Unione italiana del lavoro1944 - 1998
LA UIL. LA SUA STORIA E LA CONSERVAZIONE DELLA MEMORIA
L'Unione italiana del lavoro (UIL) nasce il 5 marzo 1950. L'assemblea di fondazione si tenne a Roma, con la partecipazione di circa trecento rappresentanti delle camere sindacali che si erano dichiarate autonome dalla FIL e di quelli delle organizzazioni autonome.
La nascita della UIL caratterizzata da una connotazione politica di forte autonomia e da una più marcata azione sindacale indipendente aprì la stagione del consolidamento della democrazia dopo il ventennio fascista d'annullamento di tutte le forme di rappresentanza politica e sindacale.
Dopo la liberazione di Roma dai nazifascisti nel 1944, con il "Patto di Roma" le diverse componenti politiche del sindacato avevano dato vita alla CGIL unitaria, nella quale convivevano, con non pochi problemi, i socialisti, i comunisti, i cattolici e i laici. L'esperienza unitaria si protrasse per 4 anni, nei quali il sindacato riconquistò un ruolo centrale nel panorama politico ed economico nazionale, confermato con la firma, fin dal 1945-46, dei contratti nazionali di lavoro.
Con l'avvio della "guerra fredda" e del confronto politico e militare fra l'Occidente democratico e l'Europa orientale del blocco sovietico, il compromesso all'interno della CGIL unitaria divenne sempre più precario, rendendo impossibile il mantenimento unitario dell'organizzazione.
Il dibattito sulle rivendicazioni, sull'uso politico degli scioperi e sull'adesione al Piano Marshall, si fece aspro e violento, divenendo ragione di rottura. Nel luglio 1948, prendendo spunto dallo sciopero generale politico indetto in occasione dell'attentato a Togliatti, la componente cattolica decise di uscire dalla confederazione unitaria e dar vita alla Libera CGIL.
Un anno dopo, nel maggio del 1949, a causa dei gravi incidenti di Molinella, nella terra di Massarenti, i socialdemocratici e i repubblicani consultarono i lavoratori, affinché si esprimessero se rimanere ancora nella CGIL o no. La quasi totalità si espresse per l'uscita dalla CGIL e la costituzione di una nuova confederazione Il 24 maggio i sindacalisti socialdemocratici formalizzarono l'uscita dalla CGIL. e altrettanto fecero, nello stesso giorno, i sindacalisti repubblicani. Nasceva così, il 4 giugno 1949, la Federazione italiana del lavoro (FIL).
Anche il gruppo dei socialisti che, pur rimanendo nella CGIL dove ricoprivano importanti incarichi di responsabilità, si erano resi autonomi dal partito socialista sindacalmente appiattito sulla posizione dei comunisti all'interno del sindacato, decisero di uscire dalla confederazione e di proporre alle altre forze la costituzione di una terza confederazione laico-socialista autonoma e indipendente.
Pur percorrendo strade e tempi differenti nell'uscire dalla CGIL, le componenti socialdemocratica, repubblicana e socialista giunsero all'elaborazione di una piattaforma fondata sulla consapevolezza della validità e vitalità del ruolo che il sindacato poteva e doveva avere, in perfetta autonomia politica e sindacalmente indipendente quale portatore degli interessi esclusivi dei lavoratori. Infatti, uno dei motivi del dissenso sugli scioperi politici che furono promossi dalla maggioritaria componente comunista conteneva, oltre alle improprie finalità di scontro politico, l'ingiusto costo che i lavoratori coinvolti dovevano sopportare sulle retribuzioni.
In Italia si accese un forte dibattito su quale prospettiva dare all'organizzazione sindacale, dividendosi fra color che sostenevano l'indispensabilità di costituire una sola organizzazione che comprendesse tutte le forze uscite dalla CGIL e si contrapponesse alla confederazione socialcomunista e chi riteneva improponibile un simile disegno in una difficile convivenza fra le forze cattoliche confessionali che avevano ispirato la LCGIL e quelle laico socialiste che avevano dato vita alla FIL e alle organizzazioni autonome. Non tanto i partiti, quanto le organizzazioni sindacali periferiche seppero compiere la scelta facendo fallire il progetto del sindacato unificato nella LCGIL.
