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TORREARSA (FARDELLA DI) Vincenzo

16 luglio 1808 - 12 gennaio 1889 Nominato il 20 novembre 1861 per la categoria 02 - Il presidente della Camera dei deputati e per la categoria 05 - I ministri segretari di Stato provenienza Sicilia

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Domenico Farini, Presidente

Signori senatori. Voi conoscete già i ripetuti colpi coi quali la morte ci percosse dacché ci separammo. Ma il dovere comanda a me, annunciando quelle ed altre morti, di ricordare i colleghi estinti rinnovando il vostro dolore.
Vincenzo Fardella marchese di Torrearsa passava di questa vita nelle prime ore del 13 [sic] gennaio, in Palermo, compiuti, giorno per giorno, i 41 anni da quello della rivoluzione siciliana nella quale aveva maggioreggiato.
Nato a Trapani il 16 luglio 1808, "amor dell'onesto e del giusto, sdegno dell'arbitrio" lo presero fin da giovane; e, malgrado parentele al governo devote, lo avvinse il fascino "delle vecchie tradizioni delle siciliane franchigie" come di sé scrisse nei ricordi: nobile documento della nobile sua vita.
Amori, sdegni, aspirazioni siffatte lo accostarono ai liberali; in governo sospettoso e crudele, lo segnarono fra i pericolosi.
Appena uscito dalla adolescenza entrò i pubblici impieghi e fu, nella città natale, deputato alle opere provinciali, ascritto al Consiglio d'intendenza, a quello degli ospizi, infine direttore dei dazi indiretti. Col quale ultimo grado, temendosi lo influsso che sui concittadini aveva acquistato, veniva trasferito a Palermo, col titolo di ispettore generale, quasi a ricompensa non a castigo; tanto il Governo andava guardingo verso le famiglie dei notabili. Decurione di Palermo nelle prime caldezze del 1846, fece parte del Governo provvisorio eletto dagli insorti del 12 gennaio 1848 quale presidente del Comitato di finanza.
Membro della Camera dei comuni per Trapani; ne fu presidente due volte, Reggendola in quei momenti procellosi con grande lealtà e fermezza. E toccò a lui dichiarare vacante il trono di Sicilia; a lui che, tredici anni dopo, nel novembre 1860, era serbata la fortuna di pregare, in nome delle comunità siciliane, Vittorio Emanuele Re eletto ad onorare presto di sua presenza l'isola. Ministro, fra quelle due elezioni, per circa sei mesi, degli esteri e del commercio si adoperò con molto acume e perizia perché la corona di Sicilia, secondo il voto del Parlamento, cingesse il capo di Ferdinando di Savoia.
E quando, in mezzo ai disastri del marzo 1849, cadde ogni speranza e fu ristaurato il Borbone, il Torrearsa batté la via dell'esiglio [sic] prendendo stanza in Piemonte ultimo rifugio, in tanta ruina, dell'Italia e della libertà. (Bene!).
Ritornato all'isola diletta, liberata dai Mille, fu, per breve ora, il 17 giugno, ministro della dittatura, e nel gennaio successivo consigliere della prima Luogotenenza.
Trapani e Palermo se lo contesero deputato al Parlamento per l'8ª legislatura. La Camera lo nominò subito, e per primo, vicepresidente, e il Governo, nell'estate del 1861, lo incaricò di speciale missione presso le corti di Svezia e di Danimarca, Recando, da parte di Re Vittorio Emanuele II, la notificazione della sua proclamazione a Re d'Italia. Scelta e missione, le quali provano di quanta stima Re, parlamento e Governo proseguissero il Torrearsa, il quale, sia nei pubblici uffici che uomo privato, a fondare il nuovo Regno aveva vigorosamente contribuito.
Nuovo segno del molto conto in che era tenuto lo attendeva non appena tornato in patria; poiché fu chiamato a prefetto di Firenze e, quasi nello stesso giorno, il 20 novembre 1861, a far parte di questo consesso.
A Firenze, esercitando l'autorità commessagli con alti e degni propositi, si accattivò la stessa universale stima ed affetto che l'onorarono subito al suo primo entrare in Senato.
Vicepresidente per la 2ª sessione della 9ª legislatura, fu presidente, per tutte le tre dell'11ª, dal 5 dicembre 1870 al 20 settembre 1874.
È ancora nella memoria di molti di voi, signori senatori, il modo col quale egli tenne l'eccelsa dignità. Sono presenti a voi i modi suoi affabili e signorili, la cortesia in volto austero, il fare pieno di calma e di semplicità. Di consiglio pochi pari; nessuno ebbe per autorevolezza superiore; ed è vivo nell'animo di tutti noi il grande desiderio che egli lasciò di sé in questo seggio.
