ritenuti inesistenti per l'esercizio 1920, ne' il prelevamento a loro favore dall'attivo della somma di lire 360 mila lire come compenso per l'esercizio 1920, ne' costituiva reato il fatto ascritto al Pogliani e al Paoletti, accusati di aggiotaggio continuato, per aver prodotto in borsa un aumento del prezzo delle azioni della Banca italiana di sconto tramite il loro acquisto per conto della Banca .... nea-Italo-Caucasica-che serviva c~tanoniEalTaTSWiinto.
Nel momento in cui il processo si concludeva con la completa assoluzione di tutti gli imputati, la liquidazione dell'istituto, gestita dalla Banca Nazionale di Credito, costituita nel 1922 proprio per liquidare la Banca italiana di sconto56, era ormai stata dichiarata chiusa già dal 21 ottobre 1923.
Il concordato, omologato dal Tribunale di Roma il 29 aprile 1922, prevedeva un rimborso del 67% per i crediti inferiori a 5000 lire e del 62% per quelli superiori, del 100% per i crediti delle filiali estere. In tutto furono pagati 5 miliardi e 886 milioni di lire, 1'85% dell'intero passivo. Le spese di liquidazione e di moratoria furono pari a circa 280 milioni di lire.

Allegati

BIBLIOGRAFIA Belotti Bortolo, Il Governo e la Crisi della Banca italiana di sconto. Discorso presentato alla Camera dei Deputati nella tornata del 22 maggio 1922, Roma, Tipografia della Camera dei Deputati, 1922, pp. 52. Tambaro Ignazio, Il nuovo regolamento giudiziario del Senato, estratto dalla "Rivista di giurisprudenza di Trani", anno XXIV, fase. IX-X, pp. 1-28. Bava Umberto, I quattro maggiori istituti italiani di credito, Genova, Valugani & C., 1926, pp. 230. La Banca italiana di sconto nel processo dinanzi all'Alta Corte di Giustizia (estratto dal resoconto stenografico del dibattimento), Roma, Tipografia della Camera dei Deputati, 1927, pp. 618. Cerciello Renato, Alta Corte di Giustizia, voce estratta dal "Nuovo Digesto Italiano", 1937, pp. 358-376. Rossi Cesare, L'assalto alla Banca di Sconto. Colloqui con Angelo Pogliani, Milano, Ceschina, 1950, pp. 341. Ungaro Filippo, Sentenze a porte chiuse, Milano, Pan, 1976, pp. 115. Falchero Anna Maria, La Banca italiana di sconto, 1914-1921: sette anni di guerra, Milano, Franco Angeli, 1990, pp. 320.

Consultabilità

consultabile

Note

Decisione n. 251, 255, 275

Antroponimi

Marconi, Guglielmo Leonardi Cattolica, Pasquale Gavazzi, Lodovico Scalini, Enrico

Segnatura archivistica

ASSR, Ufficio dell'Alta corte di giustizia e degli studi legislativi, 1.2.234

Ufficio dell'Alta corte di giustizia e degli studi legislativi

1866 - 1948

buste 500 circa, 9 volumi, 14 registri, 1 rubrica

Consultabile presso la Sala studio dell'Archivio storico. Strumenti di ricerca parziali.

Il fascicolo processuale intestato a Emilio De Bono è stato descritto analiticamente ed è consultabile online, con la documentazione scansionata e associata. Per l'accesso diretto clicca qui

Digitalizzazione della documentazione a cura dei militari del Nucleo speciale commissioni parlamentari d'inchiesta della Guardia di finanza e dell'Arma dei carabinieri assegnati all'Archivio storico.

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