In acceso clima di guerra fredda e d'influenza sugli alleati, negli Stati Uniti quanto succedeva in Italia era seguito con molta attenzione e se alcuni ambienti del Dipartimento di Stato insieme con una delle due potenti organizzazioni sindacali l'AFL spingevano affinché, dopo una fase transitoria, si arrivasse ad un'unificazione fra la LCGIL e la FIL formando una confederazione in grado di contrapporsi a quella socialcomunista, in altri ambienti e nell'altra confederazione CIO, nella quale primeggiavano il potente sindacato dell'auto e alcune categorie dirette e fortemente legate al fuoriuscitismo italiano democratico che nell'epoca fascista emigrò negli USA, contrastarono questo progetto appoggiando la nascita di una terza centrale sindacale.
Vinte le ultime resistenze, guadagnate ampie solidarietà nazionali ed internazionali il 5 marzo 1950 nacque la UIL.
La UIL presentò un manifesto pochi giorni dopo la propria costituzione in cui elencava i cinque punti della dichiarazione programmatica che l'assemblea costitutiva aveva approvato, e cioè: indipendenza dai partiti nell'azione; radicamento nel territorio nel rispetto delle autonomie; democraticità, partecipazione e coinvolgimento dei lavoratori; ricerca dell'unità nell'azione sindacale con gli altri sindacati; attiva vigilanza ogni volta che le sorti della classe lavoratrice fossero messe in gioco.
Con la nascita, della UIL, povera di mezzi finanziari, ma forte del consenso della politica e dei lavoratori la confederazione sindacale più piccola, ma battagliera si presenterà all'appuntamento con gli impegni ed i fatti del nostro Paese con un bagaglio d'idee e proposte ed una classe dirigente di primissimo ordine. Si perfeziona in quegli anni, così, il quadro democratico della rappresentanza sindacale che caratterizzerà il panorama sindacale dalla seconda metà del secolo scorso fino ai giorni nostri.
La nascita della UIL ha rappresentato una grande novità nello scenario sindacale del nostro Paese, in particolare per i contenuti delle politiche rivendicative e sociali di cui l'organizzazione si è fatta portatrice, fin dal suo sorgere. Con il passare degli anni, queste sono diventate l'asse portante di molte scelte compiute dal movimento sindacale, unitariamente inteso, spesso affermandosi come opzioni valide per tutta la società.
Dalle grandi battaglie affrontate per democratizzare le istituzioni, a quelle per l'affermazione dei diritti sui posti di lavoro e nell'ambito delle complesse vicende civili, la Uil ha dato delle risposte concrete, sia nelle fasi di scontro più duro, come in quelle più convulse e confuse, sostenendo sempre il modello partecipativo ed i contenuti riformisti. Dal 5 marzo 1950 la Uil ha dimostrato forza e continuità, con coerenza in tutto il suo agire senza per questo rinunciare alla necessaria ricerca dei percorsi più adatti, per adeguarsi alle nuove condizioni che la società poneva in essere. Tutta la produzione elaborativa è sempre stata portata al confronto con gli altri sindacati, i partiti e le istituzioni, con la vocazione di chi ricerca il dialogo, con lo spirito di chi vuole discutere e guardare dentro i problemi, per compiere delle scelte rivendicative capaci di incidere su quelle del Paese e per la creazione di un modello di rappresentatività al passo con i tempi e con le aspettative dei lavoratori.
La Uil, a ragione, può e deve ricordare e rivendicare le sue radici, per sottolineare che nelle vicende del nostro Paese ha espresso matrici originali d'idee e progetti che hanno dato ai lavoratori voce e forza, al punto che non è possibile per nessuno liquidare la storia del sindacato come da terza forza o protagonista di rincorse faticose ai cambiamenti o, peggio, semplice testimone di questi.
Partendo dalle radici ideali è ovvio cominciare dal 1950, senza dimenticare, però, che queste sono ben più profonde. Esse si ritrovano nel patrimonio culturale dei padri fondatori del socialismo, in quello del mazzinianesimo, più in generale nella cultura laica e nell'impegno civile e politico che la sinistra sociale ha sempre espresso verso il lavoro ed i lavoratori e, soprattutto, nel sindacalismo riformista di Buozzi, cui idealmente la confederazione si è ispirata fin dalle sue origini.
