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PASOLINI Pier Desiderio

22 settembre 1844 - 21 gennaio 1920 Nominato il 26 gennaio 1889 per la categoria 21 - Le persone che da tre anni pagano tremila lire d'imposizione diretta in ragione dei loro beni o della loro industria provenienza Emilia-Romagna

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Antonio Di Prampero, Vicepresidente e poi Fabrizio Colonna, Vicepresidente

Onorevoli colleghi. [...] Il 21 gennaio scorso si spegneva, dopo lunga, tormentosa malattia, sopportata con sereno stoicismo, il conte Pier Desiderio Pasolini. Di nobilissima famiglia romagnola, egli era nato il 22 settembre 1844 nella villa della Coccolia, presso Ravenna, dal conte Giuseppe, uomo politico insigne, ministro liberale di Pio IX, poi senatore del nuovo Regno d'Italia, ministro degli Affari esteri e infine Presidente della nostra Assemblea nel 1876, poco prima che la morte lo cogliesse, ancor vegeto.
Il conte Pier Desiderio, educato nelle idee morali e politiche del padre, ne mantenne integre le tradizioni, non solo nella vita privata, ma anche nella pubblica.
Studiò legge all'Università di Bologna e poi seguì il genitore nei viaggi da lui fatti in Inghilterra ed in Francia, dai quali la sua mente aperta ed il suo acuto ingegno di osservatore trassero nuovo alimento. Reduce in patria, anziché oziare come il cospicuo censo gli avrebbe permesso, preferì gli studi sovratutto storici, dei quali fu valente cultore, - sì da legare il suo nome al loro rifiorire in Italia - pur interessandosi vivamente dei problemi sociali, del miglioramento dell'agricoltura e del benessere delle classi agricole romagnole, le cui sorti seguì poi sempre con amore; basti ricordare il suo coraggioso discorso sulle condizioni del braccianti nelle Romagne, pronunziato in quest'Aula il 20 giugno 1890, nella discussione del bilancio dell'interno.
Nel corso della XV legislatura entrò alla Camera dei deputati, come uno dei rappresentanti, a scrutinio di lista, del collegio di Ravenna, dei cui interessi si era già con amore occupato nelle amministrazioni locali.
Fu assiduo ai lavori della Camera elettiva, come lo fu poi a quelli della nostra Assemblea, in cui entrò il 26 gennaio 1889 e dove, specie nei primi anni, partecipò ad importanti discussioni, sovratutto sui bilanci.
Tratto nobilissimo del suo carattere fu il grande culto degli affetti famigliari, e n'è prova un gentile episodio: ogni qual volta, anche negli ultimi tempi, egli veniva in Senato, si recava a meditare, sia pur per qualche momento, innanzi al busto marmoreo del padre.
E, del resto, anche alla vita di scrittore egli si iniziò spinto anzitutto dall'affetto verso la madre, prematuramente scomparsa: il suo volume di memorie su "La contessa Antonietta Pasolini" è un caldo tributo d'amore all'amatissima defunta. Delle memorie della sua città insigne, Ravenna, per tanti secoli centro della vita politica italiana, dei rapporti tra Ravenna e Venezia, e dei fasti delle principali famiglie ravennati, compresa la sua, di cui scrisse le vicende dal 1200 in poi, trattano le sue monografie storiche giovanili. Ma la prima opera che fece noto al mondo letterario il suo nome è il volume "Giuseppe Pasolini" in cui egli illustrò la lunga, esemplare ed operosa vita politica del padre, col sussidio di preziose memorie e di documenti assai rari, che rendono tale libro fonte indispensabile per la storia del nostro risorgimento. Tale opera meritò di essere tradotta in inglese ed ebbe l'onore di quattro edizioni, l'ultima delle quali fu pubblicata nel 1915, accresciuta di nuovi documenti, dalle infaticabili amorose ricerche dell'autore.
I suoi scritti successivi furono, come già erano i precedenti, principalmente di storia locale, genere nel quale fu veramente maestro e che seppe spogliare di quelle ampollosità, di quelle divagazioni, di quella vanità campanilistica ch'erano, può dirsi, generali a tutti gli scritti con cui storiografi d'ogni regione avevano negli ultimi secoli voluto illustrare le glorie della propria contrada. Anche in questo campo, per felice acutezza di giudizi, per serietà di documentazione, per piacevolezza di stile, si rivelò maestro.
Nel volume sui Tiranni di Romagna e i papi del Medio Evo, scritto su consiglio di Marco Minghetti, egli illustrò quel periodo drammatico ed interessante della nostra storia.
