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VOLPI MANNI Paolo

15 febbraio 1828 - 06 gennaio 1892 Nominato il 04 dicembre 1890 per la categoria 12 - I consiglieri del Magistrato di cassazione e della Camera dei conti dopo cinque anni di funzioni provenienza Lazio

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Domenico Farini, Presidente

Un altro egregio perdevano il Senato e la magistratura il giorno in cui spirava in Roma il senatore Paolo Volpi-Manni.
Ebbe il defunto i natali in Alatri il 15 febbraio 1828 e da natura ingegno molto e molta volontà. A vent'anni dottore in filosofia, indi laureato in legge con laurea ad honorem, primo fra i primi, fu nel 1852, dopo altro onorevolissimo esperimento, inscritto nell'albo degli avvocati rotali.
Dal 1853 fino al 1870, uditore del Tribunale di Roma e, ad un tempo stesso, del Camerale e dello ecclesiastico detto della Prelatizia, poi aiutante di studio in Rota, il Volpi Manni acquistò e fece mostra di tutto il sapere che con quelle forme di giudizi e col prevalere di quei principii di diritto si poteva maggiore.
Alla caduta del Governo pontificio la reputazione di lui in Roma era tale che la Giunta di Governo ed il comando militare italiano gli affidarono incarichi assai gelosi: coadiuvare l'amministrazione comunale quale deputato per la conservazione dei diritti e delle rendite, esaminare i titoli degli impiegati destituiti, rivedere i processi politici-misti.
Nominato il 27 [sic] ottobre 1870 consigliere di appello e, dieci anni dopo, consigliere di cassazione, in ogni ufficio fece prova della molta dottrina ond'era, per istudio diuturno ed assiduo, fornito. Deputato del collegio natale appartenne per la 12ª legislatura, durata due anni, alla Camera dei deputati: al Senato era stato ascritto il 4 dicembre 1890.
Fiero malore, morte repentina il tolsero all'amore dei congiunti, all'affetto degli amici, dei colleghi il giorno 6 di gennaio (Benissimo). [...]
BACCELLI. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BACCELLI. Sono dolente di prendere la prima volta la parola in Senato per deporre un fiore sulla bara di un caro amico che ho avuto collega in tante commissioni, e poi nella Camera e nel Senato. Ma mi sembrerebbe di mancare a un grande dovere se io mi tacessi.
Non è a dire che io mi associo di gran cuore alle parole del nostro illustre Presidente, parole delle quali io certo non saprei dire né più acconcie né più eleganti.
Volpi Manni era stato dalla natura creato, fatto per essere un grande magistrato, e lo fu.
La sua indole era mite; non era temprato alle lotte né del foro, né della Camera; ma quasi a compenso era plasmata per essere quella di un giureconsulto; e si può dire che la scienza del diritto egli non l'avesse cercata, ma che fosse andata a lui come talvolta la fortuna va dietro a coloro che dormono.
Io entrava all'università quando egli copriva il quarto anno, e lo compiva col portare la prima palma fra i suoi coetanei, la laurea ad honorem.
In uno di quei lunghi corridoi, parmi vederlo ancora, stipato da numerosa gioventù che pendeva dal suo labbro come da quello di un maestro.
Domandai chi fosse, e mi si disse che era il Volpi Manni, il più bravo tra i giovani di quella classe, e ve n'erano dei bravi: poiché si aveva allora un insigne professore di pandette, il Villani, ad ascoltare il quale si erano mossi dalla dotta Berlino i due grandi professori il Walter fondatore della scuola storica, ed il Savigny che tutti conoscono.
E la stima e l'affetto dei suoi coetanei l'accompagnavano anche fuori delle università. E poiché a tante doti d'intelletto e di cuore egli aggiungeva una grande severità di carattere, un grande contegno ed un intenso, ardente amore per la patria in quel tempo che oggi pare più bello perché i sogni della immaginazione sono più felici della realtà, in quel tempo, dico, in cui si cospirava più o meno nascostamente, egli fu chiamato al comitato nazionale che doveva preparare il movimento interno per la unione di Roma all'Italia.
Ma fu sventura, perché l'animo di Volpi Manni non era fatto per essere un rivoluzionario ardito; talché invece d'imprimere nella gioventù liberale un moto maggiore, parve che l'assonnasse e l'acquetasse. Onde avvenne che nei tempi nuovi il partito liberale romano gliene sapesse. Pur nondimeno il Parlamento si schiuse a lui, ma per una sola volta ed a stento: e questo fu il periodo più amaro della sua vita.
Egli non poteva vivere fuori dell'ambiente della politica e di quelle istituzioni che egli aveva fortemente amato e desiderò ardentemente di poter ritornare alla vita pubblica, facendo parte del Senato. Chi mai l'avrebbe detto, che dopo un anno solo dacché egli era stato soddisfatto, di quello che era stato il suo solo desiderio, la sua più grande consolazione, egli doveva scendere nella tomba? Fatalità! Poiché la sua morte avvenne pochi giorni dopo quella del presidente di sezione della Corte di cassazione di Roma, il Pantanetti, un altro giureconsulto esimio, onore di questa provincia. E così nel seno dell'alta magistratura, la Provincia di Roma non ha al presente alcuno che possa essere il rappresentante dell'antica dottrina del foro romano. Noi, onorevoli colleghi, abbiamo perduto un gran cittadino; poiché nelle sue virtù domestiche io posso dire che il Volpi-Manni era stato un eroe per la costanza colla quale aveva saputo sopportare le tante disgrazie che lo avevano colpito fin da fanciullo. La Corte di cassazione di Roma ha perduto un grande, un sapiente magistrato, in cui la dottrina non era superata che dalla rettitudine del suo animo e dalla temperanza e serenità dei suoi giudizi. Il Senato ha perduto una potente intelligenza, la quale, in dati momenti, avrebbe potuto riescire di grandissima utilità ai suoi lavori. E con queste poche parole io non credo di essermi sdebitato verso la memoria di lui, che conserverò cara e santa nell'animo mio e lo terrò sempre ad esempio delle virtù private e pubbliche. (Bene, bravo).


Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 21 gennaio 1892.