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ZUMBINI Bonaventura

10 maggio 1836 - 21 marzo 1916 Nominato il 04 marzo 1905 per la categoria 18 - I membri della Regia accademia delle scienze dopo sette anni di nomina provenienza Calabria

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Giuseppe Manfredi, Presidente

La morte, non sazia, ci ha colpito ieri, spegnendo in Portici il senatore Zumbini. Nato in Pietrafitta di Cosenza il 10 maggio 1836, giovane in Napoli portò l'ingegno non comune; vi acquistò cultura straordinaria, e crebbe alla scuola del De Sanctis nella letteratura e negli studi critici. Del discepolo apprezzò il maestro la ricchezza e vigoria della mente, ne animò le forze, e gli aprì la via a salire. Sorprendente fu la sua vittoria nel concorso alla cattedra, che era stata occupata dal Settembrini; dalla quale per 25 anni dettò con onore, in somma stima de' colleghi, amato dai discepoli, in fama di uno dei migliori docenti dell'Ateneo napoletano. Modesto e dignitoso, la vita condusse tra l'insegnamento e le pubblicazioni del prodotto de' suoi studi. I suoi lavori lo posero nel novero de' più forti critici italiani. Nuove vie trovò all'indagine delle relazioni fra la letteratura italiana e le straniere, delle quali fu grande conoscitore. Sono celebri, fra gli altri, i saggi sul Petrarca, sul Monti, sul Leopardi.
Nominato senatore il 4 marzo 1905, fecesi ascoltare in questa Assemblea con attenzione su gli argomenti a lui cari, l'insegnamento e gli istituti di cultura. Appartenne al Consiglio superiore dell'istruzione; fu dell'Accademia della crusca, e della Società reale di Napoli.
Il gravare degli anni e l'indebolimento, che sentì delle forze fisiche, non gli scemarono le intellettuali. Ultimo mirabile frutto di queste fu il volume sul Gladstone e le sue relazioni con l'Italia; dedicato” alla sua Calabria con cuore di figlio amoroso ed altero di tanta madre”.
Bonaventura Zumbini fino all'ultimo la sua attività informò al culto delle glorie letterarie e delle civili memorie della patria. (Approvazioni). [...]
CHIMIRRI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CHIMIRRI. [...]
Ieri spirava l'anima nobilissima il nostro amato collega Bonaventura Zumbini, nella sua villa di Bellavista sulle pendici vesuviane, ove si era ritratto chiedendo a quelle aure balsamiche ristoro alla travagliata salute.
In lui il candore della mente e la mitezza del carattere facevano contrasto all'alato ingegno e alle forti e austere qualità della sua stirpe.
Entrò tardi a far parte di questo alto consesso preceduto dalla grande riputazione, acquistata entro e fuori d'Italia, con gli studi critici e letterari.
Discepolo del De Sanctis seguì le orme del sommo maestro, ma senza ricalcarle, dando alla critica letteraria più vasti orizzonti, che oltrepassano le frontiere del proprio paese e rivelano, il bello artistico in tutte le sue varie manifestazioni e le sue attinenze.
L'amore per l'arte italiana lo spinse a ricercarne l'intima struttura e le più squisite bellezze negli studi su Petrarca, su Boccaccio, su Leopardi. Il Bonghi, parco lodatore, definì lo studio sulla poesia di Vincenzo Monti un modello di critica letteraria.
La conoscenza delle antiche e delle straniere letterature gli inspirarono i saggi così ricchi di sagaci osservazioni e di ingegnosi confronti su Milton, su Shakspeare, su Klopstock, su Goethe e su Lessing.
In Napoli, ove trascorse la parte migliore della faticosa sua vita, cominciò a collaborare in giornali scientifici e letterari con Bertrando Spaventa, con Imbriani e poi con Fiorentino e Felice Tocco, splendida pleiade di ingegni ed anime calabresi.
A Napoli occupò degnamente la Cattedra di Luigi Settembrini. Fu per due anni rettore dell'Università.
