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POGGI Enrico

24 luglio 1812 - 14 febbraio 1890 Nominato il 23 marzo 1860 per la categoria 05 - I ministri segretari di Stato provenienza Toscana

Commemorazione

 

Domenico Farini, Presidente
Anche oggi, Signori Senatori, debbo darvi un mesto annunzio: quello della morte del Senatore Enrico Poggi, passato all'improvviso di vita il 14 di gennaio in Firenze, dove era nato il 24 luglio 1812.
Figlio d'un avvocato probo e valente, fratello a Girolamo che fra i giureconsulti e magistrati, benché mancato a soli 34 anni, lasciò alto grido di dottrina, studiò pur esso la legge nella pisana università. La severa educazione paterna, l'ingegno alacre, gli insegnamenti del Carmignani e del Del Rosso, la guida del fratello, la ferma volontà resero presto Enrico Poggi segnalato, e furono cagione che, ascritto nel 1838 alla magistratura vi acquistasse, nel 1845, grado di consigliere della Corte di appello di Firenze.
Nell'anno medesimo i suoi «Cenni storici delle leggi sull'agricoltura dai tempi dei Romani fino ai nostri» nei quali, addimostravasi singolarmente versato nel giure, nella storia e nell'economia politica davangli chiara rinomanza. La fecero, dappoi, chiarissima altri scritti storici, politici, giuridici, economici informati a dottrine di libertà e d'uguaglianza; le sole, a suo credere, atte ad armonizzare gli interessi sociali.
Tuttora consigliere di appello alla caduta del Principato lorenese, ripetutamente invitato a partecipare al nuovo governo, dopo non breve esitare, consentì; e fu Ministro di Giustizia e Grazia. Alieno dalle parti, quantunque della patria amantissimo e franco nell'operare come nell'opinare, egli non si era per lo innanzi nelle politiche vicende mescolato. Nell'abbandono del principe allo straniero piucché al paese devoto, eragli paruto fosse dovere suo non sottrarsi alla fiducia onde lo si onorava; confidando, come scrisse, che «appunto perché uomo nuovo e senza politici precedenti una gran parte sarebbegli andata dietro, perché sapeva che il bene della patria non gli avrebbe mai fatto scordare i doveri verso la religione né il rispetto ai diritti più sacrosanti che sono la base dell'umana società».
Sommi principî ai quali, o partecipasse autorevolmente al governo della Toscana di quell'anno o nel trentennio di vita pubblica allora entrata, mai non mancò.
Giurista, anche nelle cose di Stato i canoni del diritto non sottopose né temperò a politica opportunità; rassegnato a far parte di per sé stesso, piuttosto che transigere colla propria coscienza. Anima cristiana, calda di fede, il compimento dei destini della patria riguardava, secondo lasciò scritto, essere: «preordinato a dare nuova vita e nuovi progressi all'incivilimento cristiano... la distruzione del dominio temporale dei Papi a beneficio della religione e della civiltà».
Senatore nel marzo 1860, non appena unita la Toscana; Ministro senza portafogli per brevi giorni nel marzo 1862; presidente di sezione alla Cassazione di Milano e di Firenze lasciò ovunque di sé grata memoria e lungo desiderio.
Lo spirito arguto, la dottrina varia, la cultura grande, il fare pieno di dignitoso riserbo ne pregiò il Senato di cui fu, per una sessione, Vicepresidente e dal quale ebbe spesso onorevoli incarichi.
E veramente il senatore Enrico Poggi, per lunghi anni frequentatore assiduo dell'Aula Senatoria, ne illuminò i più difficili dibattiti. A nessuno dei più astrusi argomenti mostrossi impari la sua sapienza. I codici, l'ordinamento giudiziario, i rapporti fra Chiesa e Stato, il pubblico insegnamento, il credito agrario e fondiario, le Banche, i fidecommessi, le servitù militari, i conflitti di giurisdizioni, le enfiteusi, le miniere, a tacere di molte altre, furono materie tutte da lui trattate con larghezza di mente e severità di principî, con squisito sentimento di libertà, con vivace affetto di patria.
L'età grave e il lume degli occhi quasi perduto, avevanlo da due anni tolto alla magistratura e reso men frequente fra di noi; ma l'operosità feconda e il lume del lucidissimo intelletto non gli vennero meno se non colla vita. Ne rimangono documenti La Storia d'Italia dal 1814 al 1846 e le monografie colle quali, consolando gli ultimi due anni della sua esistenza, illustrò con grande amore alcune pagine della storia di casa Savoia e la biografia della perduta consorte, a consacrazione degli affetti domestici onde aveva vissuto beato.
