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RUSPOLI Emanuele

30 gennaio 1837 - 29 novembre 1899 Nominato il 25 ottobre 1896 per la categoria 03 - I deputati dopo tre legislature o sei anni di esercizio provenienza Lazio

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Giuseppe Saracco, Presidente

Signori senatori! Voi non vorrete, io spero, e quando fosse diverso il piacer vostro, non so se mi basterebbe l'animo o l'ingegno, né questo mi parrebbe d'altronde il tempo ed il luogo più acconcio a commemorare con la dovuta ampiezza le virtù e le patriottiche benemerenze dell'insigne collega, pur dianzi perduto. Parlo di Emanuele Ruspoli, voi già lo intendete, poiché niuno è fra noi, che ancora non senta vivo ed acerbo il ricordo della fulminea separazione, nessuno che nel comune rimpianto non abbia provato il bisogno di prender parte alle solenni dimostrazioni di onore, con le quali la salma di quel valent'uomo fu condotta alla sua ultima dimora.
Dirò nondimeno, con la maggiore brevità, quanto basti a lumeggiare le qualità del cittadino, ed i punti più salienti della vita pubblica di quest'uomo, il cui fine fu luttuoso alla patria, dolente ai compagni, né senza pensiero per quelli che il conobbero soltanto per fama.
Emanuele Ruspoli fu sopratutto un patriota di pensiero e di azione. Nato in Roma nel 1838 [sic] da famiglia patrizia, e compiuti con lode gli studi universitari, sdegnò di vivere sotto il Governo dei Papi e poco più che ventenne corse ad arruolarsi nel 1859 nelle file dell'esercito sardo combattente per la causa della libertà e della indipendenza d'Italia, tanto che in breve volger d'anni salì al grado di capitano nell'arme di artiglieria. Sol quando sopravvennero i tempi nuovi, l'egregio uomo si affrettò a tornare in patria, dove fu subito chiamato, per volontà di popolo, a far parte della giunta provvisoria di Governo presieduta dal venerando duca di Sermoneta; la quale a sua volta ebbe l'insigne onore di presentare a S.M. il Re Vittorio Emanuele, in Firenze, il risultato del plebiscito di Roma e della provincia romana. Né ciò solo; poiché il Ruspoli, e con esso il collega nostro, Vincenzo Tittoni, richiesti dai ministri del tempo corsero a Firenze e giunti colà si posero facilmente d'accordo col Governo sopra la formola del plebiscito, che fu ridotta alla semplice espressione della volontà dei Romani di unirsi al Regno d'Italia sotto il Governo di Re Vittorio Emanuele, e dei suoi successori senza condizione veruna che vincolasse l'azione del Governo nei suoi rapporti col capo della chiesa cattolica.
Oh i bei tempi che eran quelli, e come l'animo si compiace di poter ancora salutare nelle persone degli onorandi colleghi Tittoni ed Odescalchi, i membri superstiti di quella giunta che appartengono al nostro Senato!
Era quindi giustizia che bandite le prime elezioni generali politiche dopo che lo Stato romano era entrato a far parte del Regno d'Italia, che Emanuele Ruspoli fosse prescelto dal voto degli elettori di uno fra i Collegi di Roma, a sedere nella Camera dei deputati. Ciò che appunto avvenne per la volontà degli elettori del IV collegio, mentre il collegio di Fabriano gli affidava contemporaneamente il mandato di rappresentarlo in Parlamento, che gli fu confermato per parecchie legislature, dopo che in seguito a sorteggio avvenuto nel 1870 fu costretto a lasciare ad altri la rappresentanza del IV collegio di Roma. Più tardi, andò deputato per Foligno e per Piacenza, fino a che nel 25 ottobre 1896 fu elevato alla dignità di senatore del Regno.
Mente colta ed elevata, facile parlatore, talvolta eloquente, ed oratore sempre ascoltato, è facile intendere che potesse senza grande fatica aspirare ai sommi onori della vita pubblica che gli stava aperta dinanzi, ma gli elettori amministrativi di Roma si erano pure affrettati ad aprirgli le porte delle aule capitoline e da quel giorno l'animo del patriota si accese di una nobile ambizione, che, a chi ben guardi, rispondeva ed armonizzava perfettamente coll'indole e colle tendenze dell'uomo, che si sentiva tratto da natura ad entrare imperiosamente nel campo dell'azione, dove gli fosse dato di far prova del suo valore, e lasciare dietro di sé i segni visibili di quella fermezza, che più propriamente si poteva chiamare tenacia di volontà, la quale non si spezza davanti agli ostacoli dell'ora presente. Emanuele Ruspoli preferì rivolgere tutte le sue cure, e spiegare la sua mirabile attività nell'amministrazione del Comune di Roma, ed appena ne prese in mano le redini, promise a se stesso, ed in realtà non ebbe più altro pensiero che non fosse quello di avviarlo a raggiungere il compimento de' suoi alti destini. Non solamente nelle cose mute e disanimate che possono cadere e racconciarsi, ma in ogni altra ben altrimenti durevole, e rispondente ai progressi dell'odierna civiltà, sì che questa Roma porti l'impronta dell'eternità dello Stato, e della grandezza dell'Italia nuova! (Benissimo).