Affievolito dal male, che lo minava, volle ritirarsi dall'insegnamento. Il ministro, per non privare l'ateneo napoletano di così chiaro insegnante, gli propose di tenere la; cattedra, nominandogli un supplente. Ripugnando alla sua coscienza retta di prendere l'emolumento di un ufficio, che non poteva compiere, rifiutò l'offerta.
L'ultimo libro da lui pubblicato ha per titolo: Gladstone e i suoi rapporti con l'Italia.In quel libro raccolse le lettere e i discorsi del grande statista inglese in favore della indipendenza italiana.
In uno di quei discorsi, pronunziato nell'aprile del 1862 l'eloquenza di Gladstone proclamava innanzi al Parlamento inglese ed al mondo civile il diritto dell'Italia di liberarsi dagli interni ed esterni dominatori per assurgere infine a dignità di nazione entro i suoi naturali confini.
Quella pubblicazione, fatta in marzo del 1914, parve un monito ed era un felice presagio. Con animo profondamente commosso, in nome mio e dei colleghi onorevoli Cefaly e degli altri senatori calabresi, mando al caro estinto l'estremo saluto e propongo che il Senato invii all'Università di Napoli, alla città di Cosenza e alla famiglia Zumbini, le più vive condoglianze. (Vivissime approvazioni).
DEL LUNGO. Domando, di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DEL LUNGO. L'addio che noi vecchi diciamo agli amici i quali ci precedono di là, riflette con mesta dolcezza memorie care di lontani anni; e quei lontani anni sono gli anni belli del risorgimento nazionale, quando, superate onoratamente le prove della guerra santa, i pensieri e gli affetti che l'avevano mossa e animata di sé si comunicavano, liberi finalmente, dall'una all'altra delle regioni italiche riunite a formare nel cospetto delle nazioni ha patria italiana. Erano gli anni, nei quali imparavamo a conoscerci, meglio che sin allora non avessimo potuto, a pregiarci, ad amarci, in comunione intima di menti e di cuori, che saldava la recente unità politica del nostro paese. Le memorie delle conoscenze fatte allora, la lieta impressione di certe che allora erano come rivelazioni degli uni agli altri, l'entusiasmo di quelle amicizie, rifioriscono in ogni anima bennata, quando se ne porge occasione. Ma l'occasione è, ahimè troppo spesso, il lutto per un'altra tomba che si dischiude!
Di tali memorie, una di quelle che io porto più profondamente scolpite nel cuore, è la memoria di un opuscolo, modestamente impresso a Cosenza, che, non raccomandato dall'autorità di nessun sodalizio accademico, sopravvenne, là in uno di quelli anni, e trascorse rapidamente di città in città della giovine patria, a parlarci di letteratura nazionale; e che, inviato per notizia agli insegnanti, io ricevevo non ricordo l'anno, ma dovette essere verso il 1870. L'opuscolo prendeva argomento da un libro le Lezioni,del Settembrini; un libro di fede e di passione. L'ignoto scrittore era un giovine calabrese, Bonaventura Zumbini; della cui morte oggi l'eco si diffonde fra il rimpianto di tutta Italia, ed anche più dolorosamente si ripercuote nell'Aula del Senato, onoratosi fino aieri dell'ingegno e delle virtù civili di lui.
Il concetto nazionale della letteratura, perseguito, come ho detto, con passione dal martire dell'ergastolo borbonico, era sin da quel libretto, e fu poi sempre in tutte le manifestazioni della mente e del cuore dello Zumbini, un ampio e sereno e non meno entusiastico raccoglimento di tutti gli elementi dei bello e del buono, quanti concorrono ad informare i capolavori dell'arte; dell'arte, che alle passioni, anche nobili e degne, sovrasta e sorvola e domina conciliatrice di opinioni e di tendenze, e custoditrice alla umana civiltà de' suoi alti e immutabili ideali. Siffatto concetto della essenza e delle funzioni dell'arte aveva nello Zumbini avuto il saldo fondamento d'una, vasta e molteplice conoscenza della letteratura nostra e delle classiche e delle straniere; ma gli si era perfezionato mercé le doti si dell'ingegno e sì dell'animo per le quali la diligenza delle ricerche scrupolosa e quasi direi diffidente, l'acume della osservazione, la dirittura dei giudizi, si accompagnavano alla profondità e alla gentilezza del sentimento, agli spontanei e vigorosi impulsi del cuore, aperto sempre, così negli studi come nella vita, ad ogni impressione di bene, ad ogni ispirazione generosa. Per tal modo egli fu e rimane esempio nobilissimo di coerenza dello scrittore con l'uomo, in una immagine di Savio Gentile, "pensoso più d'altrui che di sé stesso", e che al conseguimento di fini sempre alti e degni non crede aver mai sopperito abbastanza con cure e fatiche sufficienti e adeguate.
