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RIGNON Felice

25 febbraio 1829 - 17 giugno 1914 Nominato il 20 novembre 1891 per la categoria 21 - Le persone che da tre anni pagano tremila lire d'imposizione diretta in ragione dei loro beni o della loro industria provenienza Piemonte

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Giuseppe Manfredi, Presidente

Onorevoli colleghi! La morte torna troppe volte a nostro danno. Abbiamo perduto il senatore Rignon, consunto da malattia e grave d'anni. Gli occhi chiuse al giorno il 17 di questo giugno in Torino, ove nato era il 25 febbraio 1829 dal conte Edoardo, che fu ministro del Re di Sardegna in Bruxelles ed in Stocolma. Pur esso, il conte Felice, dell'alto lignaggio mantenne il lustro; e lo abbellì di nuova devozione alla patria italiana; per la quale adolescente si diede alle armi. Dall'Accademia militare entrò all'artiglieria sottotenente, e nelle campagne di guerra dell'indipendenza del 1848 e 1849 acquistò il grado di capitano. Fuori dell'esercito, passati alcuni anni, condusse sposa la figlia del generale Ettore Perrone di San Martino, caduto nella giornata di Novara; ed in questo nodo doppiamente sacro visse ancor più stretto alle memorie del valore militare e del glorioso morire combattendo per la patria e per il Re. (Benissimo).
Nella vita pubblica il conte Felice Rignon partecipò di continuo all'amministrazione comunale. Del Comune di Torino fu consigliere dal 1857, lungo circa cinquantadue anni, fu assessore; fu sindaco dal 1870; riconfermato, eletto e rieletto fino al 1898. Onde dinotasi quanto fosse nella città tenuto in pregio, e quanto meritasse.
Né mancò al conte Rignon stima e fiducia per il mandato politico. Dal collegio di Saluzzo gli fu conferito per l'XI legislatura; e raccolse i voti del IV collegio di Torino per la XII. Fu gradita al Senato la sua nomina del 1° dicembre 1891.
Ma fu della sua vita municipale l'atto notabile, per il quale il suo nome è rimasto nella cronaca torinese collegato al maggiore degli eventi del nazionale risorgimento. Nel settembre 1870, l'esercito italiano alle porte di Roma, deliberato dalla Giunta il festeggiamento, fu del conte Rignon, assessore anziano, il sindaco rinunziante, la parola per la Giunta, che mandò il bacio dell'antica alla nuova capitale. (Benissimo). Concittadini, -diceva il Manifesto del 20 settembre - i destini dell'Italia, quei destini che qui hanno avuto così glorioso principio, ai quali con tanti sacrifizi, con tanta abnegazione, con tanta antiveggenza, avete cooperato, questi destini stanno per compiersi. Le popolazioni romane, fatte libere nelle loro aspirazioni, acclameranno Vittorio Emanuele a loro Re, e le città Italiane esultanti, la gloriosa loro capitale, Roma. Viva Vittorio Emanuele! Viva Roma capitale d'Italia! L'entusiasmo accese Torino; il Rignon divenne il sindaco acclamato; e d'allora l'idea liberale ebbe lui rappresentante nel reggimento di quel cospicuo Comune. L'atto dell'assessore del 1870 è stato ricordato gratamente da Torino onorando il feretro dell'illustre concittadino; ed il ricordo è degno, che vivo si tenga in tutta Italia.
Il Senato s'inchina a questa tomba, ed alle virtù, cui l'Italia va debitrice del suo essere, che Iddio salvi. (Vivissime approvazioni).
FROLA. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FROLA. Consenta il Senato che, come concittadino di Felice Rignon, come suo collega in diverse amministrazioni pubbliche e come ex sindaco di Torino, io mi unisca in modo specialissimo a quanto disse con parola commossa il nostro illustre Presidente per venerare la memoria del caro estinto. In specialissimo modo, dico, perché quando si ebbe comunanza di rapporti nella cosa pubblica, quando si è inspirati sempre unicamente al medesimo concetto del bene pubblico, sorge il dovere di ricordare un uomo estinto nel momento doloroso della sua perdita.