Che se agli scritti storici e sovrattutto alle «memorie del Governo della Toscana» poté apporsi qualche menda, da queste non fu mai immune chi, scrivendo di cose delle quali fu parte, apprezza i fatti di man mano che si svolgono, sicché i giudizi di poi si risentono spesso de' pregiudizi. Ma è pure doveroso affermare che quand'anche alle dotte scritture dettate con intendimento altamente civile, con purezza di lingua, con fine critica, con rara erudizione, non fosse la memoria d'Enrico Poggi, come è, raccomandata, la raccomanderebbero saldamente agli italiani i servizi che esso rese nel foro, nella Magistratura, negli uffici di Stato, nella vita pubblica. Forse alcuna volta lui punse il rammarico che l'indole sua, schiva dai destreggiamenti, gli avesse vietato di renderne dei maggiori, di recare più largo aiuto di consiglio e di opera alla nuova Italia, nei travagli del politico rinnovamento; ma la diritta coscienza fu paga di non aver mai nè piegato, nè pencolato. Certo, nei giorni melanconici, il rincuorò soavemente il ricordo di quell'ora solenne della notte del 15 marzo 1860 in cui, Ministro di giustizia, compendiando un anno di lotte, di ansie, di pericoli, di vittorie; impersonando il forte volere di un governo e di un popolo, la sua bocca dall'alto della ringhiera di Palazzo Vecchio, proclamava essersi sentenziato dai popolari comizii il fine della Toscana; principio dell'Italiana unità.
Ricordo imperituro col quale, Signori Senatori, a me pare degno di Enrico Poggi e di questa Alta Assemblea politica salutare per l'ultima volta il nome del compianto collega in presenza vostra. (Benissimo).
CRISPI, presidente del Consiglio, ministro dell'interno. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
CRISPI, presidente del Consiglio, ministro dell'Interno. Il Governo si associa alle lodi meri-tamente tributate al senatore Poggi.
L'Italia, ricordando l'illustre uomo, terrà memoria del giureconsulto, dello scrittore, del patriotta; ma sopratutto terrà memoria, che in un momento in cui taluni ordivano le trame per la costituzione di un Regno dell'Italia centrale, Enrico Poggi fu tra quelli che più di tutti vi si opposero, lavorando per l'unità nazionale. Mi pare che questo ricordo valga più di ogni altro ad onorare l'illustre defunto.
Senatore BUSACCA. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.'
Senatore BUSACCA. Onorevoli colleghi. Mi sia permesso di aggiungere, in riguardo al compianto senatore Poggi, poche parole a quanto di lui così egregiamente il nostro onorevole presidente ha detto.
Il senatore Poggi, è circostanza che mi sembra opportuno avvertire, tranne quei nostri colleghi, già senatori durante il Governo subalpino, era, se la memoria non m'inganna, il senatore più •anziano di tutti quei che furono dalla formazione in poi del Regno d'Italia nominati. Questa circostanza però io rilevo, perché la nomina del Poggi al Senato non fu un fatto quasi casuale; essa si riannoda invece colla storia d'Italia dei nostri tempi, e colla parte importante ch'egli vi ebbe.
Poiché Enrico Poggi non fu soltanto ottimo magistrato, insigne giureconsulto, ma liberale per convinzione scientifica, sostenitore intransigente e propagatore dei principî della libertà bene intesa considerata nei suoi vari aspetti; il Poggi coi suoi scritti (e ben rammento), colle sue letture pubbliche, nell'Accademia economica dei Georgofili, che era in Firenze il campo in cui sostener poteansi principî che barriera insormontabile incontravano nella restante Italia, il Poggi trattando argomenti economici, e della libertà economica trattando qual parte essenziale della legge naturale generale della libertà, e specialmente considerandola nei rapporti naturali che legano le popolazioni d'uno Stato colle popolazioni affini d'altro Stato, dal quale si trovano forzatamente divisi, propagando così il principio della nazionalità italiana, il Poggi fu tra quei che più contribuirono a preparare in Toscana lo spirito pubblico per quel movimento, il cui risultato fu l'unità italiana.