L'ultima volta che io ho conversato con lui, la cui salute si vedeva precipitare d'anno in anno, mi parlò a lungo d'un nuovo volume che preparava e che gli amici devono ora proporsi di pubblicare essi per lui; un volume destinato a raccogliere le supreme testimonianze della sua vecchiezza, tuttavia pertinace e valida al lavoro. Mi parlò in particolare, e poco prima me ne aveva scritto, d'uno di quei saggi a cui gli aveva dato opportunità, o forse (mi compiaccio pensarlo) l'ispirazione, uno scritterello mio, concernente una pagina del nostro martirio, pel risorgimento, un episodio attinente a quel nefando glorioso Spielberg, che lo Zumbini visitò in pellegrinaggio patriottico e con parole commosse e commoventi descrisse. E per lettera e a voce m'interrogava con intenso desiderio, se nulla, a mia saputa, fosse d'aggiungere a cotesta pagina pia del grande libro nel quale la storia d'Italia risorgente è vergata in note di sangue e di luce. Mi è caro, pertanto, il pensare, e poter dire cui oggi fra voi, che siccome la prima mia conoscenza di lui si congiunge con una visione luminosa dei caratteri nazionali della nostra letteratura, così, nell'ultima conversazione della nostra lunga e fida amicizia, io abbia come sentito battere il suo vecchio cuor generoso verso i fasti e i tristi della patria eroica; mentre gli occhi nostri si affisano, e fino a ieri oh con quanto affetto anche i suoi si affisavano, nella sicura aspettazione dei nuovi integrativi destini di lei, rivendicata compiutamente a se stessa per cooperare all'avvenire e ai trionfi della civiltà universale. (Vivissime approvazioni).
COCCHIA. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
COCCHIA. Mi consenta il Senato che in nome dell'Università di Napoli io con tutto il cuore mi associ alle belle parole che sono state pronunziate in memoria di Bonaventura Zumbini.
Modesto rappresentante della sua prima scuola, a lui fui congiunto per i vincoli di viva e profonda amicizia non mai. interrotta 'per lo spazio di quaranta anni, tanto che negli ultimi tempi abbiamo insieme diviso le ansie affannose di questa crudel guerra ed oggi stesso io porto ai colleghi del Senato il saluto che egli mi diede, non più di quarantotto ore fa, quando mi recai da lui con la speranza nel cuore di poterlo salutare ancora, al ritorno da quest'Aula, intento tuttora a quelle meditazioni interiori che furono l'unico suo pascolo el'unico sollievo in una vita veramente degna d'esser vissuta.
Ma l'uomo insigne che ci ha abbandonato è soprattutto meritevole di ammirazione, quando lo si consideri nell'ambiente da cui egli uscì come una rivelazione improvvisa del genio meridionale. L'uomo che lo rivelò per la prima volta al mondo della cultura fu uno dei più grandi evocatori del nuovo spirito italiano: Francesco De Sanctis. Lo conobbe nella natìa Cosenza tra il '49 ed il '50, quando Bonaventura Zumbini contava appena quattordici anni. La intimità che tra i due si istituì in quell'ora fu determinata dal culto comune che spontaneamente in loro si era acceso per quel grande che riposa in Napoli e che aveva ridestato dal suo letargo di morte la poesia italiana, facendola assurgere ad altezze che aveva solo toccato al tempo di Dante. Fu la potenza del genio di Giacomo Leopardi che ricongiunse questi due spiriti sovrani nel 'campo della critica letteraria.