Ma la sua opera storica di maggior mole ed in cui più rifulgono le sue doti, sono i tre volumi su Caterina Sforza, la gentildonna guerriera del Rinascimento, simbolo dell'energia italica, ammirazione dell'Europa. In questo lavoro, per abbondanza di documenti, raccolti dall'autore a costo di spese ingenti e viaggi anche all'estero, per sagacia di psicologo e di indagatore, ben può dirsi che, oltre a darci un'opera fondamentale per la storia del Rinascimento, il Pasolini mostrò di possedere in sommo grado le doti necessarie allo storico, ed ebbe il meritato onore di vedere la sua opera tradotta in diverse lingue.
Ma la profonda originalità del suo spirito si rivela, forse ancor più che nelle sue opere propriamente storiche, nel difficile genere del saggio storico,in cui la sua vasta dottrina e la sua potenza sintetica gli permisero di emulare gli essaystsstranieri più celebri. Negli Anni secolari egli, con mirabile volo di fantasia, congiunta a storica fedeltà, ci dà, in una serie di suggestivi capitoli, il quadro della storia delle generazioni succedutesi nei diciannove secoli dell'era volgare.
Nel volume "Ravenna e le sue grandi memorie" egli illustra da storico e da poeta, in dodici saggi, le grandi figure che ebbero in Ravenna dimora e la cui storia è connessa con quella della carità tanto amata, da Cesare a Teodorico, da Dante a Byron, da Napoleone a Garibaldi. Purtroppo la morte ha interrotto una terza serie di saggi, cioè i ritratti delle grandi donne che ebbero attinenza con la storia ravennate, da Galla Placidia ad Annita Garibaldi.
Né meritano di esser taciuti gli scritti puramente letterari, come quello sui "Genitori di Torquato Tasso" e la "Introduzione al trattato dell'amore umano" di Flaminio Nobili, postillato da Torquato Tasso. Egli fu un vero umanista, nel senso più alto, più bello della parola: in lui il sapere non era vana erudizione, ma perfezionamento ed appagamento dello spirito.
Ben può dirsi di lui esser egli stato un gentiluomo del Rinascimento, un continuatore delle tradizioni del gran signore italiano: spirito illuminato, aperto a tutto ciò ch'è bello e nobile ed atto ad ingentilire la vita, pronto ad ogni opera benefica, arguto e mite insieme, quale si rivelava nella privata, affascinante conversazione. Come uomo, come cittadino, come scrittore, egli merita di restare nella memoria di tutti gli italiani.
Il Senato lo piange amaramente ed invia commosse condoglianze alla sua famiglia ed alla città nobilissima che gli diede i natali. (Benissimo). [...]
RASPONI. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RASPONI. Onorevoli colleghi, voi certamente mi crederete se vi dirò che prendendo là parola per la prima volta in quest'Aula per compiere un doloroso dovere, l'animo mio, è profondamente commosso.
Un collega amatissimo, che l'austerità e l'operosità della vita aveva saputo plasmare alla bontà dell'anima, alla nobiltà del carattere, componendo così un nobilissimo esemplare di serena purezza, si è spento.
Il vostro cordoglio, il cordoglio di quanti lo avvicinarono e lo conobbero è per me dolore acutissimo, ché nella lunga famigliarità con lui, da Pier Desiderio Pasolini ho avuto sempre prove di sicura amicizia e di così tenero affetto, che sacri dolci legami a lui mi avvinsero per devozione quasi figliale.
Per le sue virtù che io ho semplicemente enunciato, perché tutti voi conoscendolo eravate suoi estimatori, da molti anni era divenuto il simbolo e la sintesi più pura e perspicua di Romagna e della mia antica Ravenna, così come la purezza dell'animo suo e la di lui lucidezza di mente volevano. Consentitemi pertanto che io ricordi brevemente in questa Aula, che lungamente l'accolse e l'onorò, la sua cara e nobile memoria.
Il senatore Pier Desiderio Pasolini nacque nel 1844 a Ravenna da Giuseppe Pasolini, luminosa ed inobliabile figura di cittadino e di uomo politico, che negli albori del nostro risorgimento, così radioso di speranze, fu ministro liberale a fianco di Pio IX, e qualche anno di poi ministro degli affari esteri con Vittorio Emanuele II. Cresciuto alla scuola del padre, che chiuse l'onoranda sua vita presiedendo questo illustre consesso, il nostro compianto collega dilesse la patria, la famiglia, gli studi; e questi nobili affetti professò con pari devozione ad ogni altra civile virtù.
Ravenna lo volle ai maggiori uffici della città, della provincia, e nell'esercizio dei suoi pubblici doveri non venne mai meno alle inclite virtù dell'animo, alla inflessibile dirittura del carattere.
Sciolta la Camera dei deputati nel 1883, il secondo collegio di Ravenna lo scelse a suo rappresentante; e nel 1889 il sovrano favore lo investì della dignità di senatore.
