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PARENZO Cesare

20 novembre 1842 - 15 aprile 1898 Nominato il 26 gennaio 1889 per la categoria 03 - I deputati dopo tre legislature o sei anni di esercizio provenienza Veneto

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Luigi Cremona, Vicepresidente

Signori senatori! [...] Tre giorni or sono, il 15 aprile, moriva in Nervi (Liguria) il nostro collega Cesare Parenzo nell'età di soli cinquantacinque anni. Era nato in Rovigo il 20 novembre 1842.
Ardente d'amor patrio, lasciò nel 1860 la città natia ancor soggetta alla dominazione straniera, e accorse in Sicilia a farsi soldato del generale Garibaldi, col quale si trovò poi ad Aspromonte e più tardi nel Trentino.
Studiò giurisprudenza e ben presto si fece avvocato valoroso, specialmente in materia civile. Nel 1876 entrò nella vita politica. Nella XIII legislatura fu eletto deputato del collegio di Adria; nella XIV da quello di Chioggia, e nella XV da quello di Rovigo. Nelle elezioni del 1886 non fu rieletto, a causa d'una vittoria dei radicali; ma all'aprirsi della terza sessione di quella stessa legislatura (la XVI), ossia nel gennaio 1889, ebbe un seggio in Senato.
Tanto nella Camera elettiva che in questa vitalizia fu sempre dei più operosi: non ci fu importante disegno di legge allo studio e alla discussione del quale non partecipasse o come sapiente relatore o come oratore fecondo. Sono rimaste memorabili alcune sue interpellanze, come quella sul segreto telegrafico.
Oratore brillante, efficace, quasi affascinante per forma eletta, dialettica stringente, pensieri elevati.
In Parlamento la voce di Cesare Parenzo suonò sempre alta e coraggiosa, in servizio della civiltà e della libertà. Per quest'Assemblea è una nuova e grave perdita che si aggiunge alle molte altre in breve tempo inflitteci dall'implacabile Fato (Vive approvazioni).
PIERANTONI. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
PIERANTONI. In Piero Puccioni e in Cesare Parenzo il foro ed il Senato perdettero due egregi cittadini, che per acume della mente, per dovizia di dottrina e virtuosa operosità lasciano lunga e bella memoria nella curia e nella nostra Assemblea. Non è mio costume di celebrare la vita di coloro che ben meritavano dalla patria, perché penso che la stima e la lode di coloro che molto fecero, sia da farsi soltanto da coloro che hanno coscienza d'avere merito superiore. Io non so darmi questo vanto.
Amico di entrambi gli estinti colleghi, che alle discipline giuridiche e sociali dettero l'opera loro, ben posso portare la parola del cordoglio, del rimpianto in questa ora solenne.
Dirò di Cesare Parenzo che dal 1861 ebbi amico, collega e compagno sincero in ogni caso della vita. Altri dirà del Puccioni.
Io conobbi Cesare Parenzo quando egli, emigrato dalla terra natale, sentiva il dolore di non essere giunto in tempo a seguire il generale Garibaldi in Sicilia. Più tardi ebbe parte nel magnanimo tentativo di Aspromonte, che permise al Governo di dire alla Francia ed agli altri Stati stranieri che la questione romana era vivissima e capitale per l'Italia.
Ci trovammo a Torino nel fiore della vita avendo comuni gl'ideali e le speranze. Ricorderò un fatto degno di imitazione da parte dei giovani che debbono accrescere le glorie della nazione. Torino accoglieva numerosi gli emigrati della Venezia, tra i quali era il conte Augusto Corinaldi. Giovani d'ogni parte d'Italia, a invito del Corinaldi pensarono di comporre una società per lo studio delle scienze sociali. In una sala della galleria Natta, quasi ogni sera i giovani dalle nobili aspirazioni ascoltavano la relazione sopra alcuno degli argomenti che il riordinamento dello Stato o libri celebrati d'Inghilterra e di Francia ci fornivano.
Compiuto da alcuno tra noi l'ufficio di relatore, gli altri facevano amplissima discussione del tema. Di continuo venivano senatori e deputati a darci incoraggiamento e lode. Ricordo con piacere che i senatori Giulio Bianchi e Urbano Rattazzi erano di quella adunanza che rappresentava le speranze della nazione. Cesare Parenzo si distingueva per prestanza di ingegno, virtù di parola e soda dottrina. Pensavamo alla redenzione di Roma, a divulgare la scienza, a migliorare i costumi di libertà. In noi non era l'ambizione di diventare senatori; in quei giorni lieti della vita non pensavamo a quest'ora tristissima del dolore, in cui, separati dagli amici, solo conforto ne rimane il pensiero della virtù che tuttora da vita alle tombe.
Propongo al Senato che sia recato il nostro rimpianto alle famiglie degli estinti. Il Senato ben sa che Cesare Parenzo per l'ingegno, per le qualità degli studi fatti poteva lasciare più certa orma di dottrina, se non fosse stato eroe del dovere verso la famiglia, a cui diede in gran parte se stesso. Ma sacrificandosi ai doveri per la famiglia, non smarrì mai gl'ideali della patria e dell'umanità, e questi ideali sostenne a viso aperto con coraggio civile, degno d'imitazione (Bene).
Non altro aggiungo, certo d'aver interpretato l'animo e i sentimenti dei colleghi del Senato (Bene).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il senatore Barsanti.
BARSANTI. Il doloroso spettacolo, al quale tutti i giorni assistiamo, della rapida scomparsa di coloro che ci furono maestri, amici e colleghi, mi serva di scusa, se io non so vincere il profondo cordoglio dell'animo mio, pagando l'ultimo tributo alla memoria di Piero Puccioni, la cui morte è una sventura per il Senato, resa anche più grave per la morte dell'altro nostro collega Cesare Parenzo. [...]

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 18 aprile 1898.