L'illustre nostro Presidente riassunse la vita di Felice Rignon come soldato e come sindaco di Torino, accennando specialmente a quell'importante manifesto che egli pubblicò in Torino nel settembre 1870, quando, in un momento particolare assunse le cose dell'amministrazione, manifesto di cui l'illustre nostro Presidente ebbe a dare lettura. (Bene).
Dopo ciò io desidero anche dire una parola di Rignon come amministratore del Comune, perché per lunghi anni egli diresse l'amministrazione pubblica di quella importante città. Orbene, fin da allora egli intuì i problemi che si riferivano ad una grande città moderna, intuì i problemi relativi al riordinamento di una città, all'ampliamento di essa conformemente alle esigenze della vita moderna. Ho voluto solo aggiungere queste parole, specialmente come ex sindaco di Torino, e in modo particolare ho voluto ricordare la sua memoria in questo momento di rimpianto per la famiglia di lui e per la città nativa.
Credo di essere interprete del pensiero del Senato, pregando il nostro illustre Presidente di far pervenire le nostre condoglianze alla famiglia ed alla città di Torino, di cui egli fu amministratore per tanti anni. (Approvazioni vivissime).
MORRA DI LAVRIANO. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MORRA DI LAVRIANO. Il senatore Rignon, così bene commemorato dal nostro Presidente e dal senatore Frola, al pari di me suo concittadino, non avrebbe bisogno di altre parole. Ma io non mi sento di tacere davanti alla tomba di un vecchio amico, educato con me all'Accademia militare, che con me fece la campagna del '48, dinnanzi alla tomba di uno dei pochissimi veterani delle prime guerre dell'indipendenza d'Italia del '48 e del '49 che ancora rimanevano al Senato. Oramai di quegli avanzi non restiamo che in tre, il generale Ricotti, nostro maestro a tutti, il senatore D'Oncieu ed io. Ed io sarei solo oggi in quest'Aula a rappresentare gli antichi veterani del '48 e '49, se non vi fosse di fronte a me l'amico senatore Cadolini, egli pure volontario di quella antica campagna.
È doloroso vivere lungamente per vedere morire ad uno ad uno i vecchi amici! (Bravo).
L'esercito, per quanti vi appartennero, forma una grande, indimenticabile famiglia, quell'esercito di cui ammiriamo le glorie in guerra, e di cui ammiriamo non meno l'infinita pazienza e la serenità quando, compiendo un doloroso dovere, assiste in pace a fatti deplorevolissimi, e si trova di fronte ai nemici interni; poiché sono veri nemici della patria tutti coloro che si servono della peggiore teppa per distruggere, incendiare e commettere ogni sorta di obbrobriosi eccessi. (Applausi).
Il senatore Rignon dovette lasciare presto l'esercito, ma la sua memoria rimase sempre con noi. Egli aveva carattere fermo e schiettamente liberale. Nella sua famiglia erano tre fratelli, tutti soldati; suo figlio è soldato e lo sarà il nipote. Anch'io mi unisco ai voti del senatore Frola, pregando l'onorevole Presidente di mandare il nostro doloroso saluto alla città di Torino ed alla famiglia Rignon, tanto per il figlio e per la figlia, quanto per la sorella, marchesa di Villamarina, la compagna, fin dal 1868, della nostra augusta Regina Margherita. (Applausi).
DI SAN GIULIANO, ministro degli esteri. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DI SAN GIULIANO, ministro degli esteri. Il Governo si associa cordialmente alle eloquenti parole che sono state testé profferite dal nostro illustre Presidente e dai senatori Frola e Morra di Lariano.
Il Governo si associa pure alle proposte di condoglianze che dai due nostri colleghi sono state fatte.
Certo il collega egregio che abbiamo perduto non poteva sperare oggi migliore onoranza che quella che gli è stata fatta, poiché l'omaggio reso alla sua memoria ha fornito occasione ad una così calorosa manifestazione di simpatia per l'esercito italiano nelle cui file egli cominciò la sua vita nobile ed operosa. (Approvazioni).
PRESIDENTE. Le proposte dei senatori Frola e Morra sono certo consentite dal Senato, ed io non mancherò di darvi esecuzione.

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 25 giugno 1914.