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PALLIERI Diodato

20 agosto 1813 - 02 giugno 1892 Nominato il 24 maggio 1863 per la categoria 15 - I consiglieri di Stato dopo cinque anni di funzioni e per la categoria 16 - I membri dei Consigli di divisione dopo tre elezioni alla loro presidenza provenienza Piemonte

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Domenico Farini, Presidente

Signori senatori! Anche la seduta odierna devo contristare con funerea parola: nei pochi giorni corsi dall'ultima, anzi in questi tre ultimi, due egregi colleghi cessavano di vivere.
Poco prima del mezzodì, il 2 di giugno, moriva in Roma, dopo breve malattia, il conte Diodato Pallieri.
Sortiti i natali a Moretta di Saluzzo, il conte Pallieri nello studio della legge si distinse fra i coetanei che mente ed animo mostravano peculiarmente atti ai più alti uffizi della pubblica amministrazione. Nel 1836, a ventitré anni, ammesso quale praticante nell'ufficio dell'avvocato dei poveri, che era il tirocinio di chi a quelli si avviava ed in cui si sperimentavano le attitudini, si cimentavano le vocazioni, si addottrinavano gli eletti egli fu del novero dei migliori.
Difatti sopraggiunti i tempi nuovi, si addimostrò bellamente atto a recar nella trattazione delle faccende di Stato una perfetta armonia tra la dottrina e la pratica, ambedue avvalorate da serenità di giudizio e da altezza di intenti che sono salvaguardia nei più duri frangenti.
Così, nell'incerto e tumultuario autunno del 1849, fra il mareggiare di passioni ardenti e di inconsulti propositi, poté il Pallieri, primo ufficiale del Ministero dell'interno, attingere, nell'animo spassionato e nella mente temperante, virtù per rattenere lo sdrucciolo periglioso; validamente contribuendo alla pacificazione ed alla compostezza che permisero si assidesse il novello regime ed il Piemonte diventasse invidia, faro d'Italia.
Non è questo il momento di dire ad uno ad uno gli uffizi giudiziari od amministrativi da lui tenuti durante una laboriosa carriera che abbraccia il lungo spazio di oltre quarantun'anno: nemmeno questo è il luogo per accennare, pur di volo, lo studio costante, l'opera indefessa di lui consigliere alla Corte dei conti, di lui del Consiglio di Stato consigliere, ed uno dei capi; dell'un corpo e dell'altro ornamento e decoro. Basti, a sommare tutto in uno, che egli può a buon diritto annoverarsi fra quegli uomini di governo che, con sapienza pari alla modestia, scarichi d'ogni personale ambizione, gettarono le fondamenta degli ordini amministrativi del Piemonte fatto libero e su quelli eressero l'amministrazione, il governo della nuova Italia. (Molto bene).
Criterio politico non fallace lo additò anche e fece degno di uffici delicatissimi, in tempi procellosi. Intendente generale della Provincia di Genova nel 1854 resse con sagacia l'ufficio fatto spinoso dal ricordo non ancora spento di lotta civile, in città pur dianzi flagellata da crudele pestilenza. Governatore generale dello Stato parmense, dal 17 di giugno all'8 di agosto del 1859, temporeggiando abilmente, abilmente destreggiandosi fra i paurosi allarmi, i desideri irruenti, la occupazione francese, il mutare e rimutare dell'oroscopo imperiale, le titubanze dei governanti di Torino dopo Villafranca, impedì che fuorviasse un moto che, dall'impulso, dalla direzione esclusiva del Piemonte sino ad allora rigidamente regolato, d'un tratto precipitava abbandonato a se medesimo senz'altra briglia che l'istinto e l'intuito popolare. (Benissimo).
Sicché quando, allo spirare di cinquanta giorni di trepidazione e di angoscie egli fu richiamato, i popoli del Parmigiano ebbero restituita, mercé sua, senza vincoli, compromessi o pregiudizio il pieno esercizio del loro diritto, la libera esplicazione della loro volontà.
Deputato al Parlamento subalpino per la quarta legislatura e per buon tratto della quinta, senatore dal 24 maggio 1863, in ambedue le assemblee fu il conte Pallieri molto operoso ed autorevole. Ne stanno luminosi documenti negli annali delle due Camere, che ne attestano la facondia, la perizia, i nobili intenti.
Perché quantunque nelle controversie politiche per temperamento non si arrotasse, e di rado o brevemente vi mettesse la voce, schivo come era da ogni torbida sensazione o spinta di parte, a tutte quelle su cui s'imperniamo i cardini dello Stato, e più specialmente alle attinenti alla finanza, alacremente intese. Al che lo soccorreva meravigliosamente una ritentiva tenace e pronta così che ciascuno ad ogni istante poteva attingerne le più esatte e più precise notizie.
Per nove sessioni il Senato lo volle nella Commissione permanente di finanze e con moltissimi incarichi lo onorò: sempre lo tenne fra i più pregiati: amaramente adesso lo piange perduto.
Ve ne ha ben donde!
Il funzionario che a Savona, a Torino, a Genova, a Parma, a Firenze, a Roma, in ogni ufficio spese un tesoro di probità e di sapere; il cittadino alla cui fede ravvivarono la speranza gli esuli prima del 1859, il cui fermo patriottismo tenne su, dopo la infida Villafranca, i cuori dei Parmensi; il conte Pallieri reca con sé scomparendo un esempio memorabile, un salutare ammaestramento.