Dal quale, il 28 novembre 1871, insediandosi il Parlamento in questa città, egli, che nei tristi giorni del dicembre 1867 aveva, come senatore, per la soluzione della quistione di Roma, esortato i ministri" proclamassero i nostri diritti sempre senza esitanze e senza mezzi termini.. per ripetere ciò che era nostro e doveva compiere la nostra unità..."; egli ebbe la grande consolazione di salutare "suggello dell'unità.. Roma e i suoi grandi destini ormai inseparabili da quelli della nazione!".
Giusto compenso, santa consolazione della lunga vita splendente per propositi e per opere patriottiche. (Benissimo!).
Uomo d'antico stampo, tutto di un pezzo, il marchese di Torrearsa si piegò solo davanti a ciò che a lui parve il vero. Nobiltà di natali, vincoli di casata non gli fecero velo. Giudicò da cittadino le necessità dei tempi, le aspirazioni del popolo: mise a servizio della causa liberale il nome, l'animo diritto, la vita degna, la grandissima riputazione.
Decoro del Senato, vanto della Sicilia, onore d'Italia, il nome suo, nella riconoscenza dei viventi, troverà il saldo fondamento al giudizio dei futuri. (Vivi segni di approvazione). [...]
Ha facoltà di parlare il signor senatore Manzoni.
MANZONI. Dopo la splendida commemorazione fatta dall'onorevolissimo nostro Presidente del compianto marchese di Torrearsa, io dovrei dispensarmi dal farvi udire la mia povera voce; ma l'amicizia che mi legava al compianto collega da circa mezzo secolo, all'amico che consideravo sempre come mio maestro e guida, mi obbliga di dire poche disadorne parole in tenue omaggio alla memoria di lui.
Il marchese di Torrearsa è una di quelle figure che sorgono luminose nella storia del risorgimento italiano. Da giovane cospirò contro la mala signoria dei Borboni e fu uno dei principali artefici della rivoluzione siciliana nel 1848.
Dal memorabile giorno 12 gennaio di quell'anno fino all'aprile dell'anno successivo, lo vedemmo sempre sulla breccia.
Membro influentissimo del Comitato generale, presidente di quello delle finanze, Presidente della Camera dei comuni, ministro degli affari esteri del venerando Ruggero Settimo, mostrò in tutte quelle difficili mansioni sempre operosità, senno ed ingegno.
Giunsero nell'infausto anno 1849 giorni tristissimi per la Sicilia e per l'Italia, ed il nostro compianto collega riparava a Genova e fu quasi direi duce e guida di quella numerosa falange di patrioti siciliani, nella quale annoveravansi i Butera, i Cordova, i Raeli, i Natoli, gli Errante, gli Amari, i Ferrara e moltissimi altri che lungo sarebbe nominare, che con lui cercarono asilo in Piemonte, rimasto illeso dalle onde della reazione.
In quella terra ospitale, confortato dall'affetto dei suoi conterranei, stretto in amicizia coi più illustri emigrati delle varie Regioni d'Italia, tra quali ricorderò i nomi di Terenzio Mamiani, di Guglielmo Pepe, stimato dalle più cospicue famiglie del paese, apprezzato dai grandi statisti, Massimo D'Azeglio e Camillo Cavour, occupato di geniali studi storici e sociali, il marchese Torrearsa trasse tranquilli undici anni di esilio attendendo fiducioso tempi migliori. E i sospirati tempi vennero e forse sorpassarono le sue speranze.
I fortunati avvenimenti compiutisi nel 1859 nell'alta e media Italia ebbero un'eco in Sicilia che nell'aprile del 1860 insorgeva al grido d'Italia e Vittorio Emanuele. Appena per il valore e l'ardire del generale Garibaldi e dei Mille gli furono dischiuse le porte della sua isola nativa, l'illustre esule rientrava a Palermo salutato con gioia da tutte le classi della popolazione, e dal grande capitano veniva chiamato a far parte del Governo dittatoriale. Poco dopo, quando per solenne plebiscito la Sicilia era annessa al Regno costituzionale di Vittorio Emanuele, il Torrearsa sedette nei Consigli della corona rappresentante del Re. Poco dopo, convocato nel febbraio del 1861 per la prima volta il Parlamento italiano a Torino, egli fu inviato dagli elettori di Palermo e Trapani alla Camera dei deputati ove lo nominarono vicepresidente.
Ebbe onorevoli missioni presso le corti di Svezia e di Danimarca e fu il primo prefetto della nobilissima Provincia di Firenze.
Resa per il nuovo ufficio incompatibile la sua permanenza alla Camera elettiva, fu nominato senatore del Regno e poco dopo vicepresidente.
E quando compivasi l'unità d'Italia il marchese Torrearsa dalla fiducia del Re e del suo Governo venne chiamato alla Presidenza di questa Assemblea che tenne per tre consecutive sessioni sorretto dall'affetto e dalla stima di tutti i colleghi. Ed avrebbe continuato ad occupare quell'alto seggio se le condizioni di salute non l'avessero obbligato a lasciare Roma, e cercare in aure più miti, e presso i focolari domestici quiete e ristoro alle affrante sue forze.
