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RICCI Agostino

24 gennaio 1832 - 20 ottobre 1896 Nominato il 04 gennaio 1894 per la categoria 14 - Gli ufficiali generali di terra e di mare. Tuttavia i maggiori generali e i contrammiragli dovranno avere da cinque anni quel grado in attività provenienza Liguria

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Domenico Farini, Presidente

Signori senatori! Pia e civile usanza richiama sul mesto mio labbro i pregi che adornarono, il bene che i colleghi estinti durante la proroga della sessione, vivendo operarono. [...]
L'entusiasmo per la prima guerra d'indipendenza levò in armi la gioventù delle scuole, dalla cultura classica, dalla letteratura patriottica destata a fiera sfida.
Che se poi le fatiche ed i rovesci fecero a molti della tumultuaria radunata parere gravi le armi brandite quasi per ebbrezza di fantasia, i migliori confermarono nel magnanimo ardimento.
Fra questi Agostino Ricci, dagli studi del diritto, surto a vocazione di soldato.
Poco più che sedicenne, come nato a Savona il gennaio 1832, coi volontari di Genova a soccorso di Milano, divenne in breve sottotenente nelle truppe lombarde. Ai combattimenti delle due prime guerre [sic, ndr nello stato di servizio risulta aver partecipato alla prima] non partecipò; ma quei raccogliticci, quelle discordie, quelle sconfitte saldamente lo temperarono: da allora nelle schiere della patria, esplicherà le alte qualità dell'animo e dell'ingegno.
Da sottotenente accolto nelle file regolari, senza vergogna tornò sui banchi della scuola, senza cruccio rimase per dieci anni in quel minor grado.
In Crimea, aiutante maggiore del battaglione tratto dal 3° reggimento fanteria, luogotenente nello stesso durante la guerra del 1859, fu ferito al passaggio del Redone, e continuando a combattere n'ebbe lode di intelligenti disposizioni e fregio di medaglia al valore.
In venticinque anni divenuto tenente generale, dal 1891 comandò un corpo d'Armata. Gli uffici, le occasioni, le attitudini che rapidamente ve lo spinsero richiederebbero minuto discorso.
L'arte militare insegnò nelle scuole e nella reggia, e ne scrisse deducendone i precetti dalla realtà della guerra; traendola fuori dalla storia militare, e avvalorando l'esperienza propria con quella dei secoli, affaticava l'ingegno non la memoria cogli imparaticci o coi plagi.
Era un insegnamento che non intorpidiva le menti fra la ruggine de' sistemi, che non scolorava il vivo ricordo de' campi, dal quale eran banditi i ciarpami onde, troppo spesso, dalla cattedra e nei libri si parodiarono battaglie e milizia.
Parlare disinvolto, sentenziare riciso, pensiero e stile che al dire ed allo scrivere, quando pur trasandato, conferivano naturalezza e sapore di originalità, erano suoi pregi. Con uguale dottrina trattò l'ordinamento degli eserciti, la tattica e la strategia; discusse i munimenti più adatti alla difesa dello stato. Senza sgomento sostenne a spada tratta: si aumentasse la marineria a scapito del numero dell'esercito; Piacenza e Stradella riassumessero la difesa continentale: prevalenza e preferenza molto contraddette.
Oltre all'esercizio segnalato di ogni grado e di ogni ufficio, adempì con singolare onore incarichi straordinari.
Nel 1860, trasferito come capitano nel corpo di Stato maggiore, quale uno dei commissari segnò la nuova frontiera verso Francia; dal novembre 1864 al maggio 1866 capo del gabinetto militare, tre anni innanzi istituito nel Ministero della guerra, fu più che braccio dei due ministri i quali precedettero l'ultima lotta per l'indipendenza; e n'ebbe guiderdone, e fu durante la medesima al quartier generale del comando supremo.