Nel decennio successivo alla costituzione della UIL, una delle preoccupazioni costanti fu quella di creare i presupposti affinché la classe lavoratrice crescesse insieme allo sviluppo del paese, in modo da essere garante della costruzione di una società nel benessere, nella concordia e per la pace tra i popoli.
Lo sviluppo disarticolato ed in parte anche caotico dell'Italia poneva, con crescente urgenza, problemi nuovi che aumentavano le difficoltà di quelli già presenti, sofferti non solo dai lavoratori, ma anche da tanti cittadini. La Uil facendosene carico, divenne la principale organizzazione portatrice delle rivendicazioni indispensabili per risolverli.
Un caso per tutti è l'attenzione con cui fu seguita la situazione della politica abitativa, degli sfratti e il bisogno di case nelle grandi città, a seguito dell'inurbamento di grandi masse di lavoratori, in particolare modo per l'imponente flusso migratorio che dal Mezzogiorno spostava centinaia di migliaia di disoccupati e sottoccupati alla ricerca di lavoro al nord.
I cambiamenti maggiori si cominciarono ad intravedere intorno agli anni sessanta. In quegli anni si comincerà a parlare di politica dei redditi e di politica di piano, dell'attuazione di quelle misure che oltre a rilanciare lo sviluppo economico fossero capaci di tutelare il potere d'acquisto dei lavoratori, attraverso il contenimento e il controllo dei prezzi e delle tariffe anche con la creazione d'appositi strumenti.
Sulla programmazione la UIL incentrò il congresso del 1964, che ebbe come slogan "La programmazione rafforza l'azione sindacale e ne garantisce l'efficacia democratica".
Per quasi un decennio, la Uil continuerà ad accompagnare la propria strategia con azioni basate sulle analisi e sulle scelte riformiste in merito a: programmazione, incentivazione per i settori strategici, sviluppo di una politica industriale, difesa e sviluppo della occupazione, innovazioni sulla formazione e mercato del lavoro. E' in questo periodo, che la Uil mette a fuoco come e quanto il sindacato confederale abbia ormai raggiunto pienamente la condizione per avanzare rivendicazioni ed esprimere elaborazioni sulle trasformazioni del Paese. La Uil ha ben chiaro come le aspirazioni, che erano tali in quel marzo 1950, prendono corpo con sempre maggiore convinzione nel paese e che una nuova "epoca" sta per aprirsi.
Si spostano i rapporti di potere e di forza in fabbrica, come nella società. Il sindacato riesce a far accogliere, pressoché integralmente, molte piattaforme contrattuali dai contenuti fortemente innovativi. Esse, infatti, non solo spostano il centro delle relazioni industriali dalle problematiche individuali e professionali a quelle aziendali e di settore, ma accentuando le rivendicazioni di tipo egualitario, su temi come salario e qualifiche, diminuiscono la loro tecnicità tutto a profitto di una maggiore intelligibilità d'insieme. E' così arrivano in un sol colpo: la riduzione dell'orario di lavoro a 40 ore, gli aumenti salariali uguali per tutti, il riconoscimento del diritto di assemblea e dei consigli di fabbrica, la completa definizione dell'obbligo da parte delle imprese di trattenere le contribuzioni sindacali volontarie. Ed ancora: l'abolizione delle gabbie salariali - stabilite e rinnovate nel dopoguerra - fino all'accordo raggiunto sulle pensioni, che consentirà al sindacato di compiere quella svolta che lo portava per la prima volta a condizionare direttamente i flussi di spesa pubblica.
Il sindacato accresce notevolmente la sua capacità d'influenza a scapito dei maggiori centri di potere politico ed economico, le confederazioni si ritrovano ad essere soggetti politici di primo piano nelle scelte di sviluppo industriale e sociale di tutto il paese.
I due fatti importanti, in alcune circostanze anche decisivi, che permettono tali successi sono, da un lato una sempre più praticata autonomia dai partiti (in quel tempo si comincia a parlare d'incompatibilità) e dall'altro l'avvio di un processo d'unificazione delle tre confederazioni, alimentato dalle nuove forme di rappresentanza sui posti di lavoro garanti, con la raccolta del capillare consenso, della partecipazione dei lavoratori al processo stesso.