È meraviglioso notare come una recente pubblicazione, in cui sono sventati per merito di coloro stessi che li avevano messi in giro, falsi apprezzamenti sull'opera del grande critico calabrese, abbia rivelato che il De Sanctis non ispirò al suo alunno, come pur si era detto, il culto per Giacomo Leopardi, ma che essi si trovarono insieme congiunti in questa consapevole ammirazione. Infatti un proemio dettato dal De Sanctis al primo Epistolariodel Leopardi, pubblicato a Napoli dopo il 1850, già additava all'ammirazione il giovane critico cosentino, che poi sì grande doveva diventare e sì larga orma imprimere nell'ardua indagine della genesi, profonde dell'opera d'arte.
Ed è causa insieme d'ammirazione e di sorpresa avvertire come Bonaventura Zumbini in così giovane età già avesse potuto sentire per lo sventurato poeta del dolore universale quell'ammirazione, che fu ispirata poi al resto, della penisola sopratutto da questi, due grandi scrittori, e grandi critici del Mezzogiorno. Ma egli è che l'ambiente meridionale, sopratutto in quel periodo di tempo che corse tra il 1830 e il 1850, è spesso obliato da coloro stessi che vi appartengono.
Il Mezzogiorno, tanto facile ad obliare se stesso in una di quelle sublimi. indifferenze a cui così facilmente indulge, è disposto perfino a sentir calunniare la grandezza della propria storia. Ma chi pensa che, attraverso le due grandi rivoluzioni: della repubblica partenopea e del 1820, si era preparato e temprato il carattere del Mezzogiorno d'Italia, non deve maravigliarsi se in quel periodo di tempo che va dal 1830 al 1850 si sentisse in Napoli un profondo bisogno di mettere in comunicazione lo spirito del Mezzogiorno con quello del mondo. Ma. sorprende il notare come, senza maestri, senza altre comunicazioni col mondo della cultura, avessero sentito così potente questo desiderio i rappresentanti dallo spirito di una nazione che cominciava a maturare allora appena il suo rinascimento e anelava ad affrancarsi dalla soma di vecchi pregiudizi, non peranco interamente scossi. Ed è solo in questo desiderio intimo, da cui la scuola di Napoli si mostrò pervasa, in questo maraviglioso rigoglio del pensiero che noi possiamo spiegare il fenomeno singolarissimo, per cui nel 1868 Bonaventura Zumbini si rivelò di un tratto un grande e singolare innovatore negli studi critici. Ma si rivelò altresì un intemerato patriota, che non negava la sua devozione a chi del patriottismo aveva fatto l'usbergo della sua anima e la religione della propria esistenza. Luigi Settembrini, il grande ergastolano del bagno penale di Santo Stefano, aveva la impressionabilità spontanea della sua grande anima di artista, e quindi tutte le attitudini per poter penetrare le bellezze sovrane dell'arte vera e genuina. Ma egli subordinava la missione della Poesia agli ideali della patria, coi quali non poteva né sapeva transigere. Il De Sanctis rimase come sorpreso di quello splendido Saggio sulle Lezioni di letteraturadel Settembrini, che rivelava nel suo autore un ingegno maturato i così d'improvviso al bel sole della Calabria nativa, quando non ancora aveva avuto occasione di porre il piede fuori dell'ambiente paesano. Ed infatti lo Zumbini mi raccontava che egli capitò a Napoli solo verso il '69 e che il suo primo pensiero fu quello di recarsi alla vecchia università, nell'Aula di Giambattista Vico, dove in quel tempo insegnava Luigi Settembrini. Si collocò al primo banco, desideroso di sentire dalla parola del maestro quella che fosse la vita interiore di chi soleva inspirare e compenetrare le sue lezioni col culto dell'amor di patria. Ma il giorno in cui egli capitò in classe era giorno di conferenza, sicché il maestro dall'alto della cattedra si volse proprio a quel giovane, perché conferisse sulla lezione a cui egli non aveva assistito. Il maestro non seppe mai che il rossore, di cui il viso infantile del giovane inesperto si soffuse in quell'ora, rivelava le trepide ansie di una coscienza che aveva sentito il desiderio di attingere alla libertà dello spirito la forza di contrapporsi alle sue dottrine e di entrare in così ardito e nobile duello con lui. Lo Zumbini riconosce l'ammirazione legittima, che il mondo deve allo splendido autore della Protesta,al grande patriota il quale aveva educato generazioni d'italiani all'olocausto devoto alla fortuna della patria. Ma egli non sa consentire che si subordini l'apprezzamento della poesia a fini che eccedono la concezione intima e veramente vitale dell'arte. Questo Saggioaudace e maraviglioso di critica che rampollava dal genio del giovane studioso, era stato soltanto il frutto di una compenetrazione intima in cui egli si era messo col pensiero straniero.
