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Giuseppe Vacca1835 - 1878

[Giuseppe Vacca] nacque a Napoli il 6 luglio 1808, da Emmanuele (1780-1836) e da Raffaella Marzano. Suo padre, trasferitosi a Salerno, aveva partecipato nel 1799 alla difesa della Repubblica partenopea ed era stato per questo duramente perseguitato e a lungo imprigionato. Riabilitato durante la dominazione francese, aveva avuto una brillante carriera nei ruoli amministrativi del restaurato Regno borbonico come responsabile della gestione finanziaria dell'ospedale degli Incurabili di Napoli. Fu proprio Emmanuele a occuparsi dell'istruzione del giovane Giuseppe, primogenito di una numerosa prole: essa comprendeva la conoscenza degli scrittori classici, lo studio delle scienze e l'educazione musicale. Assai dotato per lo studio, a soli quattordici anni Giuseppe era in grado di suonare egregiamente il violino, avendo avuto come insegnanti due celebri violinisti del tempo, Onorio De Vito e Giuseppe Festa, ma soprattutto grazie alla guida del maestro Niccolò Paganini. Laureatosi a soli diciannove anni, seguì le orme del nonno paterno, suo omonimo, che aveva ricoperto il ruolo di capo ruota nell'amministrazione giudiziaria. Entrò infatti in magistratura nel 1828 grazie a un concorso per l'alunnato e nel gennaio del 1832 cominciò a ricoprire l'ufficio di giudice soprannumerario del tribunale civile di Napoli, per poi passare, nel corso del 1836, alle funzioni di giudice ordinario dapprima presso il tribunale civile di Trani e quindi presso quello di Santa Maria Capua Vetere. La sua carriera in magistratura fu particolarmente rapida, grazie anche alla stima di cui godeva presso Nicola Parisio, ministro della Giustizia dal 1831 al 1848. L'esperienza lavorativa proseguì nel corso del 1838 come giudice presso la Gran Corte criminale di Chieti e come procuratore del re presso il tribunale civile di Reggio Calabria. Nel 1839 si spostò al tribunale di Chieti, nel 1841 a quello di Lucera e dell'Aquila, prima di approdare sempre nel 1841 al ruolo di giudice della Gran Corte civile di Catania. Nel 1843 divenne consigliere di corte d'appello a Napoli, nel 1847 procuratore generale presso la Gran Corte criminale di Lecce e infine, nel 1848, ricoprì lo stesso ruolo presso la Gran Corte criminale di Salerno e di Napoli. Sempre nel 1848 venne coinvolto come sottosegretario di Stato dai governi costituzionali guidati da Nicola Maresca Donnorso e da Carlo Troya, rispettivamente presso il dicastero dell'Interno e della Giustizia, nel momento in cui suo fratello Federico ricopriva il ruolo di capo sezione presso il ministero dell'Interno. Fiducioso delle garanzie concesse da Ferdinando II con la costituzione dell'11 febbraio 1848, presentò un Indirizzo al re, in cui venivano descritte le tristi condizioni del Paese e venivano indicati i rimedi per sanarle. Ma la svolta conservatrice voluta dal re in risposta ai disordini del 15 maggio determinò la sua sospensione dalla carica e il ritiro dai pubblici uffici (14 settembre 1848), e in seguito l'arresto (10 febbraio 1850) e la reclusione per ben nove mesi senza processo nelle carceri di S. Maria Apparente, dove trovò come compagni di prigionia Liborio Romano e Antonio Scialoja. Dal novembre del 1850, grazie all'intercessione del fratello Giovanni, ufficiale superiore della Marina napoletana, venne inviato in esilio in Toscana, stabilendosi a Firenze. Poté tornare in patria per assistere la madre morente, ma rimase comunque sottoposto al controllo della polizia borbonica. Alla fine di settembre del 1859 venne però nuovamente arrestato ed espulso dal Regno. Ritiratosi ancora in Toscana, dove entrò in contatto con altri fuoriusciti liberali e dove maturò la sua idea di unificazione nazionale sotto l'egida dei Savoia. Alla vigilia dell'arrivo dei garibaldini a Napoli, Francesco II, succeduto al padre Ferdinando, emanò l'Atto sovrano del 25 giugno 1860, con cui veniva concessa un'amnistia per i reati politici e veniva conferito ad Antonio Spinelli l'incarico di formare un nuovo gabinetto di governo. Richiamato a Napoli, a Vacca venne offerto il ruolo di ministro della Giustizia, ma decise di non accettarlo. Anzi, insieme ad altri liberali napoletani e ad alcuni esuli meridionali appositamente rientrati in patria, quali Giuseppe Pisanelli e Silvio Spaventa, iniziò a svolgere un'intensa attività politica in seno al consiglio direttivo del Comitato dell'ordine, che si riconosceva su posizioni moderate e tentava di dare attuazione al disegno politico di Camillo Benso di Cavour. Anche dopo la fuga di Francesco II a Gaeta e la costituzione del governo prodittatoriale di Giuseppe Garibaldi, Vacca continuò a impegnarsi per l'annessione al Piemonte dell'ex Regno borbonico. Il 17 settembre 1860 venne