Affissandoci in lui, fino al limitare della tomba qui assiduo, la veneranda canizie, la persona annosa, la bontà patriarcale ci facevano rivivere nei tempi delle fortune nazionali e, richiamandoci a cotesti principi, pareva nelle ore di sconforto ci ritemprassero col ricordo, quasi coll'ammonimento, dei valenti, dei grandi nella cui intimità visse, coi quali operò al nazionale riscatto. (Approvazioni).
Oggi per la sua dipartita quel conforto ci è tolto; a ciascuno di noi manca un amico; per me, se mi è lecito mescolare un sentimento personale al nostro lutto, essa schianta un sacro vincolo di memorie e di comune affetto.
Ed una profonda mestizia incombe su questa Assemblea, che Diodato Pallieri, da vivo, altamente onorò e morto non dimenticherà mai. (Approvazioni generali. Applausi). [...]
FINALI. Domando la parola.
SPARVIERI F. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il senatore Finali.
FINALI. L'onorevolissimo nostro Presidente nei suoi personali e nei paterni ricordi, ha trovato l'ispirazione per quelle commoventi parole, colle quali ha concluso la nobile sua commemorazione del senatore Pallieri.
Anche a me questo nome desta nell'animo grate e forti memorie.
Esule a Torino lo conobbi nel 1855; e da quel tempo gli fui unito da rispettosa consuetudine, che per la bontà dell'animo suo ben presto diventò amicizia.
Il conte Diodato Pallieri non era un rivoluzionario, e non sarebbe mai stato un ribelle; ma egli accoglieva con espansione, assisteva con cordialità i ribelli delle altre provincie d'Italia, che si rifugiavano nel libero Piemonte.
Era devoto al Re ed allo Statuto; ma non era ristretto nella cerchia di idee municipali, onde infondeva negli altri la propria fiducia, che il Piemonte avrebbe esercitato influenza ed autorità egemonica, fino ad assimilarsi tutta l'Italia ed a redimerla.
Gli attori e le vittime della rivoluzione italiana del 1848 e 1849, prima del 1859 o esaltavano fino alle stelle i propositi di Re Vittorio Emanuele e del suo Governo, o li negavano pertinacemente.
Gli uni e più gli altri erano in contrario senso pregiudicati per esclusive opinioni. La verità rifulse limpida nell'anno 1859.
Il partito liberale ed il rivoluzionario, la monarchia e la democrazia si contemperarono; tutte le forze si unirono ad un fine comune; ed il risultato fu la indipendenza e la unità della patria.
Ben meritò il Pallieri in quell'anno, dal quale cominciò la redenzione nazionale, ben meritò di essere mandato commissario pel Re in uno dei Ducati, il cui sovrano si era precipitosamente allontanato, piuttosto spinto dalla propria coscienza che dalle armi degli insorti.
Sarebbe ingiusto fargli accusa di avere obbedito all'ordine di richiamo dopo i preliminari di pace a Villafranca. Obbedì egli da Parma, come Massimo d'Azeglio obbedì da Bologna.
Restando al loro posto avrebbero quei due valentuomini compromessa la parola del loro re.
Né all'uno né all'altro conveniva la inobbedienza e la magnanima audacia, che ha reso il nome di Luigi Carlo Farini immortale nella storia d'Italia. (Bene! Benissimo).
Tutti quelli che vissero nella sua intimità, tutti quelli che parteciparono con Diodato Pallieri ad uffizi pubblici ed a pubbliche incombenze, ammirarono la vastità e la sicurezza della sua dottrina.
I ministri, da Cavour a Depretis, ricorsero sovente ad esso per consiglio nelle più ardue questioni di amministrazione o di finanza.
Alto, impersonale, sereno era in lui il sentimento della giustizia.
Una sua particolare disposizione d'animo, mi pare che meriti di essere oggi ricordata; quella di favorire e segnalare i giovani che con migliore promessa si preparavano alla vita pubblica nell'amministrazione o nel Parlamento.
Ed in queste sue predilezioni presaghe dell'avvenire ben di rado s'ingannò.
Appartenne nella lunga ed operosa sua vita alla magistratura ed all'amministrazione, alla camera dei conti ed al consiglio di Stato: dando luminose prove di eguale competenza in ogni ufficio.
Per alcune legislature membro della Camera dei deputati, e quindi investito di uffici che vi danno adito, parve alla pubblica opinione che gli fosse troppo ritardato fino al 1863 l'onore del Senato.
In quest'Aula egli per certo ha molti colleghi ed amici, soprattutto fra i senatori che appartengono alle provincie subalpine, i quali con mesto animo lo rimpiangono.
Ho chiesto la parola io, per rendere omaggio in nome della antica emigrazione italiana a questo nobile rappresentante del liberale e indomito Piemonte. (Bene).
Diodato Pallieri mi volle per parecchi anni qui al suo fianco; ed io approfittati non di rado dei suoi consigli, dei suoi avvertimenti durante le nostre discussioni.
Io non salirò mai a questo seggio passando davanti a quello che fu suo, senza che mi appaia agli occhi la sua veneranda figura, col ricordo delle sue benemerenze, della sua sapienza, delle sue virtù. (Bene! Bravo! Approvazioni generali).

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 4 giugno 1892.