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RACCHIA Carlo Alberto

31 agosto 1833 - 12 marzo 1896 Nominato il 21 novembre 1892 per la categoria 14 - Gli ufficiali generali di terra e di mare. Tuttavia i maggiori generali e i contrammiragli dovranno avere da cinque anni quel grado in attività provenienza Piemonte

Commemorazione

 

Atti parlamentari Commemorazioni.
Domenico Farini, Presidente

Poiché il Senato volle per sua grazia aspettare la mia presenza, perché gli fossero comunicate le necrologie dei colleghi defunti nell'intervallo dalle ultime sedute ad oggi, così io obbedisco al doloroso incarico, procedendo alla lettura di esse.
Signori senatori! [...]
La sera del 12 ad ore 18 e minuti 25 trapassava il viceammiraglio Carlo Alberto Racchia.
A sessantatrè anni non ancora compiuti, come nato a Torino il 31 agosto 1833, era il più anziano degli ufficiali dell'Armata, nella quale godeva un'alta reputazione di valore marinaresco e di forte soldato.
Aveva navigato per oltre vent'anni; soldato di tutte le guerre per l'indipendenza meno l'ultima, e di quella per l'unità, a Messina la menzione onorevole, a Gaeta meritava la croce di Savoia. Dal 2 dicembre 1852, saliti tutti i gradi in trentacinque anni, seppe condurre a buon fine ardue missioni nelle quali l'inflessibile ardire era mestieri fosse temperato da accorti e pronti espedienti: dico i quaranta mesi di navigazione nei mari dell'Indo-Cina, gli accordi commerciali stipulati colla Birmania e col Siam.
Addetto navale presso l'ambasciata di Londra; deputato del collegio di Grosseto per tre legislature (XV, XVI, XVII); segretario generale del Ministero della marina per circa quattro anni; dal 21 novembre 1892 senatore; per un anno ministro, in tutti gli uffici zelò gli interessi dell'Armata alla quale, come ad una benamata famiglia, lo stringeva immenso affetto. La severità della disciplina, l'addestramento degli equipaggi, i regolamenti tattici, i progressi tecnici curò con mano rigida, con intelligenza, con tenace convinzione fatte di studio, di pratica, di meditazioni. Navi armate, lunghe navigazioni, pochi ufficiali arrugginiti nei servizi a terra, marinai costantemente tenuti in lena, erano, a suo giudizio, i fondamenti indispensabili per preparare la flotta all'arduo compito che le assegnano la giacitura della penisola, la lunga distesa delle coste, le fiorenti città che i due mari bagnano.
Ad udirlo parlare dell'alta missione dell'Armata e del modo di apparecchiarla ai supremi cimenti, si sentiva vibrare nel suo discorso, pronunziato con inflessione di comando, tutto l'orgoglio di un'anima eletta, piena della coscienza d'un altissimo dovere.
Il grande amore per l'Armata si immedesimava in lui col grande amore della patria, della cui prosperità e grandezza, quella doveva essere strumento e baluardo. Taciturno, austero in vista, per chi non lo conoscesse quasi ruvido, manifestava per poco lo si accostasse i sentimenti gentili, il cuore degli uomini vissuti a lungo in mezzo ai maestosi spettacoli, alle sublimi collere della natura: dall'animo del fiero soldato si diffondeva un'ineffabile soavità.
comandante della quadra di riserva, reduce da poco nel golfo di Spezia, colto dal male non volle scendere in terra, morì sulla nave ammiraglia.
La bandiera della Lepanto, che lo strenuo capitano avrebbe, a prezzo del sangue, tenuta alta in faccia al nemico, ahi! sciagura si ammainò mesta sulla salma di lui schiantato da breve, acuta malattia.
Grave è il lutto, gravissima la perdita fatta dalla Marina italiana. (Vive approvazioni). [...]
BRIN, ministro della marina. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BRIN, ministro della marina. Io mi associo a nome del Governo alle nobili parole di cordoglio consacrata dal vostro illustre Presidente alla memoria di tanti egregi uomini che onorarono e servirono la patria colle loro virtù e colle loro opere, e la cui perdita funestò recentemente questa nobile Assemblea.
La mia disadorna parola non farebbe che menomare la solennità dell'espressione dei vostri sentimenti fatta testé eloquentemente e così nobilmente.