Tutti i frutti più splendidi, che ne maturarono più tardi nella sua intelligenza, trassero appunto la ispirazione da questi due sovrani amori, dall'amore per il poeta della sua infanzia Giacomo Leopardi, dal desiderio, anzi dalla brama di poter compenetrare l'animo suo di queste visioni più splendide della bellezza, onde tutto il ciclo dell'arte era soffuso. In quest'opera maravigliosa egli aveva certamente avuto lo stimolo nella parola del grande maestro irpino, il quale liberando la critica letteraria da tutti i pregiudizi scolastici da cui era contaminata, l'aveva rivolta a sentire tutte le forme della bellezza poetica, qualunque fossero i sentimenti e le tendenze politiche o religiose da cui potesse sembrare inspirata, dacché il grande critico comprendeva che tutti questi sentimenti e queste tendenze rimanevano nello sfondo della coscienza, e non avevano la forza di contaminare o turbare la genuina creazione della vera genialità artistica. Ma il De Sanctis, che aveva dato l'esempio per liberare lo spirito da ogni fallace apprezzamento, non aveva trovato modo di illustrare i capolavori dell'arte straniera; mentre lo Zumbini volle dimostrare col fatto che l'Italia era già matura per assurgere a questa valutazione.
La letteratura nostra dal tempo del Petrarca, e del Boccaccio, e soprattutto nel periodo della. Rinascenza fino alla metà del secolo XVIII, aveva determinate e inspirate quasi tutte le forme dell'arte nella letteratura universale; ma dal secolo XVIII in poi aveva subito a sua volta l'influenza del pensiero straniero. In questo reciproco ricambio di sentimenti l'Italia non aveva fatto che ricevere una piccola parte di quello che aveva dato al mondo dello spirito. Io non ho bisogno di ricordare quali siano le opere, a cui la fama dello Zumbini è consacrata in maniera da sfidare l'ingiuria del tempo. Io debbo soltanto ricordare in quest'Aula, che l'ultimo libro da lui composto fu quasi un prologo di questa nobile azione di guerra, in cui l'Italia ha sciolto il suo debito di gratitudine verso la Francia del terzo Bonaparte, e verso l'old great Britaindi Lord Palmerston, John Russell e Guglielmo Gladstone,
Ma a coloro, i quali non ricordano il momento e l'ispirazione di questo libro, che fu scritto nel periodo del cinquantenario, può sfuggire il sentimento alto e nobile che ha dettato quest'opera, Bonaventura Zumbini volle testimoniare con quel saggio l'ammirazione degli italiani per questo splendido cavaliere dell'umanità; ma egli volle soprattutto ricambiare con quel libro l'omaggio che Guglielmo Gladstone ave va tributato allo spirito italiano, riconoscendo che i primi saggi dello Zumbini sulla poesia del Milton e sul Viaggio del Pellegrinodi Bunyan, rappresentavano l'illustrazione più splendida e felice della grande poesia puritana inglese. Basta ricordare appena l'interpretazione maravigliosa e memoranda del Satana del Paradiso perdutoper comprendere d'un tratto le altezze, a cui la critica dello Zumbini poteva senza trepidazione elevarsi.
Egli è che lo Zumbini ebbe al pari del critico, a cui succedette sulla cattedra napoletana e che egli aveva così vivacemente contraddetto, una sovrana virtù: la potenza somma e sincera dell'impressionabilità, artistica.
