senato.it | archivio storico

PALLAVICINI DI PRIOLA Emilio

08 novembre 1823 - 15 novembre 1901 Nominato il 15 febbraio 1880 per la categoria 14 - Gli ufficiali generali di terra e di mare. Tuttavia i maggiori generali e i contrammiragli dovranno avere da cinque anni quel grado in attività provenienza Liguria

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Giuseppe Saracco, Presidente

Signori senatori! Nel volgere di quattro mesi, fra il 7 luglio ed il 15 corrente mese, la morte ci ha tolto sette colleghi, nelle persone dei senatori Buttini, D'Errico, Mirabelli, Piccioni, Morelli Domenico, Sole, Pallavicini Emilio. [...] Più benigni i cieli, nei mesi che seguirono l'agosto risparmiarono al Senato nuovi lutti, ma l'angelo della morte riprese ben tosto i suoi diritti, e nel giorno 15 di questo mese il marchese Emilio Pallavicini di Priola, nostro amatissimo collega, rendeva l'anima a Dio in questa Roma, che egli aveva preso a considerare come una seconda patria.
Il marchese Emilio Pallavicini di stirpe antica piemontese era nato per essere soldato, come i suoi maggiori, e però non aveva ancora raggiunto i dieci anni di età, che già veniva ammesso in qualità di allievo nella Regia Accademia militare di Torino, dalla quale usciva nel 1842 sottotenente di fanteria, per salire al grado di luogotenente nel 1848, l'anno memorando in cui il Piemonte scese in campo per l'indipendenza d'Italia.
Da quel giorno in appresso, fino a che, sciolto il voto, l'Italia posò le armi nella sua capitale, oramai intangibile, il nome di Emilio Pallavicini si trova scritto a caratteri d'oro nelle pagine gloriose che ricordano le battaglie più memorabili, combattute per l'indipendenza e l'unità nazionale, e basta consultare lo stato di servizio del bravo generale, che comincia dal 1833 e termina col 1897, quando sopraggiunta l'età fu costretto a domandare il riposo, perché rifulga in tutta la sua pienezza la bella e storica figura di quest'uomo che consacrò una intiera vita a servizio del suo Re, e della grande patria italiana. (Bene). Dirne meglio e di più, io non presumo, e se osassi, quasi mi parrebbe di offendere la modestia di lui, che per fama acquistare non adoprò mai ostentazioni né artifizio.
Tipo di soldato e fior di gentiluomo, il generale Pallavicini non si fregiò mai di sue gesta, ed a me sembra di poter aggiungere, che il solo ricordo di quel nome debba valere come il migliore elogio reso alla memoria del nostro amato collega.
Ma non è soltanto sui campi di battaglia, combattendo per la causa nazionale, che rifulsero di più viva luce le nobili qualità di mente e di cuore dell'illustre soldato.
Venne il giorno, e ne vennero altri nei quali il colonnello, poi generale Pallavicini fu chiamato a dar prova di altre virtù e particolarmente di una rara abnegazione, mirabilmente congiunta ad una intrepidità incomparabile, che ne accresce il valore.
È dolorosamente noto il triste episodio di Aspromonte, che dové costare tanti dolori a chi per dovere di soldato fu costretto ad intimare la resa al generale Garibaldi ed a' suoi volontari impegnati in una impresa che poteva condurci alla guerra civile. Ma è pur bello ricordare, a lode del colonnello Pallavicini, che gli riuscì di compiere in breve ora, e così felicemente, la delicata missione, che insieme agli elogi del Governo riuscì ad ottenere ancor quelli dello stesso generale Garibaldi, che non si peritò di ammirarne la fermezza e la nobiltà del carattere. (Benissimo).
Più tardi, cioè nel 1868, il Governo del Re gli affidava il comando generale delle truppe destinate alla repressione del brigantaggio nelle provincie meridionali, e come anche in questa circostanza, e con eguale fortuna, il generale Pallavicini abbia corrisposto alla fiducia ed all'aspettazione del Governo, lo dice il real decreto col quale venne decorato della croce di grand'uffiziale dell'Ordine militare di Savoia, "per il modo egregio", sono queste le parole testuali, "col quale nella sua qualità di comandante generale delle truppe, ne ha dirette le inerenti operazioni, e per gli importanti risultati ottenuti dopo venti mesi di indefesse fatiche, durante i quali diede chiara prova di coraggio, di distinta intelligenza, zelo ed abnegazione, di maniera che ridonò la calma a quelle provincie, e vi raffermò l'autorità del Governo". Un più bel titolo d'onore non si saprebbe immaginare, e tuttavia mi piace aggiungere anche quest'uno, che il valoroso soldato, come ben disse con frase scultoria un egregio collega nostro, che militava a' quei giorni sotto la sua dipendenza, il generale Pallavicini non mancò mai ad alcuno de' suoi doveri, ma non fu mai crudele.