Per due legislature (XV-XVI) deputato di Belluno al Parlamento, le proprie opinioni tecniche apertamente manifestò senza neppure sospettare di meritarne rimprovero; quantunque anch'egli non l'evitasse.
Mandato a Massaua in principio dell'occupazione per averne un giudizio nelle cose d'Africa esperto, come di tale che vi aveva dimorato la state del 1864 ad apparecchiare, assenziente il Terzo Napoleone, l'occupazione di Tunisi, vide, intese con grande acume; avvedutamente, prudentemente consigliò: non ci si scostasse a nessun patto dal mare: l'internarsi, anche per breve tratto, richiederebbe molti soldati e spesa ragguardevole. Lo disse aperto alla Camera: così fosse stato ascoltato! (Benissimo). Ed alla Camera fieramente stigmatizzò le insofferenze, le censure per i disagi del nuovo soggiorno: dai soldati esigersi obbedienza, non piati: si punisse chi di essi si attentasse di eccitare, con pubblico clamore, a malsana sentimentalità, od a pietà imbelle. (Approvazioni).
Convinto che, per quanto le forze materiali soverchino, la vittoria appartiene alla superiorità dello spirito che le agita e le domina, tanto nella scuola, quanto nell'esercizio del comando e negli scritti intese con pertinacia a suscitare ed elevare le qualità morali del soldato. Chi per la più nobile delle missioni fuggirebbe rischio o fatica? Cui sarebbero gravi abnegazione, sacrifici? Chi risparmierebbe operosità e zelo? In alto i cuori, quanto la meta! Vita degna ed esemplare circonfonda di pura aureola chi è votato alla patria: il sacrifico di sé che di continuo gli incombe, lo trovi sempre apparecchiato a staccarsi da ogni altro interesse od affetto: massimo fra gli onori indossare la divisa dell'esercito tutto d'italiani, che sorse colle fortune della patria, sulla cui fede e fortezza il Re e l'Italia riposano!
(Molto bene).
Infervorato di questi alti sentimenti il suo cuore di cittadino si esaltava, nobilitava il soldato compreso di venerazione per tutte le glorie, agitato da fiero palpito per tutti gli orgogli nazionali. Ad accenderne i sottoposti si adoperava senza tregua, o dovesse dare indirizzo alla nuova scuola di guerra, o quale comandante in secondo reggesse il corpo di Stato maggiore. Molti a quelle dottrine si formarono, a quel carattere si modellarono e furono degni dei sommi gradi raggiunti. Insieme ai precetti dell'arte da Agostino Ricci appresero come si nutrisca e si corrobori la mente, come la vigoria dell'animo centuplichi il valore della mano, come ingegno ed animo poderosi suscitino le iniziative che, quando non turbino il disegno del capo, o peggio non trascendano a tristi gare, segnalano il capitano. Impararono da lui la scrupolosa cura del benessere del soldato, che rammorbidisce le dure esigenze della disciplina; la religione della quale, appunto perché non tollera indulgenza né remissione di colpe, impone costante benevolenza verso chi non erra.
Senatore dappoi il gennaio 1894, venne in mezzo a noi solo rade volte; ché un'inesorabile malattia da più anni lo affliggeva, lo soggiogava. A lungo e da stoico aveva tenuto fermo, attutendo colla volontà i dolori che lo straziavano; finché rimase a capo di truppe non trasandò il più piccolo dei suoi doveri: pietosa lotta; virtù ammiranda! Venutagli meno la lena per servire ad essi così come egli sentiva e soleva, per adempiere l'ufficio nel rigido modo con che sempre l'aveva esercitato, rassegnò il comando.
Stette per poco più d'un anno a disposizione del Ministero; da un anno preciso era in servizio ausiliario, quando il 20 di ottobre morì a Torino.
Onore alla tomba del cittadino che per la patria si fece soldato; onore allo strenuo che agli italiani armati di proprie armi fu maestro, e rimarrà esempio di educatore e di soldato!
(Vive approvazioni).

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 30 novembre 1896.