Tutti coloro, che hanno avuto la fortuna di ascoltare la sua voce mirabile, sanno che egli aveva il senso e l'intuito fine, sicuro e mirabile, per additare a chi l'ascoltasse le scaturigini più intime della bellezza poetica e conduceva a far cogliere quasi con mano d'onde questa bellezza fosse rampollata e per cui s'imponesse all'ammirazione degli studiosi.
Or è appunto in questa sicura compenetrazione coll'intima essenza dell'opera d'arte che s'incarna tutta la potenza del genio dello Zumbini. Egli trasfonde nella sua opera il riflesso di queste due sovrane qualità di mente: la penetrazione profonda dello spirito e la bontà immensa dell'animo. Sono queste le due sole virtù, per cui la potenza dello spirito è fatta capace di raggiungere il limite estremo della genialità. È soltanto da quest'altezza che la mente dello studioso può veramente esser fatta degna di attingere il segreto della grandezza in tutte le manifestazioni della vita e dell'arte. A contatto di questa rivelazione improvvisa, in cui è dato di sorprendere i segreti del genio nella produzione dell'opera d'arte, la mente del critico attingeva la forza per rilevarne gl'ineffabili misteri all'anima umana, sempre impaziente ed anela di dissetarsi e di tributare il suo culto a tutte 'le manifestazioni, a tutte le sorgenti imperiture e perenni della bellezza.
(Approvazioni vivissime).
MELE. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MELE. Ho chiesto la parola non per commemorare Bonaventura Zumbini, che la commemorazione - anche se oggi ne fosse il tempo - è cosa tanto superiore alle mie forze, e del resto è stata già magistralmente fatta da' precedenti oratori, ma per obbedire agli impulsi del mio cuore, per compiere verso l'illustre estinto un dovere di gratitudine. E il Senato consentirà che l'amico pianga l'amico, che il discepolo pianga il maestro de' suoi più verdi e più giovani anni. Né potrei parlare altrimenti in quest'ora piena di angoscia. Io vedo sparire con lui tutto un passato di studi, di affetti, di aspirazioni, e ricordando lui mi par di vivere nei giorni, in cui il modesto insegnante, nato in un alpestre paesello, perduto nel grande anfiteatro silano, e cresciuto, maestro di sé stesso, in una modesta città di provincia, sedeva rispettato ed applaudito nella cattedra gloriosamente tenuta da Francesco De Sanctis e da Luigi Settembrini.
Il suo esordio nell'arringo letterario fu una vera e propria rivelazione. Egli cominciava dove altri sarebbe stato lieto di finire; ed il suo primo scritto, piccolo di mole, come ha testé detto l'onorevole senatore Del Lungo, lo mise subito al livello dei maggiori critici d'Italia, Ben lo comprese la gioventù, che si strinse attorno al grande educatore con fede e con entusiasmo. E dalla scuola di Bonaventura Zumbini sono venuti fuori giovani pieni di valore, che oggi onorano grandemente gli studi italiani. Ed è notevole questo: che egli, che non ebbe maestri, seppe essere tra i primi maestri ed educatori d'Italia.
Come cosentino sono orgoglioso di poterlo ricordare in questo alto consesso, al quale, insieme con tanti valentuomini, che sono onore e gloria d'Italia, contribuiva a dare maggior faina e ad aumentare il prestigio.
E Cosenza, che vede sparire dal mondo questa grande figura di letterato e di pensatore, deplora che il migliore, il più degno dei suoi figli abbia chiusi gli occhi e voglia ora riposare eternamente in un dolce e caro paese, che gli fu grandemente largo di ospitalità, ma che non era il suo, e che egli, già così amato, abbia voluto passare gli anni più operosi della sua vita chiuso nella solitudine, attingendo conforto alle immancabili delusioni della vite, dal lavoro e dalla meditazione.
E alla solitudine lo spingeva l'amore ardente od appassionato allo studio, l'irreducibile manzoniana modestia e un naturale temperamento che lo tenne sempre lontano dalla folla.
La grande modestia lo portava ad avere un culto sinceramente rispettoso e riverente verso coloro, che si elevavano dalla sfera comune. e gl'impediva di vedere che anch'egli, dai forti ed agili polmoni, viveva nelle alte atmosfere dove vivono le aquile. (Bene).