richiamato in magistratura con il grado di procuratore generale presso la Corte suprema di giustizia di Napoli e il 20 gennaio 1861 venne nominato senatore. Da quel momento partecipò attivamente ai lavori dell'Assemblea, dove esercitò le funzioni di vicepresidente dal 3 febbraio 1861 al 21 maggio 1863. Per quanto riguarda l'attività parlamentare, entrò subito a far parte della commissione incaricata di esaminare il progetto di codice civile predisposto dal guardasigilli Pisanelli; a Vacca si deve la relazione del terzo libro. Il progetto poté ottenere l'approvazione del Senato, ma non fece in tempo a essere ratificato dalla Camera per la caduta del governo Minghetti. Vacca si distinse inoltre per la sua Interpellanza sulle cose di Roma (1861), presentata a sostegno delle tesi cavouriane sulla questione romana e l'unificazione nazionale, e vigilò costantemente sulla situazione delle province meridionali annesse al Regno d'Italia, inviando appositi memorandum ai presidenti del Consiglio Cavour e Bettino Ricasoli. Nel frattempo, a partire dal 6 aprile 1862, assunse il ruolo di procuratore generale della Cassazione di Napoli, da lui inaugurata con un discorso pronunciato il 1° maggio dello stesso anno (le relazioni inaugurali degli anni giudiziari, pronunciate da Vacca presso la Corte di cassazione di Napoli tra il 1862 e il 1876, sono consultabili sul sito del ministero della Giustizia: https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_22_4_4_3.page). Da quel momento la Corte che lui presiedeva, insieme alle analoghe istituzioni di Torino, Firenze e Palermo, anch'esse già operative negli Stati preunitari, passava a esercitare la propria funzione di tribunale supremo nell'ordinamento del nuovo Regno d'Italia. Dal 30 gennaio 1863, Vacca divenne membro della commissione preposta all'esame del codice della marina mercantile e partecipò alla discussione sulle leggi speciali di contrasto al brigantaggio. Nel settembre del 1864 entrò infine a far parte del secondo governo La Marmora, succedendo a Pisanelli come ministro di Grazia e Giustizia. Il primo obiettivo di Vacca fu quello di superare la precarietà giuridica del Paese e di dotarlo di leggi uniformi in campo civile e penale. Per questo motivo, nella tornata del 24 novembre 1864 presentò un progetto di legge per l'unificazione legislativa del Regno, in base al quale il Parlamento avrebbe delegato al governo la formulazione definitiva dei codici civile, di procedura civile e della marina mercantile e la possibilità di renderli esecutivi con semplice decreto. Assieme ai codici, sarebbero stati anche estesi alla Toscana il codice di procedura penale sardo del 1859 e la legge Rattazzi sull'ordinamento giudiziario. La commissione della Camera espresse, questa volta su relazione di Pisanelli, il suo giudizio favorevole, e con decreti del 25 giugno 1865 i tre codici vennero promulgati, includendo nel pacchetto di norme anche il codice di commercio, inizialmente non previsto (il codice di procedura penale e l'ordinamento giudiziario vennero promulgati in seguito, tra il novembre e il dicembre del 1865). Il guardasigilli Vacca non dimenticò poi di affrontare l'annoso problema della Corte suprema, rispetto al quale nominò un'apposita commissione delegata a rispondere a un lungo elenco di quesiti, la cui risoluzione avrebbe dovuto fornire la chiave per definirne finalmente l'ordinamento, scegliendo tra le diverse soluzioni di distribuzione in sezioni distinte, ovvero di accentramento in un'unica sede. Molto burrascoso fu invece il rapporto di Vacca con la Chiesa. L'8 gennaio 1865 emanò una circolare ai vescovi italiani nella quale veniva proibita la pubblicazione, in assenza di autorizzazione governativa, dell'enciclica di Pio IX Quanta cura, contenente in allegato il Sillabo, cioè l'elenco di 80 proposizioni relative alle posizioni culturali e ideologiche (quali liberalismo, razionalismo, socialismo ecc.) ritenute incompatibili con la dottrina della Chiesa. L'intransigenza del ministro venne confermata dalla condanna comminata al vescovo di Mondovì, Tommaso Ghilardi, colpevole di non aver ottemperato alle disposizioni governative, suscitando così la reazione di altri vescovi e in particolare quella di Vincenzo Gioacchino Pecci, futuro papa Leone XIII, intervenuti prontamente a contestare la circolare del guardasigilli. Di fronte alla progressiva radicalizzazione dello scontro, il ministro dell'Interno, Giovanni Lanza, fu costretto a intervenire con r.d. del 5 febbraio 1865 per autorizzare la divulgazione dell'enciclica. Nel frattempo, nella tornata del 12 novembre 1864, Vacca aveva presentato insieme al ministro delle Finanze Quintino Sella un progetto di legge per la soppressione delle congregazioni religiose e la liquidazione dell'asse ecclesiastico, che