Che io non esagero, i fatti lo provano.
Al 27 aprile 1859, quando ancora il cannone tuonato non avea in Lombardia, la Toscana insorse, ed espulso il principe austriaco, un Governo provvisorio formossi. Capo e presidente di quel Governo, è ben noto, fu il barone Ricasoli, ed a lui, in quanto l'esito d'una rivoluzione dipender può da un uomo, a lui, e, mi sia permesso aggiungere, al capo dell'altro Governo provvisorio posteriormente formatosi, che col Ricasoli agiva all'unisono, cioè al padre dell'attuale nostro presidente del Senato, principalmente si deve la vittoria finale.
Ma a costituire un regolare Governo un solo uomo nella libertà non basta. Col Ricasoli, e da lui prescelti quali ministri, cooperarono quei cinque che, pei loro precedenti e per l'autorità che già sullo spirito pubblico si aveano, maggiore fiducia inspiravano. Ed il Ricasoli non mancò alla buona scelta.
Enrico Poggi, quale ministro di grazia e giustizia, fu. del Governo provvisorio toscano parte.
Primo atto con cui quel Governo manifestossi all'Europa fu la dichiarazione della ferma volontà della Toscana unanime di formare un sol tutto cogli altri Stati di cui Vittorio Emanuele di Savoia era Re, e, a mostrare che serio fosse il volere del popolo, altro fatto fu la partenza immediata delle entusiaste truppe toscane per la Lombardia, onde unirsi alle altre truppe del Re eletto.
Durò in quel provvisorio la Toscana per oltre un anno; vi durò ordinata e tranquilla procedendovi i servizi pubblici all'interno come sotto antico Governo in tempo di pace sarebbe; vi durò sostenendo il suo Governo, pronta a sacrifici durante la guerra, irrequieta soltanto dopo le battaglie vinte per gli ostacoli che alla sua volontà opponeva l'estero.
E ben ragione aveva di essere inquieta. Poiché alle battaglie vinte altra lotta era succeduta tra il Governo provvisorio e la diplomazia all'Italia nemica, la quale dicendo non vera la uniformità del volere in Toscana, sperando che col portare le cose in lungo il provvisorio generasse l'anarchia, minacciando interventi e lusingando, durante quasi un anno fortemente insistette per la formazione, sotto altro principe, d'un Regno dell'Italia centrale, ossia della Toscana, ingrandita, con Firenze capitale.
Ma il Governo provvisorio, le minaccie [sic] non curando, le lusinghe sprezzando, sicuro del volere del popolo, sorretto dal Governo del Re dal popolo voluto, forte del voto a suffragio universale il più libero, il più sincero, il più unanime che si fosse mai dato, pose la diplomazia nel bivio, o di un'altra guerra, o di cedere al diritto naturale che ha ogni popolo di reggersi da sé.
Il Governo provvisorio la vinse; e, dichiarata dal Re la Toscana formar parte integrante del Regno, coll'annessione della Toscana la unità dell'Italia tutta, divenuta conseguenza inevitabile, fu assicurata.
Però a tutto questo, come membro del Governo provvisorio e ministro della giustizia, Enrico Poggi contribuì non poco. Poiché non soltanto col suo zelo e colla sua sapienza giuridica egli in quei tempi difficili curò la retta amministrazione della giustizia in Toscana, ma gli affari più importanti generali trattandosi in Consiglio dei ministri, in Consiglio discutendosi e adottandosi le deliberazioni d'ordine politico, il Poggi completata col suo nome la unanimità del Governo nella dichiarazione dello scopo unitario cui la Toscana mirava; ai rapporti tra il Governo provvisorio e il Governo subalpino, alle trattative diplomatiche, il Poggi partecipò ed influì; ed a lui ministro della
giustizia, sostenitore intransigente dell'unità italiana, spettò la sorte di annunziare al pubblico il decreto del Re, col quale, confermando il plebiscito, l'annessione della Toscana, diveniva un fatto.
Fu, come ho detto, conseguenza naturale, necessità quasi, se, costituitosi il nuovo Regno,
alla formazione del quale; avea tanto coope:rato, il Poggi fosse dei primi ad .esser chiamato al Senato, e fu giusta retribuzione ai suoi meriti politici, civili, scientifici, se ritornato alla magistratura salisse ai più alti gradi, finché primo presidente onorario della Corte di cassazione, compianto da tutti, placido in tarda età spirasse.

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 17 febbraio 1890.