Tra il 1966 ed il 1970 i temi al centro dell'analisi della Uil, nei lavori dei propri organi direttivi, furono il confronto ed il ruolo del sindacato nella società democratica, la legge sui diritti dei lavoratori, la riforma penale, la riforma tributaria, tanto per citare alcuni argomenti distanti dalla normale politica rivendicativa del sindacato confederale.
Negli anni seguenti, il sindacato fornì la prova di avere il coraggio di guardare avanti sia nelle proposizioni sui problemi, sia nell'individuazione delle risposte da dare alle richieste della società. Questa con sempre maggiore insistenza chiedeva che le spinte e le nuove necessità avessero il loro soddisfacimento insieme ad una maggiore democratizzazione e partecipazione, non solo alla vita politica, ma anche in tutte quelle strutture nelle quali la gestione degli interessi collettivi era prevalente.
Ciò si riscontra nell'istituzione delle regioni, nelle elezioni dei rappresentanti nelle scuole, nella smilitarizzazione della polizia, nel nuovo diritto di famiglia, con la presa di coscienza del flagello della droga come problema sociale, nel disagio giovanile, nella necessità di una riforma della sanità, concessa a tutti e gratuita, fino ai nuovi soggetti sociali - le donne, i giovani, i disoccupati - ai quali il sindacato, nonostante i ritardi accumulati, le resistenze ed i preconcetti, duri a morire anche al suo interno, ha offerto la possibilità di fare nuove esperienze di partecipazione.
La Uil affrontò apertamente, attraverso l'attività degli organi direttivi, congressi in testa, lo sforzo per rinnovare l'organizzazione sia per farla continuare ad essere un punto di riferimento capace di ottenere sempre maggiori consensi fra i lavoratori, sia come strumento al passo con le nuove esigenze dettate dai tempi della modernizzazione. In particolare ciò avvenne nei congressi del 1977 "Partecipare per cambiare", del 1981 "Dall'antagonismo al protagonismo" e del 1985 con il "Volgersi al nuovo" del sindacato dei cittadini.
Con il congresso del 1989, la Uil si presentò con l'imperativo messaggio di "Far funzionare l'Italia". Con il Sindacato dei cittadini tutto il gruppo dirigente ha voluto segnare definitivamente il distacco dalle logiche dei partiti e da quelle tradizionali contrattuali, per ridisegnare un sindacato impegnato nel Paese, come rappresentante non solo dei lavoratori in quanto tali, ma di tutti i soggetti che si identificano nelle analisi e proposte che la Uil ha inteso realizzare. Resta traccia di questa attenzione nelle tantissime iniziative che hanno portato la Uil a denunciare: la massiccia evasione fiscale tra i professionisti, le condizioni di profondo disagio in cui la sanità si trovava , le nuove malattie sociali, come le droghe pesanti e l'Aids, le condizioni e la qualità dei trasporti e non per ultimo la sensibilità verso l'ambiente e le trasformazioni dell'habitat.
Gli anni novanta hanno avuto per il sindacato in generale, e nello specifico per la Uil, un particolare significato, poiché con il crollo della prima repubblica, in seguito al ciclone di tangentopoli, il sindacato rimase uno dei pochi punti di riferimento saldi e costanti per i lavoratori e per la nazione tutta.
