senato.it | archivio storico

VERONESE Giuseppe

08 maggio 1854 - 17 luglio 1917 Nominato il 04 marzo 1904 per la categoria 18 - I membri della Regia accademia delle scienze dopo sette anni di nomina provenienza Veneto

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Giuseppe Manfredi, Presidente

Onorevoli colleghi! Ora il nostro pensiero pur troppo si deve volgere ai senatori che abbiamo perduto durante le vacanze. [...]
Il senatore Veronese ci fu rapito da morte repentina. Lo ascoltammo nelle discussioni delle sedute estive; Padova lo vide il 16 luglio alla commemorazione di Cesare Battisti nel teatro Garibaldi; il 17 non era più.
Nato in Chioggia l'8 maggio 1854, da giovanetto apprese la pittura, arte del padre, poi fu disegnatore d'un'impresa per la sistemazione del Danubio. Indi riuscito a raggiungere Zurigo, ivi studiò matematica nel Politecnico e di là venne all'Università di Roma a conseguire la laurea in iscienze esatte. Fu assistente per un quadriennio in istima di Luigi Cremona. Ottenuta una borsa, fu a perfezionarsi nell'Università di Lipsia. Non ancora trentenne nel 1881, acquistato nome fra i matematici, fu degno di succedere ad un celebre dell'Università di Padova sulla Cattedra di geometria analitica or vedovata.
Sentimenti democratici, affetti popolari, principi di libertà e di progresso, lo fecero trionfare nella elezione politica del collegio di Chioggia durante la XX legislatura; e sedette deputato dal 1897 al 1900. Tanta fu la sua attività parlamentare, quanta la scientifica; e tanta la valentia. Le portò al Senato, quando vi entrò per nomina del 4 marzo 1904. Ai lavori legislativi egli giovò massimamente nelle materie dei suoi studi, quali fra d'altre il magistrato alle acque, la Scuola d'applicazione per gli ingegneri in Padova, la navigazione fluviale nell'Alta Italia, il regime idraulico e forestale. Appartenne apprezzatissimo alla nostra Commissione di finanze.
Non meno della nativa Chioggia dilesse Padova, nella cui cittadinanza visse e bene meritò. Il più caro ricordo, che le ha lasciato, è la Scuola d'arte” Pietro Selvatico” vanto della città, da lui creata e presieduta. Del Comune fu lungamente consigliere. Teneva la presidenza della giunta di vigilanza dell'Istituto tecnico. L'illustre matematico fu chiaro fra gli scienziati anche per le sue pubblicazioni. Tenne la presidenza dell'Associazione dei professori universitari italiani; fu membro della Società italiana delle scienze; dell'Accademia dei Lincei; dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti; dell'Accademia delle scienze di Buda-Pest, della Società matematica germanica.
Con lo spirito patrio ed il veneto odio dell'Austria, unì la sua voce al grido di guerra. Carattere forte, fermo e costante, non ne paventava al prolungarsi, ed auspicava i confini ricuperati, l'umanità vendicata. L'avverso fato non gli ha concesso di esultare dell'avverato auspicio: è morto con il cuore ed i due figli alle battaglie. (Approvazioni). [...]
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il senatore Polacco.
POLACCO. Mentre mi associo commosso alle parole che l'illustre Presidente con la usata elevatezza ha consacrato alla memoria dei tanti, dei troppi colleghi perduti, mi si permetta ch'io qui porti pure la voce, di Padova particolarmente provata in quest'anno da lutti ch'essa ha comuni col Senato del Regno.
Ci era stato da pochi mesi rapito Achille De Giovanni, il clinico insigne, che già nuova ferita si apriva nel cuore di Padova, il cui Ateneo vedea spegnersi d'improvviso un altro ancora dei suoi luminari, nelle matematiche discipline parimenti famoso, e del suo incremento particolarmente benemerito per ciò ch'egli qui ottenne a pro della scuola per gli ingegneri. E poco appresso ecco, la città tutta quanta immersa ancora nel più profondo dei lutti per la scomparsa del gentiluomo esimio che pareva rispecchiarne nella sua rappresentativa figura l'antica maestà e la rifiorente grandezza. Il conte Gino Cittadella degno rampollo di benemerita antica prosapia, Giuseppe Veronese surto invece ai fastigi della scienza da umilissime origini, si incontrarono, prima nel Consiglio della città, più tardi anche in questa più eccelsa Assemblea, in quel culto del pubblico bene che, fondendo gli animi, cancella qualsiasi disparità di natali. Pari in entrambi, benché ascritti a parti politiche opposte, l'altezza d'intenti e il fervor d'opere onde servirono la patria, la grande, io dico, e la piccola patria, che li circondarono in vita di estimazione altissima, che oggi alla loro memoria danno entrambe tributo di riconoscente rimpianto.
