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SONNINO Sidney

11 marzo 1847 - 24 novembre 1922 Nominato il 03 ottobre 1920 per la categoria 03 - I deputati dopo tre legislature o sei anni di esercizio e per la categoria 05 - I ministri segretari di Stato provenienza Toscana

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Tommaso Tittoni, Presidente

Onorevoli colleghi. [...] Con animo commosso e con pensiero riverente rendo omaggio alla memoria di Sidney Sonnino. Ancora ieri l'altro egli conversava familiarmente con noi, ancora ieri l'altro le sue aspirazioni e le sue speranze per l'avvenire dell'Italia erano vivaci come le nostre. Tale recentissimo ricordo aggrava la nostra tristezza innanzi al mistero ed alla maestà della morte, e l'aggrava altresì l'impressione che la successiva dipartita di valorosi della sua tempra, segna qualche cosa di più della scomparsa di alcuni uomini, segna l'avvio al tramonto della generazione alla quale con lui, io e tanti altri colleghi apparteniamo. Che questi mesti pensieri sempre più purifichino, affinino, elevino il nostro sentimento di devozione alla patria, come l'avevano purificato, affinato ed elevato nell'illustre estinto! (Benissimo).
Sidney Sonnino nacque l'11 marzo 1847 a Pisa da padre italiano e da madre inglese, e raccolse in sé le migliori virtù delle due razze. Fin da giovinetto si dedicò seriamente agli studi e, conseguita la laurea in legge a 18 anni in Pisa, fu per alcuni anni in diplomazia, quale addetto all'Ambasciata italiana in varie capitali e da ultimo a Parigi, durante la guerra nel 1870, assistendo così ai tristi avvenimenti dell'assedio e della Comune. Uscito poi dalla carriera diplomatica cui per il suo temperamento si sentiva poco incline, impiegò la cospicua fortuna ad accrescere la propria cultura e a formarsi quella completa preparazione non solo letteraria, ma anche economica e politica, che doveva temprarlo alla soluzione dei tanti e complessi problemi della vita pubblica.
L'indole generosa, l'animo aperto alle nuove idee, l'osservazione spassionata delle tristi condizioni delle classi diseredate, lo fecero partigiano di ardite riforme politiche e sociali. i suoi studi e le sue osservazioni personali raccolse nel volume sulla "Mezzeria in Toscana" e poi in quello sui "Contadini in Sicilia" frutto di un viaggio compiuto col compianto nostro collega Franchetti, libro di indagine coscienziosa, di coraggiosa diagnosi dei mali che travagliavano quelle popolazioni. E fin d'allora il Sonnino maturò quel programma innovatore cui doveva poi sempre ispirarsi nella politica interna.
Una larga e moderna legislazione sociale, sovratutto per la tutela degli operai e dei contadini, la elevazione del Mezzogiorno d'Italia, la diffusione delle opere di previdenza e di assicurazione sociale, il suffragio universale, il voto alla donna costituirono i cardini del programma di Sonnino e di quel gruppo di giovani d'ingegno, ricchi di censo eppure studiosissimi dei problemi sociali e desiderosi di giovare alle classi umili, che si strinsero attorno a lui e con lui fondarono in Firenze la Rassegna Settimanale. Essi si proponevano di abbandonare le sterili lotte dei vecchi partiti e di creare una corrente riformatrice, che valesse a sopire i giusti malcontenti e a fare tutti i cittadini partecipi della prosperità comune e interessati alla grandezza della patria e delle istituzioni. E questo concetto, che dominò sempre la concezione politica di Sonnino, egli doveva poi sintetizzare nel suo discorso alla Camera del 10 dicembre 1913 con queste parole: "Sostenete strenuamente quelle riforme che, attuate, giovino ad avvivare nell'animo della popolazione intera il sentimento della propria solidarietà con la salute e l'integrità dello Stato".