Pure mi consenta il Senato che io, come ministro della marina, compia il mesto ufficio di recare un doveroso e meritato tributo d'onore alla memoria dell'ammiraglio senatore Racchia. (Bravo).
Io che fui legato a lui da lunga amicizia, io che ebbi l'onore di averlo devoto ed intelligente collaboratore più che al dovere ubbidisco all'impulso dell'animo mio recando qui testimonianza dell'immenso cordoglio che ha funestato l'intera marina, il rapido ed immaturo sparire del decano dei suoi ammiragli. (Benissimo).
Col Racchia sparì una delle più nobili figure di soldato e marinaio.
Appassionato del mare, entrò giovanissimo nella marina, dove dedicò tutto se stesso con devozione ed abnegazione senza limiti al servizio del Re e della patria.
Esperto ed ardito marinaio trascorse navigando la più gran parte della sua lunga carriera di oltre quarant'anni, e fece sventolare con onore la bandiera italiana nei mari più lontani.
Chiamato alle più svariate e difficili missioni, egli fu sempre pari ai compiti affidatigli.
Soldato, diplomatico, ministro, servì il paese sempre con eguale zelo e successo.
In tutte le fasi della sua vita così operosa egli fu sempre eguale a se stesso, stimato ed amato universalmente per la sua rettitudine, per la fermezza del suo carattere, per il senno e per l'ardore e costanza nei propositi.
Un pensiero ed un sentimento guidarono costantemente la sua vita, il pensiero della grandezza marittima d'Italia, il sentimento del dovere.
Chiamato all'onore di sedere tra voi egli fu circondato di simpatie ed ebbe il vanto di riscuotere la vostra approvazione, quando, da ministro, manifestò i suoi proposti, ritraendo tutto se stesso con franca e concisa parola: "La mia bandiera, egli vi disse, è questa, navigare ed imparare a combattere preparando stati maggiori ed equipaggi, istruiti, disciplinati e temperati alla dura vita del mare. Io considero questo come il più sicuro fattore della vittoria.
Egli fu sempre fedele a questo nobile proposito.
Quando poté tornare alla sua prediletta vita del mare egli si consacrò con nuovo ardore a quella missione, esercitando ed ammaestrando gli ufficiali ed equipaggi delle nostre squadre.
Non curante di sé, già infermo, non volle sottrarsi ai disagi della vita di bordo, talché la morte lo colse sulla sua nave ammiraglia, dove il Racchia spirò fra il pianto degli ufficiali e marinai, che egli tanto amava.
Il sovrano di una grande nazione, appassionato pur esso del mare, intelligente e giusto estimatore del valore degli uomini, ammiratore dell'ammiraglio Racchia lo volle onorare del suo ritratto, fregiandolo del motto: "Navigare necesse,/ vivere non necesse" (Benissimo).
Motto fatidico e nobile, e degna epigrafe di così onorata tomba.
La marina ed il paese avevano ragione di contare su questo valoroso.
Questa grande speranza oggi non è, pur troppo per noi, che uno dei nostri più mesti ricordi.
Ma non perirà l'eredità che egli lascia al paese ed alla marina quella di un ammirabile esempio di ogni virtù militare e civile. (Vive e generali approvazioni).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il signor senatore Garelli.
GARELLI. Consenta il Senato che io, come compaesano dell'ammiraglio Racchia e interprete del pensiero dei suoi concittadini, vivamente ringrazi l'illustre nostro Presidente e l'onorevole ministro della marina delle parole nobilissime colle quali hanno ricordato hanno ricordato le singole benemerenze del valoroso soldato ed uomo di mare.
Consenta ancora il Senato che come italiano io particolarmente rimpianga l'immatura perdita di quest'uomo nell'ora presente, nell'ora presente in cui la patria volge più intenso l'occhio e l'animo ai migliori suoi figli e spera da essi la continuazione dei recenti gloriosi esempi di virtù e di eroismo, i quali, malgrado le avversità della fortuna, riscossero l'ammirazione di tutto il mondo civile. (Bene, bravo).

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 23 marzo 1896.