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PLEZZA Giacomo

28 dicembre 1806 - 04 settembre 1893 Nominato il 03 aprile 1848 per la categoria 21 - Le persone che da tre anni pagano tremila lire d'imposizione diretta in ragione dei loro beni o della loro industria provenienza Lombardia

Commemorazione

 

Domenico Farini, Presidente
Signori Senatori!
Pietosa consuetudine vuole che noi mestamente volgiamo il primo pensiero ai nostri trapassati.
Dico adunque che dappoi il nove di agosto morirono i senatori [...] Plezza [...].
Il decano di quest'Assemblea il senatore Giacomo Plezza mancava ai vivi in età di pressoché ottantasette anni.
A Cergnago (Mortara) dove era nato e viveva in mezzo ai latifondi aviti, la ricchezza bene usata avevagli dato fama di egregio, dall'animo alto, dalla saviezza e dal libero opinare accresciuta.
Per questo quando nel 1847 l'Associazione agraria fu via e mezzo alle riforme politiche il Plezza, presidente del Comizio della Lomellina, si trovò in vista ed entrò in dimestichezza con i più degli uomini che il rinnovamento politico dello Stato stimolavano.
Il 1848 egli era già, sia per il censo pingue, sia per la reputazione tenuto in grande considerazione; onde fu dei cinquantotto primi che il decreto del 3 aprile elesse a comporre il Senato; uno dei due che non avessero ufficio o grado oltre la qualità di avvocato.
Diligentissimo, zelatore delle provvisioni intente a rinnovare lo Stato, a munirlo di buone armi, a renderlo campione di libertà e d'indipendenza, il suo nome divenne sempre più chiaro, carissimo ai caldi del nazionale riscatto da lui a viso aperto promosso. Il perché, vinta la legge di fusione del Lombardo-Veneto, fu ministro dell'interno, presidente il Casati, nel secondo Ministero dappoi lo Statuto, al quale il Gioberti dava col nome prestigio di sapienza e di popolarità ed egli, il Plezza, quello del sentimento dell'italianità ad ogni altro anteposto.
Breve Governo, durato appena un mese, caduto per i rovesci militari di quell'estate.
Sullo scorcio dell'anno poi nuovamente ministro, anzi capo del potere esecutivo il Gioberti, a sperato scampo dall'intervento straniero, a sperata salvezza delle costituzionali franchigie divisando il concorde operare delle armi piemontesi e napoletane nell'Italia centrale, al Plezza affidò l'ardua pratica.
Incarico mandato a male dalla gelosia borbonica contro cui si ruppe l'ardimentoso disegno; incarico al quale seguiva il 1o febbraio 1849 quello di vicepresidente del Senato, per cinque altre sessioni consecutive confermatogli; tanto era desso nell'estimazione e del Governo e di questa Camera.
Parimente, al rompere della seconda guerra d'indipendenza, commissario a Parma in nome del Re non rifiutò la fatica, né fuggì il pericolo rimanendovi, dopo il rovescio di Novara solo e senza soldati «perchè non fosse detto (scriveva egli all'altro illustre vicepresidente del Senato) che il rappresentante del Piemonte abbandonò vilmente, per paura dei Tedeschi o della piazza, la città a lui affidata in preda all'anarchia ed ai partiti»... e continuava «starò fermo al mio posto e non si torcerà un capello a nessuno finché io son vivo, ma la dignità del Governo e mia non soffre che queste popolazioni sieno così abbandonate».
Parole, atto magnanimo da una lunghissima vita mai smentito.
In cima d'ogni altro pensiero quello egli ebbe dell'indipendenza e della libertà; ne raccolse i profughi nella sua casa ospitale; sovvenne i patriotti. E, quasi dalle sconfitte traesse lena, il sorgere del 1851 lo vedeva già a capo dell'Associazione dei carabinieri italiani, per preparare validi difensori alla patria.
La quale, poiché nel 1859 venne in condizione di ricorrere nuovamente alla ragion delle battaglie e il territorio orientale dello Stato, da Genova ad Ivrea, per Alessandria e Novara fu ripartito in tre commissariati per rapidamente provvedere a tutto che agli eserciti alleati fosse spediente, il Plezza andò commissario in Alessandria bello e forte arnese, alle prime mosse di quella guerra centro e perno.
I casi memorandi, adunque, di quasi mezzo secolo lo ebbero partecipe; i primati del nostro tempo lo ebbero aiutatore franco, onesto, tenace; e d'altro canto la parte che egli ebbe nelle discussioni senatorie fu in tutto degna del suo operare.
Non si fecero studii, non leggi, non discussioni di qualche rilievo nelle quali, dal primo giorno che qui sedette e per molti anni, non mettesse voce. Parlò di economia, di politica, di amministrazione, di finanza con parola fatta di studio e di osservazione, cimentata al crogiuolo della diuturna esperienza.
La sua fibra morale, come quella del corpo temperata alla vita campestre lo assomigliava ai cittadini
d'un'altra età che a volta a volta nei pubblici uffici recavano le robuste vigorie della campagna, nella quale si ritempravano meditando e studiando. Ed il discorso suo specchiava gli avvedimenti di quei savî.
Meno assiduo a Firenze, in Roma fin verso il 1880 venne di frequente. Egli pure qui salutò i maggiori avvenimenti, anche qui la sua voce risuonò calda, né mai affievoliti apparvero i liberali suoi intenti.
Che più! Tre mesi prima di morire, inaugurandosi il monumento ai caduti di Palestro, né l'età, né il disagio lo trattennero dal rendere onore, per il Senato, ai valorosi caduti! Pari al mattino fu la sera della vita sua: giovanile gagliardia della persona e fede vivace la segnalarono: privilegio, anzi premio di chi bene spese talenti e forze.
Era nato il 28 dicembre 1806, morì in una sua villa presso Arona addì 4 settembre: volle sepoltura nel paese nativo che per cinquantasette anni aveva amministrato.
Attardato in mezzo a passioni alle quali da anni era estraneo questo cittadino venerando scomparve quasi inavvertito, tanta obblivione sparge il tempo che incalza.
Però la cronaca dei nostri giorni tramanderà alla storia che Giacomo Plezza fu dei primi fautori dei liberi istituti, che della nazionale indipendenza fu costante e vigoroso promotore, che per sentimento ed intelligenza dei tempi patrocinò i diritti popolari, che morì come aveva vissuto diritto, forte, fedele ai palpiti della prima età ravvivati, anzi ringagliarditi dall'età grande. E l'uomo antico avrà posto degno fra i più degni contemporanei (Benissimo. Approvazioni generali).
[...] GIOLITTI, presidente del Consiglio.Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
GIOLITTI, presidente del Consiglio. Il ricordo, fatto dall'illustre presidente del Senato, dei meriti patriottici, della sapienza e dei sevigi
resi allo Stato nella scienza e nell'amministrazione dai senatori recentemente defunti, dimostra quanta somma e quanto valore
di patriottismo e di scienza sia andata perduta per lo Stato. Il Governo si associa dal più profondo del cuore al dolore del Senato
per così gravi perdite. [...].(Approvazioni).

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 23 novembre 1893.