Tale programma fu poi continuato quando la Rassegna Settimanale si trasferì a Roma e divenne quotidiana, mentre il partito nuovo, entrando alla Camera, formava il centro. Il primo di quel cenacolo a divenir deputato fu appunto il Sonnino, eletto a San Casciano Val di Pesa nel 1880 e ininterrottamente rieletto fino al 1919. Il primo suo discorso alla Camera fu in difesa di una proposta di legge da lui presentata con Minghetti, Luzzatti e Villari sulla tutela dei lavoratori nelle miniere e nelle officine, e poi non vi fu questione di carattere sociale ch'Egli o personalmente o per mezzo del gruppo di cui era capo riconosciuto, non imponesse all'attenzione del Parlamento.
Schivo di mettersi in mostra, parlava solo quando riteneva che ciò fosse un imprescindibile dovere, e preparava ogni discorso con una coscienziosità ed una ricchezza di dati e di osservazioni veramente mirabili. Egli aveva come Carlyle la religione del silenzio. Egli ignorava l'arte di parlare senza pensare. La sua proverbiale taciturnità può essere apprezzata solo da chi, per propria esperienza, sa come nel silenzio si maturino le grandi ispirazioni. (Benissimo).
Era naturale che, nonostante la sua indole modesta e riservata, il suo reale valore venisse apprezzato; e quando nel 1887 venne istituita la nuova carica di sottosegretario di Stato, egli andò per pochi mesi al Tesoro, contribuendo alla preparazione di severi provvedimenti contro il disavanzo, che per l'opposizione trovata non giunsero in porto. Ma presto Egli doveva nuovamente mostrare la sua tempra coraggiosa e la sua salda preparazione, quando in momenti criticissimi per il bilancio dello Stato, assunse nel 1893, sotto la presidenza di Crispi, la carica di ministro delle Finanze con l'interim del Tesoro.
Ed egli, sfidando la impopolarità ed ostilità vivissime, salvò la pubblica finanza, attuando provvedimenti tributari radicali e coraggiosi. Ed ora dopo quasi sei lustri, in momenti così gravi per l'economia nazionale, più rifulge l'opera veramente eroica che Sidney Sonnino seppe allora spiegare per il risanamento della finanza, che fu sempre problema fondamentale della vita dello Stato italiano. (Benissimo).
Fu per due volte, nel 1906 e nel 1909, presidente del Consiglio, ma per breve tempo poiché la sua inflessibile dirittura, il suo amore per le posizioni nette mal si conciliavano con le transazioni parlamentari. Eppure preziose riforme seppe attuare o preparare nei due brevi periodi della sua Presidenza, dalla coraggiosa legge sul Mezzogiorno, agli studi per la conversione della rendita, dalla legge sull'istruzione elementare, alla provvida, se pure inapplicata, legge sui Gabinetti. Ed egli sempre, contro l'imperante mal costume politico, si ispirò a criteri di rigida e onesta amministrazione, aliena da inframmettenze, a scrupoloso rispetto per la libertà sia degli individui che degli istituti. "La politica - ei disse in un suo discorso - dev'essere arte e dottrina di verità e di giustizia". Ed ogni volta che lasciò il potere, senza rancore, senza impazienze, ma anche senza rimpianti, tornò alla sua vita privata, ai suoi studi prediletti, al suo semplice scanno di deputato. E non se ne sarebbe più allontanato, se un altissimo senso del dovere non gli avesse fatto assumere, sia pur riluttante, la carica di ministro degli esteri nel 1914.
I problemi della nostra politica estera lo avevano avuto sempre al pari di quelli sociali e finanziari, profondo studioso.
Già nel 1883 quasi appena entrato alla Camera, in un notevole discorso in cui precisava la posizione e l'attitudine dell'Italia in seno alla Triplice Alleanza, pronunziava parole veramente profetiche. Ei fu ministro degli Esteri prima, durante e dopo la guerra. L'opera da lui compiuta sarà giudicata nell'avvenire, quando il tempo avrà assopiti i contrasti e le passioni e la Storia potrà pronunciare il suo verdetto imparziale.