Però anche da lungi, e vel posso affermare, seguiva con interesse i nostri lavori, applaudendo a quelle deliberazioni che reputava proficue al benessere della patria.
Fu onorato dalla benevolenza del Re Vittorio Emanuele, dell'augusto sovrano regnante Umberto I, della nostra graziosa regina, e fu insignito del supremo ordine dello Stato.
Il marchese di Torrearsa non ambì mai il potere; anzi ne declinò sempre le offerte e non ebbe quindi né emuli né gelosi.
Liberale nel vero senso della parola, appartenne al grande partito monarchico costituzionale che ci condusse a Roma, ma non fece mai parte di gruppi né di chiesuole.
Stimò gli onesti a qualunque partito appartenessero e ne fu ricompensato colla generale stima anche da coloro che da lui dissentivano.
Purtroppo le file di coloro che prepararono e portarono a compimento il risorgimento e l'unità d'Italia si diradano tutti i giorni; ma auguriamoci che la nuova generazione ne colmi i vuoi e ci dia uomini dello stampo del marchese di Torrearsa. (Benissimo).
ERRANTE. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
ERRANTE. La morte del marchese di Torrearsa produsse in quanti il conobbero profondo dolore; sebbene non del tutto inattesa, parve improvvisa e pubblica sventura!
Mentre il 1847 tramontava fra gli inni e le supplicazioni più o meno devote de' popoli della penisola, onde ottenere riforme amministrative e politiche da' loro principi renitenti; la Sicilia memore de' Vespri, rivolse a Ferdinando II questa formola precisa e scultoria: "Restituiteci i nostri diritti reciprocamente giurati; termine prefisso il 12 gennaio 1848, vostro genetliaco: se no, guerra a coltello!". Con pronta risposta egli fece imprigionare in castello 11 de' nostri primari concittadini. Così ebbe principio la memoranda epopea, gloriosa al pari de' Vespri di cui era stato auspice e profeta il mio venerando amico Michele Amari colla sua storia stupenda. Ne' giorni 12 e 13 gennaio nel Comitato della Fiera vecchia primeggiò la romantica figura dell'amico mio Giuseppe La Masa di memoria lacrimosa; recatici insieme al palazzo di Ruggero Settimo, il sublime vecchio ci chiese con mesto sorriso: "Quanti siete? Quante armi avete?" "Siamo in parecchi, abbiamo pochi fucili da caccia, ma.. siamo pronti a morire!" "Fra un'ora sarò con voi!".
Nel celebre Comitato del Palazzo pretorio, apparve fra gli altri la nobile figura del marchese di Torrearsa; io ebbi la ventura di essere segretario di Ruggero Settimo dal 14 gennaio al 5 febbraio, giorni di combattimento; e di far parte del Ministero Torrearsa; così potei studiarli entrambi da presso. La stessa Rettitudine, bontà d'animo, irremovibilità di propositi, giustezza di criteri, equanimità di carattere; entrambi aristocraticamente democratici ne' modi e negli intenti. Però, negli istanti supremi in Ruggero Settimo l'idea del sacrifizio eroico era più prominente! Quando si procedeva fra il popolo tumultuante, in tutte le feste politiche o religiose, le donne pregavano per quel santo vecchio calmo e sorridente; gli uomini riverivano l'uomo aitante della persona, di aspetto perspicace e solenne, riponendo in entrambi fiducia illimitata. Non ebbero il fremito né il ruggito dell'eroe di Caprera, ma quegli fu l'uomo predestinato!
Presidente della Camera dei comuni inimitabile, capo di Ministero illuminato e prudente, anch'egli soverchiamente s'illuse con altri riponendo fede soverchia ne' favori di una grande nazione, che non ispinge mai la sua benevolenza in pro degli altri popoli, sino al sacrifizio de' propri interessi con calcoli politici inesorabili; rappresentando in tutto e per tutto l'umana ragione.
Anche voi lo vedeste presiedere autorevolmente questa nobile Assemblea; era già sul tramonto: quantum mutatus ab illo! Ebbe illimitata fiducia in Dio, nella libertà, nella casa di Savoia.
Certamente la mia Palermo erigerà un monumento alla sua memoria venerata; spero, che nel modo stesso in cui stansi l'una dirimpetto all'altra le memorabili figure di Carlo Cottone, e di Ruggero Settimo in sulla strada dalla Libertà; si evochi anche il ricordo, caduto in oblio, di Mariano Stabile, uomo di tempra antica e carattere eroico, affinché non si disdica la sentenza di Foscolo: Giusta di gloria dispensiera è morte! (Bene).

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 29 gennaio 1889.