In Giuseppe Veronese spiccava veramente la italianità del genio che sfolgoreggia ad un tempo di sublimi ardimenti e traduce in calore di benefizi tangibili la scintilla rapita al mistero eterno dell'essere. Onde lo vedemmo adergersi con volo d'aquila negli orizzonti di una geometria trascendentale che vuol astrarre dallo spazio e dal tempo, poi con pari entusiasmo scendere al governo delle acque per trasformarne il corso da cagione di tremende ruine in sorgenti di tesori nuovi per l'economia nazionale. Luminosamente lo attesta tanta parte della proficua opera sua nel Senato con relazioni e discorsi densi di scienza praticamente applicata alla tecnica dei lavori pubblici e in particolare ai problemi idraulici, di che nuovo splendido saggio ci avrebbe egli fornito in questi giorni, destinato com'era a fungere da relatore sulla conversione in legge, del decreto per le derivazioni da corsi pubblici. [...]
Menti così preclare ed animi tanto eccelsi trovano sempre nei diletti dell'arte il maggior ristoro alle diuturne lor cure. E così fu per il Veronese, espertissimo nel disegno e nella pittura, e per il Cittadella, delle lettere e delle Muse cultore appassionato ed artefice di sculture ed altre opere plastiche piene di vita. Padova seppe rendere il dovuto omaggio anche a queste peculiari loro attitudini, e per sé farne tesoro, proclamando il Cittadella patrono del proprio museo Bottacin, preponendo il Veronese alla fiorente scuola per le arti decorative e industriali che si fregia del nome di Pietro Selvatico e volendoli entrambi nella Commissione provinciale conservatrice dei monumenti; sicché ne troviamo abbinati i nomi, come io ho sentito il bisogno di abbinarli quest'oggi, in uno degli ultimi atti della loro vita operosa, quel voto energico che, a tutela del patrimonio artistico di Padova contro i pericoli di barbare incursioni nemiche, quella Commissione pubblicamente emetteva in principio d'anno, voto ch'essi affrettaronsi a patrocinare insieme presso il Governo con lettera vibrante di fede nei destini della patria, ma di trepidanza per i capolavori dell'arte.
Onore dunque alle anime loro che sempre aleggieranno venerate fra noi e piaccia al Senato che delle sue condoglianze l'illustre Presidente si faccia interprete, oltreché presso le famiglie desolate dei due colleghi tanto desiderati e compianti, anche verso le città orgogliose di aver dato loro i natali. (Approvazioni).
D'OVIDIO ENRICO. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
D'OVIDIO ENRICO. Onorevoli colleghi, l'annuncio della improvvisa morte di Giuseppe Veronese, se contristò l'Ateneo patavino di cui egli era onore, contristò del pari tutti i cultori delle scienze matematiche, in Italia e fuori.
Giuseppe Veronese io conobbi qui in Roma molti anni fa, quando io ero giovane ed egli giovanissimo, nel 1876; e lo conobbi in casa dell'illustre maestro Cremona. Egli era reduce da Zurigo, dove si èra recato a fare studi pratici; ma già partendo dall'Italia egli aveva sentito in sé tendenza al culto della scienza pura, e da Zurigo ritornò non meno atto alle pratiche applicazioni che alle disquisizioni e alle ricerche scientifiche. Il Cremona col suo sicuro intuito comprese quanto fosse da attendersi da quel giovane, e in ogni maniera gli facilitò l'acquisto del titolo dottorale in Italia, titolo che egli seppe guadagnarsi con una tesi importante. E la speranza del Cremona non fallì, poiché qualche anno dopo, nel 1881, Giuseppe Veronese saliva la Cattedra di geometria analitica nell'Università di Padova, a cui univa l'insegnamento della geometria superiore.
Fu così che io, che avevo stretto con lui amicizia a Roma, ebbi il piacere di averlo mio collega di cattedra, benché in altra Università, e potei esser costante testimonio del suo brillante cammino scientifico. Qualche anno dopo egli produsse una memoria matematica che fece giustamente gran rumore, e che verteva sulla ”Trattazione proiettiva degli spazi ad ndimensioni”. Forse parecchi senatori, ed io con loro, sorrideranno a questa intitolazione: ma a quei tempi non soltanto si sorrideva, si dava anche dello stravagante a chi di una simile teoria si occupasse. Il fatto è che qui è il caso di ripetere col poeta:.
O Voi che avete gl'intelletti sani,
Mirate la dottrina che s' asconde.
Sotto il velame delli versi strani;
poiché sotto una denominazione insolita e ardita si annidavano concetti fondati sul mero buon senso, e una volta compreso che cosa si volesse intendere, tutti i pregiudizi avrebbero dovuto cadere come un castello di carte da giuoco. Ma ce ne volle! E se ne parlo un poco con calore, si è perché io, prima ancora del Veronese, ero stato cultore, da un punto di vista solo formalmente diverso, di quella teoria, ed anche a me era toccato la nota di testa balzana! Ma a poco a poco in tutto il mondo matematico, prima in quello italiano, e poi presso le altre nazioni, quei concetti si diffusero, ed oggi non vi è geometra che sorrida, anzi che non faccia buon pro di quei concetti e di quella teoria.
