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VANNUCCI Atto

30 dicembre 1810 - 09 giugno 1883 Nominato il 08 ottobre 1865 per la categoria 18 - I membri della Regia accademia delle scienze dopo sette anni di nomina e per la categoria 19 - I membri ordinari del Consiglio superiore di istruzione pubblica dopo sette anni di esercizio provenienza Toscana

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Sebastiano Tecchio, Presidente

Fra le perdite che il Senato ha sì frequenti occasioni di deplorare, lagrimabilissima è questa del prof. Atto Vannucci.
Era egli nato il 1° dicembre del 1808 [sic] a Tobbiana nel Pistoiese. Fece i giovanili studi nel Seminario di Pistoia sotto il Governo di quel valente istitutore che fu il professore canonico Silvestri.
Aveva appena 23 anni quando la mente sveglia ed acuta e l'amore assiduo alle buone lettere gli guadagnarono, nel vicino collegio di Prato, la cattedra che chiamavano di Umanità, e poco più tardi la Cattedra di Storia.
Nelle funzioni della scuola si è cattivata sin da principio, e poi sempre gli crebbe, la stima degli altri docenti e l'affetto devotissimo dei discepoli.
Acceso di sacro fuoco, augurò fervidamente la indipendenza e la libertà della patria e fu operosissimo tra' congiurati della giovine Italia.
Scrisse molte e varie opere: tutte di forma eletta, di stile robusto, sempre argute e di erudizione doviziosissime. Travedesi in tutte più o meno apertamente, secondoché i tempi comportavano, la fede politica dello scrittore. A quasi tutte fu dato l'onore di parecchie edizioni.
I titoli delle principali tra le sue opere sono: Primi tempi della libertà fiorentina; Studi storici e morali intorno alla letteratura latina; La vita di Orazio; I commenti delle Metamorfosi, e di Sallustio, Catullo, Tibullo, Properzio, di Cornelio Nipote, Fedro e Tacito; La vita e le opere di Giuseppe Montani; I ricordi della vita e delle opere di Giambattista Niccolini; Storia dell'Italia antica (e questa è delle Vannucciane opere la più stupenda); I Martiri della libertà Italiana dal 1794 al 1848; Proverbi latini; l'ultimo volume dei quali è uscito in istampa or sono pochi mesi.
Come deputato al Parlamento toscano del 1848 pronunciò momentosi discorsi, nei quali rimane in forse se più splendessero le doti dell'oratore o più quelle del patriota; le une e le altre universalmente laudate.
Inviato da quel Governo a segretario di legazione presso la Repubblica Romana del 1849, esercitò l'ufficio con inclito zelo. Caduta Roma, dovette prendere la via dell'esilio, peregrinando sino al 1856 nella Svizzera, nel Belgio, nella Francia, nell'Inghilterra. Poi, quando poté tornare alla nativa Toscana, si adoperò a tutto uomo per apparecchiare prospere sorti alla gran causa dell'italica redenzione.
Venuto il 1859, e, poco stante, l'esodo dei Lorenesi, e le gloriose vittorie del maggio e del giugno, e d'improvviso i paurosi capitoli di Villafranca; e convocatesi per irrefrenabile voto dei popoli le Assemblee di Modena e di Firenze, Atto Vannucci che avea seggio e voce tra' rappresentanti della Toscana andò lieto e superbo di acclamare anch'egli il decreto che ha consacrata l'annessione del suo paese al Regno costituzionale di Vittorio Emanuele.
Ripigliò allora tranquillamente la penna e gli studi suoi prediletti, resse con somma cura la biblioteca Magliabechiana, che quinci è doventata la nazionale: assistette all'Accademia della Crusca, quale accademico residente:tenne con plauso pubblico la Cattedra di letteratura nel Regio istituto di studi superiori in Firenze: condusse a fine le opere qui dianzi nominate, non senza arricchirle di giunte e correzioni note e commenti, che palesavano ogni di meglio la singolare bontà e la preziosissima rettitudine dell'intelletto e dell'animo suo. Né gravezza di età, né acciacchi senili, né insidiosi morbi lo tolsero mai dall'antico proposito di aiutare la morale e civile educazione degli italiani; i quali ben è ragione di credere che del nome suo e degli scritti si serberanno per lunga pezza di tempo memori e grati.
Dovrei ora accennare alla sua preclara modestia, alla benignità, e agli altri pregi che di lui fecero l'uomo, il maestro, il cittadino da tutti riverito, a tutti carissimo. Che pro? Niuno è il quale non sappia che, per consentimento unanime di quanti il conobbero, Atto Vannucci ha posseduto in grado eminente le tre virtù che il Foscolo ammirava nel giovane Niccolini, e viene a dire "i santi costumi, l'anima italiana, e il nobile ingegno".
A tanti meriti non è mancato il compenso. Chiamo compenso e premio l'amicizia fedelissima che a lui dedicarono i più colti e più illustri tra i contemporanei: specie il medesimo Niccolini, e Cesare Guasti, e Giuseppe Giusti, e (che era cosa men facile) il Guerrazzi. Chiamo compenso e premio le parole molto significanti che il Giusti gli ha indirizzate, allorché nel 1844, credendosi per acutissima malattia in fin di vita, scrivevagli: "Se qualcuno ha da parlare di me, parla tu come sei solito; almeno sapranno il vero".
Un reale decreto degli 8 novembre 1865 lo innalzò alla dignità di senatore. Né ci sono uscite di mente la energia e la dottrina onde egli nella nostra Assemblea, correndo il dicembre 1867, ha scongiurato il pericolo che per l'ordinamento degli studi secondari patissero pregiudizio gli insegnamenti delle nostre lingue madri, la latina e la greca.
Peccato che, indi poi, gravi e inesorabili morbi fisici gli abbiano interdetto di venire ancora a confortarci del suo aspetto veneratissimo, de' suoi efficaci consigli. Pur troppo era sfidato da' medici; e nella mezzanotte dal 9 al 10 di questo giugno la sua bell'anima si è di quaggiù dipartita.
Le tavole testamentarie di Atto Vannucci sono un nuovo e grande argomento della serenità e della saviezza che gli erano state compagne in ogni tempo e in ogni vicenda, e della carità veramente cristiana che gli informava lo spirito.
Preghiamo, o Signori, preghiamo che la sua memoria ci valga di esempio e di stimolo. (Bene).


Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 14 giugno 1883.