Egli è, o colleghi, ed anche questo non è piccolo elogio, che in lui, difficilissima cosa, la dolcezza non scemò mai l'autorità, né la rigidezza l'amore.
Trascorro oltre, perché non mi è lecito abusare della vostra indulgente attenzione. E vado dritto a riassumere i punti più salienti dell'ultimo periodo della vita del compianto collega.
Creato comandante del corpo d'Armata in Sicilia nel 1878, il generale Pallavicini veniva chiamato, nel 1885, al comando del corpo d'Armata di Roma, ed esercitava appunto queste funzioni quando, nel febbraio del 1890, piacque a Sua Maestà il Re di conferirgli la dignità di senatore. Poi, nel marzo successivo, lo stesso Re Umberto lo volle al posto di suo primo aiutante di campo generale, che tenne per lo spazio di quasi tre anni, senza fasto, e senza mutare di costumi, fino a che col giungere dell'età fatale, venne collocato in servizio ausiliario, poi a riposo per anzianità di servizio a datare dal 12 giugno 1897, ed inscritto nella riserva.
Fu questa, senz'alcun dubbio, una vera, irreparabile perdita per l'esercito, ma il Senato ne trasse quasi ragione di compiacimento, perocché tornato a vita privata, quasi non mancò giorno senza che il diletto collega frequentasse le aule del Senato, e partecipasse a' suoi lavori con una assiduità non abbastanza lodata. Buono ed affabile coi colleghi, geniale e compiacente con tutti, noi sentiamo di aver perduto nel generale Pallavicini un amico ed un compagno che non ritorna più, e rimaniamo pensosi davanti a quel banco, dove eravamo avvezzi a stringere la mano del prode cavaliere senza macchia e senza paura. (Vivissime approvazioni, applausi).
Or egli non è più, ma consapevole di essere riamato volle che l'estremo saluto del morente venisse raccolto come ultimo pegno dell'amor suo, da' suoi colleghi del Senato, i quali si dolgono amaramente, e si dorranno ancor più davanti a questa affettuosa dimostrazione dell'ultima ora, di aver perduto un così grande e leale collega ed amico. Un solo pensiero ne conforta, ed è che dall'alto dei cieli voglia aggiungere le sue alle nostre preci, perché Dio protegga questa Italia, e la faccia degna di raggiungere i suoi alti destini. (Applausi). [...]
Debbo dare ora comunicazione di un dispaccio del senatore De Sonnaz, il quale si duole di non aver potuto intervenire a questa seduta, perché avrebbe voluto aggiungere una parola di rimpianto in memoria del collega Pallavicini.
ROSSI G. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ROSSI GIUSEPPE. Sembrerebbe audacia o vanità la mia se volessi diffondermi in un necrologio per l'estinto ed esimio nostro collega Emilio Pallavicini di Priola, commemorato con solenne, commovente e splendido discorso dal nostro illustre Presidente, che ne ha ricordato la vita gloriosa sotto tutti gli aspetti, sotto tutti i rapporti, e nelle diverse fasi in cui si svolse, sia nel consorzio civile che nella brillante sua carriera militare.
Dovrei dunque tacermi? Ma per me il silenzio sarebbe una gran colpa della quale intendo sottrarmi.
La cara e gradita affinità che mi strinse all'egregio uomo con legami indissolubili fin dal 1866, m'impone il dovere imprescindibile e sacro di rendere un mesto omaggio di ossequio e di rimpianto alla sua venerata memoria. Ma più che l'affinità mi costringe a rompere il silenzio un sentimento profondo di devozione scolpito nel mio cuore dalla non breve consuetudine d'intimi ed affettuosi rapporti col caro estinto, che sempre più mi rivelarono e fecero apprezzare le rare doti dell'animo suo nobilissimo, onde io ebbi a considerarlo e rispettarlo in vita, come il tipo del più perfetto gentiluomo.
Adunque, non volendo e non essendo opportuno ripetere un necrologio dell'eccelso nostro collega e dovendo io d'altronde non chiudermi in un ingrato silenzio, mi limiterò a ricordare del generale Pallavicini il breve periodo della sua trascorsa in Calabria dal 1862 al 1867.
Erano allora le nostre contrade funestate da atti vandalici di varie comitive brigantesche, tristissima eredità della mala signoria dei Borboni! Era generale la trepidazione e lo sconforto. Alle porte della nostra città si consumavano violenze, aggressioni, rapine, ricatti. Il terrore regnava sovrano.