Passione nobile e santa, innanzi alla quale l'uomo di cuore non sa discernere le piccole debolezze inseparabili dall'umana natura!
(Bene). Io non mi indugierò a dimostrare, come e quanto le opere abbiano corrisposto agli alti propositi. Questo non è affar mio, né saprebbe esser vostro. Piace nullameno ricordare, che Emanuele Ruspoli dié prova non dubbia di spirito eminentemente pratico e savio, quando pose in cima de' suoi pensieri l'ordinamento della finanza municipale, e sol quando gli parve in molta parte raggiunto lo scopo, volse il pensiero a più alti ideali, che negli ultimi momenti del viver suo, quasi presago di sua sorte, gli erano penetrati più addentro nella mente, come aspirazioni di un tempo non molto lontano.
Ma i giorni di Emanuele Ruspoli erano contati, e quel valoroso uomo dalle forme atletiche che sedeva pur dianzi in mezzo a noi, cadde rovesciato al suolo, come percosso da folgore che abbassa le corolle del povero fiore ed abbatte nel medesimo punto le superbe cime della quercia secolare.
Però non andrà così presto scordata la memoria di colui, che fino dalla giovinezza amò e servì col braccio la patria, poi nell'età virile dedicò tutto se stesso al bene ed alla grandezza della nostra Roma, la madre Comune di noi tutti, qualunque sia il lembo di questa Italia che ne diede i natali, perché cresciuti, qua come altrove, al culto della città eterna, che morrà soltanto con la vita di ciascuno di noi. (Vive approvazioni).
Così ne sorride, non già la speranza, sibbene la ferma persuasione, che basti calcare col piede il suolo di questa sacra terra, perché escano a falangi gli uomini che si torranno il glorioso incarico, e terranno ad onore di continuare e condurre a buon fine l'opera intrapresa da Emanuele Ruspoli, al quale io mando ancora, a nome vostro, l'estremo affettuoso saluto. (Vive e generali approvazioni).
BONASI, ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole ministro di grazia e giustizia.
BONASI, ministro di grazia e giustizia. Il Governo, con sentito e profondo dolore, si associa alle parole di vivo rimpianto e di imperitura riconoscenza che il nostro illustre Presidente, in nome di questo alto consesso, or ora ha pronunziato, commemorando la nobile esistenza di Emanuele Ruspoli, esistenza spesa tutta intiera al servizio del paese e di questa sua Roma, segno per lui di costante e di indomato amore. Nulla io potrei aggiungere a quanto con incomparabile efficacia di eloquenza avete ora udito intorno alla sua vita e alle sue opere, molte delle quali staranno ad attestare ai venturi le sue grandi benemerenze verso questa città, che non ha rivali al mondo, e nella quale si incardina e più intensamente vive la patria italiana. (Bene).
Mi sia concesso, nondimeno, di render qui un ultimo omaggio alla virtù che in lui sopra tutte rifulse, e che è sì difficile ed è di gran merito in coloro che si dedicano alla vita politica; voglio dire la severa indipendenza di carattere, la coerenza ed incrollabile fermezza delle opinioni e il coraggio civile, onde sempre seguendo la sua via, non curandosi né degli ingiusti attacchi, né delle critiche partigiane, finì per imporsi ed essere accettato senza discussione, ed anzi con ammirazione, da coloro stessi che ne subirono la superiorità.
Auguriamo che in Roma non gli manchino i successori che continuino le sue nobili tradizioni, e che un tale esempio valga a rinvigorire la tempra di quanti si votano al servizio della pubblica cosa, la quale soprattutto ha bisogno di forti caratteri e non di facili condiscendenze, ed a persuadere a tutti che la via del dovere, quando non fosse un obbligo, sarà sempre anche la migliore delle politiche. (Approvazioni vivissime).

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 6 dicembre 1899.