Quelli che hanno seguito laggiù gli eventi della sua vita, così semplice e così operosa, e che, come me, volgono melanconicamente al tramonto, ricorderanno, come affermazione altissima della sua personalità, che, quando apparvero i suoi primi scritti e si elevò intorno a lui un coro di ammirazione, che dalla Cattedra di sommi maestri si diffuse nel paese, il pubblico, che fino a quel giorno aveva assistito alla modestia giornaliera della di lui esistenza, non seppe o non volle credere al prodigio. E fu per questo, forse, che quando chiese agii elettori un posto nella Camera dei deputati, la parte meno intellettuale del paese, che è sempre la più numerosa, non gli accordò la fiducia, togliendogli il modo di far valere tutto il suo valore in altro campo che non fosse quello delle lettere.
Consapevole del proprio merito, quando si vide preclusa questa nuova via di servire il paese, non seppe rassegnarsi all'immeritata sconfitta, ed emigrò, come il Ghibellino antico, non meditando vendette, ma aspettando giustizia. E l'ora della giustizia venne. Uscito come un proscritto, dopo non molti anni pregato e aspettato tornò come un trionfatore. E allora tutti, con unanime consenso, lo avrebbero prescelto a loro rappresentante politico, ma il re, sapiente estimatore del merito e del talento, lo aveva nominato senatore del Regno.
Nella storia della sapienza umana Cosenza ha due pagine che giammai potranno cancellarsi: Bernardino Telesio e Bonaventura Zumbini. Il nome del primo è scritto da secoli in gravi volumi, che la fama ha reso immortali: quello dell'altro, oltre che in molti volumi che non morranno, è scritto nel cuore di tutti i cittadini, perocché tutti amarono e onorarono Bonaventura Zumbini per la sua grande mente, nota ai privilegiati, e pel suo gran cuore, noto a tutti.
Ed in quest'ora, piena di angosce patriottiche, in cui tutte le forze intellettuali, come incitamento e come esempio, sono sempre di grande ausilio al paese, una grande intelligenza si spegne.
E il venerando vegliardo, che tutte le mirabili energie del suo spirito dette alla patria, non vedrà l'auspicata aurora della più grande Italia.
Io prego il nostro onorando Presidente, prego il Senato di voler mandare una parola di condoglianza affettuosa alla famiglia dell'illustre estinto ed alla città di Cosenza, che amò Bonaventura Zumbini d'immenso amore e che lo ebbe sempre come il suo migliore e più degno figliuolo. (Vivissime approvazioni).[...]
ORLANDO, ministro di grazia e giustizia e dei culti.Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ORLANDO, ministro di grazia e giustizia e dei culti.[...]
E nel campo delle lettere, nel campo dell'attività spirituale, è davvero incolmabile il vuoto che lascia Bonaventura Zumbini, maestro nel senso più alto e più nobile della parola, l'uomo di cui con così degna e commossa eloquenza hanno or ora parlato in quest'Aula altri maestri insigni. Di lui io mi limiterò a dire semplicemente questo: che ascese ad una cattedra occupata già da Luigi Settembrini e da Francesco De Sanctis e che ne fu ben degno.
Onorevoli senatori, io non so adeguatamente esprimere un sentimento complesso, che in questo momento mi grava sull'animo; ma io vorrei dir questo: che sembra quasi un triste destino la scomparsa di uomini così insigni in questo e in quell'altro ramo del Parlamento, in un'ora in cui alla patria più che mai occorrono le forze e le virtù di tutti i suoi figli, e specialmente dei suoi figli maggiori. (Approvazioni).Ma quanto in questo sentimento può esservi di ansia patriottica, si tramuta in un argomento di conforto, se pensiamo che da queste illustri tombe, testé dischiuse, sorge a noi, come sacro retaggio, l'ammonimento che c'incita sempre più ad una devozione piena verso la patria: quella patria cui essi, gl'insigni nostri morti, diedero tanta opera e apprestarono tanto onore nei campi del pensiero e della politica, per le virtù domestiche e per le virtù pubbliche. (Approvazioni vivissime - Applausi).

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 22 marzo 1916.