avrebbe consentito allo Stato di ottenere un notevole introito finanziario. Il progetto venne contrastato dal mondo ecclesiastico, ma anche dalla commissione della Camera chiamata a esaminarlo, che non si limitò all'introduzione di semplici emendamenti, ma ne propose la sostituzione con un vero e proprio controprogetto di ispirazione ricasoliana, che mirava a escludere ogni ingerenza governativa dal patrimonio ecclesiastico. Nel corso della discussione del 27 aprile 1865 Vacca fu così costretto a ritirare il disegno di legge, condizionato anche dall'andamento delle trattative che parallelamente, su incarico del re, Francesco Saverio Vegezzi stava conducendo dall'inizio dell'anno con lo Stato pontificio in merito all'assegnazione delle sedi vescovili vacanti, senza peraltro coinvolgere il dicastero della Giustizia. Considerando il mancato appoggio del governo come fortemente lesivo del suo prestigio e la bocciatura del progetto come un atto di sfiducia per la sua azione di ministro, decise di rimettere il mandato di guardasigilli, dimettendosi il 9 agosto 1865. Dal 18 novembre 1865 al 13 febbraio 1867 Vacca assunse nuovamente la carica di vicepresidente del Senato, dopo essere rientrato in magistratura, all'indomani delle sue dimissioni dall'esecutivo, come procuratore generale presso la Corte di cassazione di Napoli. Nel 1869, mentre ricopriva tale ufficio, presentò un progetto di legge finalizzato a garantire l'indipendenza e l'autonomia dell'ordine giudiziario dalle ingerenze dell'esecutivo, che tuttavia non venne neppure esaminato dall'Assemblea. Dal maggio del 1870 fu impegnato nell'esame del progetto di legge sui giudici conciliatori e, nel corso dell'XI legislatura, nella presentazione di un nuovo progetto di legge per la modifica dell'ordinamento giudiziario. Rispetto alla sua attività di magistrato e di giurista, invece, oltre alle prolusioni pronunciate in occasione dell'inaugurazione degli anni giudiziari, è da ricordare il contributo alla pubblicazione in lingua italiana di un'opera di Karl Joseph Anton Mittermaier sulle giurie popolari, in cui, secondo un costume diffuso tra i giuristi del tempo, veniva affrontato lo studio comparato dei sistemi giuridici stranieri per individuare gli istituti più idonei alla costruzione del nuovo ordinamento nazionale (Il giudizio popolare nella forma del giurì e del tribunale degli scabini secondo le moderne legislazioni per C.G.A. Mittermaier pubblicato per le cure di Giuseppe Vacca, Napoli 1868). Proprio da questa esperienza trasse lo spunto per argomentare la sua relazione al progetto di legge per modificazioni all'ordinamento dei giurati e alla procedura avanti le corti di assise. L'ultima fatica parlamentare fu però l'intervento in aula sull'istituzione dei depositi franchi (11 luglio 1876), allorché Vacca, da sempre ritenuto vicino alla Destra, non esitò a schierarsi tra i sostenitori del progetto presentato dal governo Depretis, suscitando la riprovazione dei colleghi di partito, senza peraltro conquistare il plauso dei tradizionali oppositori. Fortemente provato dagli attacchi personali subìti all'indomani di quella discussione parlamentare, venne colto da un probabile ictus cerebrale che lo condusse in brevissimo tempo alla morte, avvenuta a Napoli il 6 agosto 1876. Le esequie avvennero in forma privata secondo le sue volontà, ed essendo celibe venne compianto solo dai parenti più stretti, come i fratelli Giovanni e Federico, la sorella Emilia e i nipoti Ernesta ed Emmanuele Rocco (i fratelli Ernesto ed Enrichetta erano morti in giovane età). Pochi mesi più tardi, tuttavia, su deliberazione del Consiglio comunale partenopeo, fu disposto il trasferimento della salma nel cimitero di Napoli, nella zona destinata a ospitare gli uomini illustri della città, dove il 18 novembre 1877 venne inaugurato un monumento alla sua memoria. Un'autobiografia relativa al decennio 1840-50, contenente le sue riflessioni politiche sull'esperienza rivoluzionaria del '48 e soprattutto alcune considerazioni sul rapporto tra potere politico e magistratura nel periodo della repressione borbonica, venne pubblicata postuma, all'inizio del Novecento, dal nipote Emmanuele Rocco (Le mie prigioni, 1840-1850: ricordi e impressioni, Napoli 1911).


Voce "Vacca, Giuseppe" di Cristina Ivaldi, in Dizionario biografico degli italiani - Volume 97 (2020)

Giuseppe Vacca

1835 - 1878

5 volumi rilegati e 1 busta di fogli sciolti (3 bb. + 1 volume fuori formato e fuori busta).

Disponibile per la consultazione online.

Digitalizzazione della documentazione a cura dei militari del Nucleo speciale commissioni parlamentari d'inchiesta della Guardia di finanza e dell'Arma dei carabinieri assegnati all'Archivio storico.

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