Pur in presenza di un impegno sempre più ampio sul versante della democratizzazione dell'economia, come verso le necessità di fornire alcuni servizi per la tutela e l'assistenza ai cittadini e, ovviamente agli iscritti, la Uil non ha mai distolto l'attenzione dal lavoro, inteso come valore assoluto, rivendicandone la difesa e la dignità, così come indicato dalla Costituzione repubblicana. La UIL, infatti, ha realizzato gli ultimi congressi proprio su questo valore, che, purtroppo, si va perdendo, su questo diritto che rischia continuamente di essere negato. Il valore del lavoro e del sindacato, sono stati posti al centro del dibattito richiamando con forza l'attenzione di tutto il Paese. Gli slogan dei congressi sono stati: "I diritti del lavoro. Il lavoro per lo sviluppo" del 1993; "Più sindacato" del 1998. Nell'ultimo congresso "Il valore del lavoro", celebrato a Torino nel 2002, Luigi Angeletti sottolinea tra l'altro: "La necessità di ricollocare al centro dello scenario economico e politico il fattore lavoro non è il frutto di una scelta ideologica, bensì il segno del XXI secolo. La forza intrinseca del lavoro sarà l'elemento di una nuova rivoluzione culturale che riproporrà la persona al centro dell'evoluzione del sistema sociale. (..) Siamo nel mondo della conoscenza. Il lavoro in quanto espressione di conoscenze avrà più valore del capitale: la creazione di ricchezza sarà determinata più dall'accumulazione delle conoscenze che da quella dei capitali. La formazione è il motore dello sviluppo. Non c'è progresso, non c'è modernizzazione se non si alimentano i processi della conoscenza e, in un'epoca in cui i beni immateriali rappresentano una vera risorsa, la ricchezza di una nazione risiede proprio nella capacità di mettere a frutto il valore delle persone. Sono più familiari ai giovani i valori che le ideologie, le forti speranze che le illusorie certezze, la proposta di impegni che le altisonanti e vuote prospettive politiche. Ed è innanzitutto una sfida culturale quella alla quale il Sindacato è chiamato nel proporsi come soggetto rappresentativo anche di questo mondo, ancora poco sindacalizzato ma non meno bisognoso di forti tutele. Noi siamo gli eredi di uomini e di donne che hanno sempre creduto che la libertà e la giustizia sociale fossero indivisibili. (..) Noi siamo gli eredi del riformismo, di quella cultura politica che ha rappresentato il tratto migliore della storia sociale di questo paese. Abbiamo un dovere ed una grande responsabilità: perpetuare nel tempo questi valori e consegnarli a coloro che verranno dopo di noi così come essi ci sono stati tramandati".
Nei primi decenni la gestione della documentazione prodotta dalla confederazione non passa per un ufficio protocollo, né tanto meno viene organizzato un ufficio con il compito di conservare la memoria dell'azione sindacale e politica. La mancanza di queste strutture - confermata dalla inesistenza di un titolario e di segnature delle carte - fa sì che oggi nell'Archivio storico sia conservata poca documentazione relativa ai primi venticinque anni di attività della confederazione. E' infatti con la segreteria di Giorgio Benvenuto (1976-1992) che il problema della conservazione della documentazione prodotta e il tentativo di recuperare almeno parzialmente la memoria storica degli anni precedenti viene posto in maniera organica e si avviano quelle iniziative che porteranno alla costituzione dell'Archivio storico della Uil, a varie campagne di raccolta della documentazione degli anni precedenti e a un più organico meccanismo di trasmissione della documentazione non più di uso corrente dagli uffici confederali all'Archivio.
L'archivio storico viene ufficialmente costituito nel maggio del 1988 con la circolare n. 586 del 20 maggio 1988 della Segreteria generale: "la Segreteria Confederale, accogliendo una proposta avanzata in tal senso dal Crel [il centro studi legato alla confederazione], ha deciso la costituzione dell'Archivio storico della Uil". La circolare prosegue invitando alla collaborazione "tutte le strutture, ma anche i singoli dirigenti sindacali, in attività o in pensione, [a] far confluire verso l'Archivio storico della Confederazione tutto il materiale in loro possesso suscettibile di interesse per l'Archivio storico stesso". A tale scopo viene fornito anche uno schema di classificazione della documentazione della confederazione nazionale per specificare il tipo di materiali che si intendono recuperare: per molti versi l'attenzione appare rivolta alle caratteristiche di un centro di documentazione più che a quelle di un vero e proprio archivio di un'organizzazione. L'assenza di qualsiasi riferimento alla documentazione prodotta dagli uffici centrali è al riguardo emblematica.
L'attività dell'Archivio storico sia per il lavoro di approfondimento, che per gli apporti scientifici di professionisti ha prodotto un radicamento della pratica conservativa dei documenti, una capacità di gestione tra gli uffici produttori e l'acquisizione delle circolari e della corrispondenza prodotte dai diversi servizi.
Il risultato è stato il riconoscimento di "Archivio di notevole interesse storico" da parte della Sovrintendenza archivistica per il Lazio".
Unione italiana del lavoro
1944 - 1998 in prevalenza docc. da metà anni '70 ai primi anni '90 del '900; con docc. fino al 2004
voll. 318, regg. 76, fascc. 2281, bb. 509; metri lineari 11 di volumi a stampa; audiovisivi 300; manifesti, volantini, locandine e tessere 475