Il Governo intuì la responsabilità che lo incalzava per la posizione anormale in cui versavano varie provincie della nostra diletta Italia; quindi affidò al generale Pallavicini, nel quale riponeva tutta la sua fiducia, la grave e delicata missione, con pieni poteri, della persecuzione e distruzione del brigantaggio nelle Calabrie.
Il generale atteso, desiderato, acclamato, giunse in Catanzaro, e la sola sua presenza bastò a calmare le ansie angosciose, i gravi timori e la generale costernazione. Egli, appena giunto, si convinse che il covo del brigantaggio, dal quale doveva snidare i briganti per poi combatterli, erano le inesplorate ed impraticabili vette della nostra Sila; perciò fissò nel centro di essa il suo quartiere generale, facendo sorgere come per incanto, un accampamento in legname, nel quale anche egli, occorrendo, riposava.
Non mi intratterrò a descrivere le varie fazioni militari, i conflitti della truppa con le orde brigantesche; né accennerò agli espedienti studiati dall'acume, dalla solerzia del generale per mettere la triste genia nell'impotenza di continuare l'aperta guerra contro la vita dei cittadini e la privata proprietà; dirò solo che il generale Pallavicini, di svegliata e non comune intelligenza, d'ingegno pronto ed acuto, facendo tesoro della sua non breve esperienza, con sagace preparazione, con energica iniziativa, con ferma direzione, e più con salutare prudenza, ebbe solo in mira di colpire i veri colpevoli, i facinorosi briganti, senza molestare e senza compromettere chicchessia per volute, pretese o supposte relazioni con le orde brigantesche, le quali quasi sempre non erano volontarie, ma conseguenza di dura necessità.
E così, dopo breve tempo, il prode generale, rispondendo vittoriosamente alla fiducia del Governo, giunse a disperdere e distruggere le diverse malnate orde di malfattori, ridonando alle nostre provincie la pace e la tranquillità primitive. E quando nel 1866 l'invitto generale fu richiamato al comando della sua brigata, che doveva prender parte alla guerra centro l'Austria, egli partì pienamente soddisfatto del dovere compiuto, lasciando alle Calabrie la dolce imperitura memoria del suo valore, delle sue virtù, della sua equanimità e della sua prudente e cavalleresca condotta.
La città di Catanzaro, come omaggio modesto, di profonda gratitudine, nominò il generale Pallavicini suo cittadino onorario ed ora per mezzo mio, sulla tomba del suo figlio di adozione, manda l'estremo, desolante vale. (Benissimo - Approvazioni).
LAMPERTICO. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
LAMPERTICO. Non sapendo dire meglio di quello che ha detto il presidente, mi associo alle parole da lui pronunciate, come certo vi si associa il Senato.
Rimane la consuetudine, sempre bella, di manifestare i nostri sentimenti alle famiglie. Però a me pare superfluo esprimere questo voto, non essendovi dubbio che il nostro Presidente lo compia, se già non lo ha prevenuto.
PRESIDENTE. Mi sento in dovere di dichiarare al collega Lampertico che vennero già inviate le condoglianze del Senato alle famiglie dei senatori defunti.
COCCO-ORTU, ministro di grazia e giustizia e dei culti. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
COCCO-ORTU, ministro di grazia e giustizia e dei culti. In nome del Governo, mi associo alle eloquenti parole di mesto rimpianto, al tributo di omaggio reso dal nostro Presidente agli eminenti cittadini, rapiti alle arti, al foro, alla magistratura, all'esercito, alla cosa pubblica; i quali furono tutti vanto e decoro del Parlamento, onore del nome italiano. (Approvazioni).
PONZA DI SAN MARTINO, ministro della guerra. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PONZA DI SAN MARTINO, ministro della guerra. Io mi associo vivamente alle elevate parole con cui tanto il nostro Presidente quanto il senatore Rossi vollero onorare la memoria del generale Pallavicini, la cui azione militare, sempre cavalleresca, valse, in momenti difficili, a conciliare gli animi, pur mantenendo alta nel paese la salda fiducia nell'esercito nazionale.
A nome di questo, mando all'antico capo dei bersaglieri, il quale ne personificò la gloriosa epopea, un reverente saluto. (Approvazioni).

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni,27 novembre 1901.