Ma fin d'ora possiamo dire ch'essa è stata quanto mai coscienziosa ed onesta, e sempre pervasa e sostenuta da un ardente e quasi mistico patriottismo, da un altissimo ideale di italianità.
Ed io che ebbi con lui taluni dissensi, i quali non attenuano, ma aggiungono valore all'omaggio sincero che oggi col Senato e col paese intero gli rendo, potrei ripetere ciò che Virgilio fa dire a Diomede di Enea:.
.........stetimus tela aspera contra.
Contulimusque manus; esperto eredite, quantus.
In clypeum adsurgat, quo turbine torqueat hastam.
(Benissimo).
Il religioso senso del dovere che gli aveva sia pure a malincuore, fatto lasciare la quiete del suo ritiro volontario, lo tenne per cinque lunghi anni assiduamente avvinto al suo lavoro, senza concedersi pur un attimo di riposo, e non è a dire quanto la diuturna fatica e le innumeri preoccupazioni di quel periodo, così gravido di eventi, nuocesse alla sua già malferma salute.
E quando le vicende politiche nel 1919 gli fecero lasciare il potere, ei ritornò spontaneamente, serenamente alla sua vita silenziosa e raccolta, pago di aver servito, senza nulla chiedere, la patria adorata. E tornò alla pace dei suoi studi diletti, alla splendida biblioteca che adorava, alle ricerche di letterato ch'erano per lui, al pari degli studi politici, conforto e passione vivissimi. Né può andar taciuto ch'Egli era un devoto e fervente studioso di Dante ed aveva raccolta una pregevole biblioteca dantesca, donata poi con atto munifico alla Casa di Dante qui in Roma, di cui era presidente e a cui dette sempre vivissime cure.
Durante gli ultimi anni la sua vita fu amareggiata dal doloroso spettacolo della demagogia dilagante, dal continuo abbassamento del prestigio dello Stato, dall'incessante sperpero del pubblico denaro. E tale amarezza veniva spesso a manifestare a noi nei nostri privati convegni, non già con quel pessimismo che nelle epoche agitate come la nostra si scambia troppo spesso colla chiaroveggenza, ma colla giusta e legittima preoccupazione di un uomo nel cui petto arde inestinguibile la fiamma dell'amor patrio.
E se parlando egli si accendeva e s'indignava, noi non lo biasimavamo per ciò, poiché pensavamo e pensiamo che l'incapacità all'indignazione è segno dell'intorpidimento della coscienza. (Approvazioni).
Con Sidney Sonnino è uno degli artefici principali della nuova Italia che scompare, dopo aver visto in gran parte compiersi quell'opera di restaurazione nazionale cui egli ha dedicato tutta la vita operosa. Vada a lui, col conscio e riconoscente amore di tutto il popolo italiano, il saluto del Senato, che altamente si onorava di averlo a suo membro dal 3 ottobre 1920.
Possa il suo spirito magnanimo accompagnare e guidare l'opera di coloro cui sono e saranno commesse le fortune della patria.
(Vivissime, generali approvazioni).
Propongo che il Senato, oltre alle condoglianze già inviate dalla Presidenza, invii le proprie alla famiglia del defunto senatore Sonnino e che in segno di lutto venga tolta la seduta ed esposta per otto giorni la bandiera abbrunata.
Chi approva queste proposte è pregato di alzarsi.
(Sono approvate all'unanimità).
ROSSI TEOFILO, ministro dell'industria e commercio. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ROSSI TEOFILO, ministro dell'industria e commercio. [...]
Il nostro Presidente ha poi, con alata ed eloquente parola, ricordato Sidney Sonnino; il Governo commosso e reverente, rende devoto omaggio e si associa a queste parole.
Ma io non posso in questo momento, nel ricordare la sua memoria, non provare un sentimento di alta e profonda commozione per l'amicizia che da 25 anni a lui mi legava e che rimase sempre ininterrotta, malgrado gli avvenimenti politici, sui quali le nostre idee non poterono concordare completamente.
