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PODESTÀ Andrea

26 maggio 1832 - 04 marzo 1895 Nominato il 25 novembre 1883 per la categoria 03 - I deputati dopo tre legislature o sei anni di esercizio provenienza Liguria

Commemorazione

 

Atti parlamentari Commemorazioni.
Domenico Farini, Presidente

Signori senatori! Doloroso è a me l'annuncio, a voi l'udire dei colleghi venuti a morte dacché non ci adunammo. [...]
Vi hanno uomini la cui morte concilia gli animi a mesta concordia. Attorno alla memoria di codesti che già furono segno di aspre lotte, tace subito ogni dissidio e sul loro feretro gli amici e gli avversari del dì innanzi gemono a gara, a gara lodano. In un attimo, quasi una luce improvvisa rischiarasse la vita che si spense, le è fatta giustizia del maltalento; il vuoto che dopo di sé lascia nello Stato o nella città affligge e fa meditare.
Tanta la costernazione di Genova, poiché la mattina del 5 di marzo con parola commossa, la Giunta comunale annunciava la fatale perdita del suo capo il barone Andrea Podestà, spirato alle ore ventidue del giorno innanzi.
Egli è che da oltre trent'anni si era come imperniata nel defunto e da lui indirizzata non solo l'azione del municipio, ma ben anche quella della maggior parte degli istituti benefici e delle aziende industriali e bancarie onde il laborioso popolo trae decoro e benessere, accumula ricchezza. Egli è che Andrea Podestà, suo deputato al Parlamento durante sei legislature e senatore da pressoché dodici anni, aveva con fervore continuo e ligure tenacia in ogni occasione favorito nelle due Camere le provvisioni onde Genova e lo Stato si avvantaggiassero. Egli è che consigliere comunale per un trentennio, tre volte sindaco, consigliere provinciale dal 1864 e presidente del Consiglio dappoi il 1870, da lui aveva preso nome ogni incremento della splendida città, di cui immedesimava in sé i sentimenti e le aspirazioni.
Di vivace ingegno ed ornato di bella cultura letteraria; dalla storia, nella quale era molto versato, traeva incitamento a che la terra natale, ragione fatta dei tempi nuovi, si mantenesse degna del gran nome, del grandissimo passato; che alla patria italiana fosse esempio e stimolo di operosità, insegnamento ed aiuto, argomento di prosperità. Mente larga, acuta percezione, schivo delle meticolosità afferrava con risolutezza il patrocinio d'ogni nobile idea; per lui la magistratura municipale palpitava all'unisono colla città; sicché antivedendo, iniziando, moderando, impediva che alcun privato si arrogasse di rappresentarne i sentimenti, di esprimerne il pensiero, gli affetti.
Aveva in gioventù studiata legge nel patrio ateneo, che tant'anni dopo sua mercé sarebbe accresciuto di dignità, ed aveva pur anche per breve esercitata l'avvocatura. Morto il valente ingegnere [sic] dal quale nell'anno 1830 era nato, lasciato il foro, fece tirocinio di pubblico amministratore reggendo i comuni di San Francesco di Albaro e di Voltri ed in quello di Masone: speciali studi di edilizia, d'igiene, di pubblica economia lo apparecchiarono a più insigne arena.
Dal 1863 consigliere comunale di Genova anzi assessore sui lavori pubblici; nel 1866 sindaco per la prima volta, al colera che fieramente percosse la città oppose animo risoluto, attività sovrumana.
In quell'anno e nel successivo, e più tardi ogni qualvolta la città dal contagio fu flagellata lo combatté con inflessibile baldanza, sorretto dalla ferrea volontà, e dal sentimento della grande responsabilità, da cui il corpo non gagliardo attingeva vigore. Furono certo quelle strazianti giornate, quando la morte desertava i palazzi e funestava i tugurii, quando il morbo popolare collo squallore e coi lutti puniva e maggiorenti per i trasandati doveri sociali, che alla sua coscienza balenò, s'impose una missione: risanare la città. Solcarne il dedalo delle storte viuzze, unirne il cuore al suburbio con larghe strade; schiantarne la muraglia che ad oriente la angustiava, che a mezzodì le precludeva l'ampio mare e le purissime brezze ed impacciava l'accedere al porto ed il venirne; con bella circonvallazione ricingerla a mare e sul dosso del monte, e spianato questo a quello congiungerlo per più vie e farne nuova saluberrima stanza, fu opera sua. E la trasformò per guisa da non contaminarne l'impronta gloriosa dei secoli, da rispettarne i monumenti e le memorie di rispetto degne; nel mentre che i traffici e la vita moderna e le esigenze tutte del nostro tempo ne ricevevano soddisfazione. E fu opera sua: il territorio del comune verso oriente ampliato, il presente e l'avvenire del porto assicurato, il commercio di deposito agevolato. Faticosa, quotidiana battaglia durata nei quindici anni di suo sindacato; per la quale tre volte giacque, tre volte risorse, dalle memorie luttuose lena per vincere la garrula accidia dei giorni sereni, dalla chiaroveggenza d'un cuore caldo e d'un intelletto potente traendo irremovibile fermezza: battaglia, anzi vittoria, alla quale la voce pubblica lo additava, lo chiamava, lo preponeva ogni qualvolta un interesse d'alto momento esigesse pronta soddisfazione.
Ed egli che era caduto per non cedere, che ai successori, pur combattuti, aveva risparmiato le piccole molestie, volenteroso accorreva; riprendeva fiducioso la sua diritta via; conciliava uomini opposti cose discoste, distrigava i viluppi e senza darsi pensiero degli ostacoli, anzi andandovi incontro risoluto a superarli anche a rischio di esserne rovesciato, rompeva gli indugi, imponeva silenzio, tutto dominava, tutti trascinava; nato fatto a comandare da solo.
Del pubblico danaro parsimonioso, alieno dalle pompe, e quantunque ricco abituato a sobrietà paesana, egli sapeva a tempo largheggiare del proprio e del pubblico danaro. Era quando il primo cittadino sentiva di riassumere nel proprio fasto la storica splendidezza degli antichi privati cittadini; era quando il primo magistrato sapeva essere confidato alla città sua il prestigio della nazione. Allora le feste del privato erano degne del Re e dei principi che ospitava; allora ogni patriottica manifestazione appariva, per virtù del municipio, grandiosa e riscaldata dallo stesso vivo sentimento per cui nella storia del risorgimento Genova va gloriosa. Ultime in ordine di tempo le feste Colombiane, la magnificenza delle quali sbugiardò la fola di miseria onde eravamo lacerati, e vive e vivrà lungamente nel ricordo dei popoli che da ogni dove vi convennero; tanto la superba antica signora del Mediterraneo, da lui agognata sempre più ricca e sempre più bella, per lui aveva all'antico apposto novello splendore.
Fu Andrea Podestà taciturno, severo, ruvido in vista; nell'intimità bonario, espansivo, gioviale; cogli amici affabile, per la famiglia aveva tenerezza tale che soltanto chi, al pari di me, godette la sua dimestichezza può figurare. L'abito di una freddezza calcolatrice frenava in lui gli slanci della natura immaginosa; il più caldo affetto per la città si congiungeva a' purissimi spiriti nazionali.
Giudizio unanime di ogni partito, voce sovrana di popolo lo sentenziò vanto di Genova, onore di Liguria; né l'ala rapida del tempo scolorirà con sconfortante oblio la memoria di chi rappresentò tanta parte di Genova, anzi della Liguria dirimpetto all'Italia (Benissimo).

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 12 giugno 1895.