Il Veronese studiò anche con intensa cura i fondamenti della geometria, cui dedicò un poderoso e ponderoso volume, il quale ha dato luogo a importanti discussioni, e racchiude idee che son valse a segnare un nuovo indirizzo nello studio di alcune parti della geometria.
Mi perdoni il Senato se ho troppo parlato di geometria: ho imitato Dio che eternamente e sempre geometrizza; e così geometrizzassero di più i mortali, che forse tanti atroci spettacoli non verrebbero ad offendere i nostri occhi!
Però il Veronese, con non fatua ma tutta italiana versatilità d'ingegno, non si arrestava alle teorie astratte. Egli aveva un ingegno concreto, e voi ne siete stati testimoni, ed il collega Polacco vi ha testé rammentato a quanti lavori del Senato egli abbia preso parte. Tutti sanno con quale assiduità, con quale coscienza e perseveranza si occupasse delle questioni relative all'insegnamento, relative ai lavori pubblici, relative al regime delle acque; tutti sanno che egli aveva, oltre un bel temperamento scientifico, anche un forte temperamento politico; sicché per tutti i rispetti la sua prematura, improvvisa dipartita ci turba e ci contrista.
Alla sua memoria noi tributiamo un doppio elogio: di aver fatto onore al suo paese nel campo della scienza, poiché nella storia della geometria, e non solo della italiana, vi è un ampio capitolo che il suo nome sempre ricorderà; e di aver fatto onore al suo paese per l'ardore patriottico, con cui ha preso parte allo studio delle più importanti questioni che al progresso civile ed economico d'Italia si riferissero.
Noi costudiremo la sua cara memoria, dolenti di non più vederlo a quel posto, da cui spesso sorgeva ad esporre innanzi al Senato i risultati dei suoi coscienziosi studi; ed io cordialmente mi associo alla proposta del collega Polacco, il quale parlava sopratutto a nome di Padova: che a quella Università ed alla famiglia del compianto collega siano espresse le condoglianze del Senato.
(Approvazioni).
BONOMI, ministro dei lavori pubblici.Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BONOMI, ministro dei lavori pubblici.L'opera del senatore Giuseppe Veronese nel Senato come relatore del bilancio dei lavori pubblici, il vivo interessamento portato da lui a tutti i problemi attinenti al Ministero dei lavori pubblici e sopratutto alla legislazione delle acque in cui era dottissimo, i rapporti di amicizia che sono intervenuti tra noi, mi fanno obbligo di compiere il pietoso ufficio di ricordare qui, a nome del Governo, la sua cara memoria.
Quando l'Italia politica conobbe Giuseppe Veronese, prima nella Camera dei deputati dove entrò come rappresentante di Chioggia, poi nel Senato, egli era già un cittadino eminente, un matematico illustre, un parlamentare attivo e sapiente; ma egli era giunto a tanta altezza da umili origini.
Figlio di un pittore, avviato alla pittura, riuscì, da umile disegnatore, ad avviarsi all'alta coltura ed a laurearsi a Roma, attraverso a difficoltà, ch'egli seppe nobilmente superare, e che formano il suo maggiore titolo di onore.
Chiamato all'Ateneo padovano ancora giovane, v'insegnò geometria analitica, ed il senatore D'Ovidio ha detto testé con alta competenza, dei meriti scientifici dell'uomo, come l'onorevole Polacco ha potuto attestare l'affetto e il rispetto dei colleghi dell'Ateneo.
Certo Giuseppe Veronese, in tutte le cariche che tenne, in tutti i campi dove esercitò il suo nobile ingegno, lasciò traccie di sé e traccie durevoli.
Nei corpi locali, come ha detto l'onorevole Polacco, nelle accademie, di cui fu vanto, nella Camera, prima, nel Senato, dopo, sempre egli dimostrò un ingegno acuto, una viva curiosità di sapere, e sopra tutto, un nobile fervore di fede.
Ricordo con quanto affetto i colleghi ascoltavano spesso in Senato la sua parola, sia che discutesse di leggi riguardanti le opere pubbliche del nostro paese, sia, come di recente, che parlasse dei problemi della nostra guerra che egli aveva voluta, come ha detto il vostro illustre Presidente” con Veneto odio per l'Austria”, e nella quale confidava per la maggiore fortuna della patria. Perché, onorevoli senatori, il senatore Veronese fu non soltanto un intelletto nobilissimo, ma anche una salda e sicura fede, e per questo vada alla sua memoria il pensiero affettuosamente mesto del Governo e del Senato. (Approvazioni vivissime).

Senato del Regno, Atti Parlamentari. Discussioni, 25 ottobre 1917.