Io, che ebbi ieri il doloroso onore di rappresentare il Governo nella visita che feci a lui morente, nel vedere quell'uomo, che aveva già il rantolo dell'agonia, provai una sensazione immensa, la sensazione che, in quel momento, scompariva dalla nostra vita nazionale un grande italiano, un grande atleta del pensiero e della azione, uno dei migliori uomini, che avessero onorata l'Italia tutta. (Approvazioni).
In quel momento io vidi in lui l'oraziano iustum et tenacem propositi virum, che moriva, come la quercia abbattuta dal fulmine; moriva romanamente, come romanamente aveva vissuto tutta la sua vita, dedicata alla grandezza dell'Italia nostra.
L'onorevole Presidente, nel ricordare tutta l'opera di Sidney Sonnino, ha detto quanto bene egli ha fatto; come egli abbia saputo sfidare l'impopolarità, quando si trattava dell'interesse del proprio paese; ha rammentato che un giorno Sonnino ha salvata la finanza italiana con provvedimenti, che sono rimasti famosi.
Egli ha ricordato l'opera sua come ministro; lasciate che io ricordi, soltanto di sfuggita (perché la storia parlerà più tardi dell'azione sua durante la guerra) l'opera, maturata nel silenzio, di quest'uomo, che soffriva tutti i dolori e tutte le angoscie e, che, nei momenti più tragici, ha saputo tenere alto il nome di Italia, anche all'estero, in cospetto di quelli che volevano il nome d'Italia diminuire.
Egli ebbe solo un grande ideale nella vita sua, una grande passione: l'Italia. A questo ideale egli ha tutto sacrificato, e forse, nel momento della suprema dipartita, dinanzi agli occhi del morente passò ancora l'ultima visione di questa Italia, rinnovellata per la seconda volta, ed alla quale Egli aveva concorso tanto per ridarle la sua potenza e la sua gloria.
Sidney Sonnino era ormai un uomo al disopra dei partiti; non era più considerato da noi uomo di parte, ma uno dei numi tutelari della patria, uno di quegli uomini, a cui ci si rivolgeva, con ammirazione, per consiglio, nelle circostanze straordinarie; un uomo, che la storia aveva già quasi consacrato.
L'onorevole Presidente ha ricordato di lui la cultura, i suoi scritti giovanili, il suo culto per Dante, cui egli dedicava molto tempo, poiché egli considerava quel Grande come un padre della patria. Ma io vorrei rammentare ancora la grande bontà sua, la sua onestà adamantina: la sua bontà, la quale faceva sì che egli avesse tenerezze per tutti i sofferenti; e quanti ebbero la ventura di essergli amici, conobbero bene questo suo sentimento, che lo rendeva così caro, amato e stimato.
Egli è morto, quando poteva forse ancora rendere grandi servigi alla patria. Noi non vedremo più la sua figura, così austera, così severa; non udremo più la sua calda e serena voce ammonitrice, ma certamente in mezzo a noi rimarrà eterna la sua memoria, fintanto che nel mondo vivranno i concetti di patria, di onore, di dovere.
Ora egli andrà nel suo "Romito", in quella sua terra a lui così cara, e colà egli riposerà il sonno eterno, di fronte a quel Tirreno, a quel Mediterraneo, che gli hanno dato la miglior visione dell'avvenire della patria, in quel "Romito", che forse sarà un giorno meta di pellegrinaggio delle nuove generazioni, le quali andranno lì a ricordare l'uomo grande, ed amante della patria sua.
Ma noi, che in vita lo abbiamo ammirato ed amato, noi mandiamo in questo momento un commosso saluto alla grande anima italiana di Sidney Sonnino, che vanisce nei silenzi ampli dell'al di là misterioso e severo, ma che lascia in terra un'eco immortale del patriottismo più ardente, nel disinteresse più puro. (Vive approvazioni, applausi).

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 24 novembre 1922.