In vicende così varie di cariche, di uffici, di onori, Pier Desiderio Pasolini fu ognora devoto al più scrupoloso adempimento del dovere. Ed attingendo alle proprie virtù, guida sicura del suo cammino, adempì con zelo diligentissimo ogni incarico, rivestendo l'azione personale di quella semplicità di quella modestia e di quella bontà che furono sempre le precipue caratteristiche della sua vita.
Amante degli studi storici e, perché colto, erudito e per di più studiosissimo, pubblicò volumi, memorie, monografie, specialmente intese a lumeggiare le glorie di Romagna e della sua Ravenna che egli amava di amore appassionato.
Non ricorderò, a voi, onorevoli colleghi, la degnissima pagina onde si orna del suo nome la bibliografia storica italiana; rammenterò soltanto Caterina Sforza, Anni Secolari, Ravenna e le sue grandi memorie, fra le opere maggiori del nostro compianto collega, che volle dettare anche una Vita di Giuseppe Pasolini, tale da meritare numerose ristampe e traduzioni in Inghilterra e in Germania; premio giusto e meritato alla devozione figliale che l'opera compose.
Le più illustri accademie, le deputazioni di storia patria, e non soltanto di Romagna, lo vollero socio e l'insigne Accademia dei Lincei lieta l'accolse nel suo seno. Ed in questi ambienti sereni di studio e d'indagini, nella sua costante modestia, egli seppe far operare quelle virtù di intelletto e di tenacia nella ricerca del vero così, che a lui si avvinsero devote, preziose, sicure amicizie.
Assiduo ai lavori della nostra Assemblea, fu dalla vostra fiducia chiamato frequentemente ad alti uffici, e talvolta la sua parola s'innalzò serena in quest'Aula, per formulare idee chiare e ben precisate.
Da qualche tempo la sua salute andava logorandosi ed egli, sereno come sempre, intuì la prossima sua fine, quando già gravemente infermo fu percosso dal fierissimo dolore della morte della sorella amatissima.
Oggi Pier Desiderio Pasolini non è più, e noi lo piangiamo.
Ma al nostro dolore, al nostro profondo rammarico,sovrasta il lutto della sua degna famiglia, che egli amava d'intenso affetto e dalla quale era riamato di tenerezza infinita, perché ne era la guida, lo spirito, la gioia, la felicità.
Alla buona e colta dama che gli fu devota compagna, ai figliuoli per i quali egli, oltre che padre, era amico sicuro, si rivolge in quest'ora di tristezza il mio pensiero; e lo accompagna l'augurio che il vedere diviso il loro lutto da tutti noi possa, almeno in parte, lenire il dolore che essi provano per la perdita dolorosissima.
Mi consenta il Senato, mi consenta l'illustre Presidente l'espressione di un desiderio vivissimo dell'animo mio: che, oltre che alla famiglia del compianto nostro collega, alla città di Ravenna, alla quale egli prima che morte lo cogliesse rivolse il suo ultimo affettuoso devoto pensiero, siano espresse in nome del Senato, le più sincere e profonde condoglianze. (Approvazioni vivissime).
ZAPPI. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ZAPPI. Con animo profondamente addolorato mi associo alle parole pronunciate dall'illustre nostro Presidente e dall'onorevole senatore Rasponi in memoria del conte Pier Desiderio Pasolini.
Non può esser fatta oggi qui in questa Assemblea un'illustrazione di quella vita modesta ma laboriosissima.
Non lo consente il tempo che a noi è concesso, non lo consente l'incompetenza assoluta mia; sede degna per la sua commemorazione saranno le assemblee scientifiche delle quali egli faceva parte.
Sia lecito però a me, suo amico da moltissimo tempo, suo conterraneo, che lo vedevo sempre trascorrere una gran parte dell'anno nella mia città natale, per lui diventata quasi una seconda patria, circondato dal più fiducioso affetto degli amici e dal più assoluto rispetto di tutti, sia lecito a me di esprimere qui con quanto compianto la cittadinanza tutta di quel paese accompagni la scomparsa dell'uomo così coscientemente buono e così generosamente benefico!
Ché, chi lo ha conosciuto sa che questa era una delle sue principali caratteristiche, servirsi dei mezzi di fortuna specialmente per soccorrere e per alleviare l'altrui sventura, seguendo l'esempio del suo indimenticabile padre, che fu uno dei più eminenti collaboratori del nostro risorgimento nazionale e che come ha testé ricordato il senatore Rasponi, morì Presidente di questa illustre Assemblea.
Egli considerò sempre la fortuna come implicante gravi, imprescindibili doveri sociali, per cui promuovendo ed eseguendo continui miglioramenti e perfezionamenti nelle colture e nelle sistemazioni delle sue proprietà, contribuì efficacissimamente ad alleviare la miseria dei suoi dipendenti, quando questa miseria esisteva, ma specialmente elevò continuamente il tenore materiale e morale della vita di tutti coloro che a qualunque titolo da lui dipendessero.
Il tempo che a lui lasciavano le cure della sua amministrazione egli dedicò agli studi e particolarmente agli studi storici, dei quali era appassionatissimo; tanto che alcuni amici dicevano di lui che egli viveva unicamente del passato, anzi si aggiungeva quasi sorridendo "è un uomo che cammina nella vita con lo sguardo volto all'indietro". Ciò era vero, ma solo in parte perché egli studiava la storia con amore appassionato, ma non per rimpiangere il passato, e quasi per desiderarne il ritorno, ma per trarne la convinzione che la umanità aveva sempre progredito, e che mai la civiltà si sarebbe arrestata nel suo cammino verso più sicura giustizia, verso più sana libertà. Per cui, dedito tutto alla famiglia, modesto, operosissimo, sempre senza ostentazione, usando della sua fortuna in pro della collettività, egli lascia di sé un'invidiabile retaggio d'illuminata signorilità, d'altissima rettitudine, di attiva, e di fattiva bontà.
Mi associo quindi alla proposta fatta del senatore Rasponi, che il Senato voglia consentire che il Presidente nostro illustre presenti alla famiglia l'espressione delle nostre più vive condoglianze, del nostro più sincero rimpianto. (Bene).
MALVEZZI. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MALVEZZI. Onorevoli colleghi! Profonda commozione investe l'animo mio perché perdetti uno dei miei migliori amici, quello con cui avevo maggior consuetudine di pensiero e di ideali. Io ereditai questa amicizia da quella che mio padre aveva avuto per l'illustre Giuseppe Pasolini. Entrambi avevano dato la fortuna, il nome, la riputazione, l'azione, per l'indipendenza d'Italia, seguendo quelle vie temperatamente e fortemente liberali, che Minghetti aveva loro additato. Avete udito l'elogio di Pier Desiderio Pasolini dalla bocca del nostro ben amato Vicepresidente, e avete udita la voce eloquente di Ravenna e quella di Imola che si sono levate in onore dell'insigne romagnolo defunto. Consentite anche a me pochissime parole, poiché l'ora preme, e il Senato si deve occupare dei problemi formidabili che riempiono tutta la nostra mente. Ma anche Bologna deve far sentire la sua voce; quella Bologna, dove Pasolini studiò sotto la grande tutela e la sapiente guida di Marco Minghetti, che fu a lui, come a me, padre spirituale. Non più vedremo nell'Aula la figura grave e pensosa di Pier Desiderio Pasolini, e la biblioteca l'aspetterà invano, quella biblioteca dove egli meditava i più alti problemi della storia, come bene è stato detto, non per ricerca di peregrina erudizione, ma per additare all'Italia e alla civiltà nuovi cammini, prendendo concetti e forme da quel che era stato il passato, per antivedere l'avvenire. Egli nell'ultima sua lettera a me, che aveva avuto forse il torto di dubitare alquanto, non dico dell'Italia, ma della presente situazione politica per tanto tumultuare scomposto degli animi, diciamolo pure, in ogni classe della società, egli, ripeto, nell'ultima sua lettera mi confortava con parole di fede e di fiducia nell'avvenire dell'Italia.
Quell'uomo, il quale aveva così per tempo cominciato a studiare, terminava la sua esistenza studiando, illuminata da quella stella d'Italia, che era stata la guida di tutta la sua vita. Non altro aggiungo, perché molto meglio è stato già detto. Mi associo anch'io alla proposta fatta dagli illustri colleghi romagnoli di presentare alla famiglia le condoglianze del Senato. Mai davvero più pura, più nobile, più serena figura sarà qui tra noi! (Approvazioni). [...]
BACCELLI ALFREDO, ministro dell'istruzione pubblica. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BACCELLI ALFREDO, ministro dell'istruzione pubblica. Pier Desiderio Pasolini, eletto gentiluomo, portò degnamente un nome illustre e adempì all'ufficio di senatore con alta coscienza. Egli lascia nella letteratura storica d'Italia una chiara orma di sé, per profonda cultura e per lucida sobrietà d'espressione. Ma Pier Desiderio Pasolini non fu soltanto un uomo di lettere, fu anche un proprietario di campagne operoso ed accorto, conscio della funzione della proprietà nel tempo moderno, animato da spiriti liberali e generosi. Il Governo si associa al tributo di compianto e di onore che alla memoria di lui rende il Senato del Regno. (Bene). [...]
PRESIDENTE. Sarà cura dell'Ufficio di Presidenza di trasmettere alle famiglie degli estinti le proposte di condoglianza che sono state fatte dai vari oratori.

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 2 febbraio 1920.