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PAGANO GUARNASCHELLI Giovanni Battista

01 aprile 1836 - 06 febbraio 1919 Nominato il 04 dicembre 1890 per la categoria 09 - I primi presidenti dei Magistrati di appello provenienza Sicilia

Commemorazione

 

Atti parlamentari - Commemorazioni
Adeodato Bonasi, Presidente

Onorevoli colleghi.
È fatale che ogni ripresa delle nostre adunanze abbia ad essere funestata dall'annunzio della perdita di qualcuno dei nostri cari colleghi. Questa volta la sorte inesorabile è stata ancor più crudele, avendoci rapito nel giro di poche settimane sei benemeriti senatori, che tutti, a titoli diversi, altamente onoravano la nostra assemblea. [...]
Fra le numerose perdite fatte dal Senato nel breve periodo di proroga dei nostri lavori, amarissima e profondamente sentita da tutti è quella dell'insigne giurista e magistrato incomparabile senatore conte G.B. Pagano Guarnaschelli, avvenuta in Roma il 6 febbraio dopo breve malattia.
Nato in Palermo il 1° aprile 1836, il Pagano ebbe la sventura di rimanere orfano del padre mentre egli era ancora bambino; ma non fu abbandonato dalla Provvidenza, che nella madre, donna elettissima, gli riservava una guida intelligente e sicura, la quale con sollecita amorevole tenerezza ne curò la educazione. Di questa dolce influenza, che rese felici i suoi primi anni, serbò le benefiche impronte in tutta la lunga sua vita, temperando, con la squisita amabilità dei modi e la delicatezza dei sentimenti, la rigida compostezza del giudice austero.
Compiuti con grande onore e pari profitto gli studi classici, il Pagano passò alla Università inscrivendosi nella Facoltà giuridica, e sino dai primi corsi vi si distinse tanto da riuscire vincitore, tra parecchi competitori, del gran premio Angioino nel concorso per la filosofia del diritto, e da meritarsi, a corsi compiuti, la non comune distinzione della laurea in giurisprudenza ad honorem con dispensa da tutte le tasse.
Nel marzo del 1860 dal luogotenente generale del Re per la Sicilia, in seguito a doppio concorso vittoriosamente superato, fu nominato primo relatore della Consulta di Stato e destinato al Segretariato delle finanze; e nell'ottobre dello stesso anno referendario presso la sezione del Consiglio di Stato per le provincie dell'isola. Nell'anno successivo gli fu conferito il grado di giudice con applicazione alla Consulta di stato di Sicilia per il contenzioso amministrativo, e quindi nominato sostituto procuratore del Re. Con quest'ultima nomina il Pagano entrava ormai nella magistratura, nella quale nel 1868 raggiungeva il grado di sostituto procuratore generale del Re presso la R. Corte d'appello di Trani; di dove poi, per un accordo intervenuto tra il ministro guardasigilli e quello delle finanze, passava all'Avvocatura erariale divenendone ben tosto capo per tutta la Sicilia.
Questi passaggi da un ramo ad un altro dei pubblici servizi, non cercati dal pagano per salirne più rapidamente i gradi, ma d'autorità imposti da chi aveva la responsabilità del loro regolare funzionamento, e l'alta stima in tutti da lui acquistatasi per la vasta sua cultura giuridica e la sicurezza del criterio di applicazione, congiunte ad una grande austerità di carattere, spiegano quella specie di gara stabilitasi tra il ministro della giustizia e quello delle finanze per contendersene la preziosa collaborazione.
Ma il Pagano per l'indole sua alieno dalle lotte che agitano la vita amministrativa, alla quale non sempre rimangono estranee le passioni politiche, e per la conformazione della sua mente assuefatta al rigore logico delle regole del diritto, non sentendosi la duttilità necessaria per adattarsi ai temperamenti ed alle concessioni proprie dei provvedimenti amministrativi, nei quali gli apprezzamenti personali e le considerazioni di convenienza e di opportunità assumono spesso una importanza prevalente, non esitò ad optare definitivamente per la magistratura per non farne più divorzio.
E fu fortuna vera per l'amministrazione della giustizia, nella quale avendo egli in breve percorsi tutti i gradi sino a raggiungere il sommo di primo presidente della Corte suprema di Roma, ne tenne per molti anni altissimo il prestigio infondendo in tutti la più sicura fiducia nella sapiente imparzialità dei suoi responsi.
Generale perciò fu la espressione di profondo rammarico allorché nell'aprile del 1911, colpito dagli inesorabili limiti di età, egli dové abbandonare le auguste sue funzioni mentre era sempre nel pieno vigore delle eccelse sue virtù d'animo e di mente, come universali furono le dimostrazioni di riconoscente ammirazione da parte di ogni ordine di cittadini, cominciando da S.M. il Re che per lasciargli un ricordo della sua sovrana benevolenza volle conferirgli un titolo nobiliare, avendolo in precedenza onorato delle maggiori onorificenze, e nominato senatore del regno sino dal 1890.
Entrando nell'Alta camera politica il Pagano portò anche in questa il prezioso contributo della sua vasta cultura giuridica, degli equanimi suoi apprezzamenti e della varia ed ampia sua esperienza, prendendo parte importante nella discussione delle questioni specialmente attinenti al diritto, ed alla legislazione ed ai delicati problemi dell'ordinamento giudiziario. Anzi il Senato per mettere più largamente a profitto i tesori della eccezionale sua competenza di magistrato lo volle permanentemente membro della Commissione d'accusa dell'Alta Corte di giustizia e di tutte le altre che per la delicatezza dell'ufficio richiedevano la più sicura serenità e indipendenza di giudizio, quale ad esempio quella della verifica dei titoli dei senatori di nuova nomina.
Né a questi uffici soltanto il Pagano applicò la sua alacre indefessa attività. Continui ed importanti furono gli incarichi ai quali, per rispondere alla giusta illimitata fiducia del Governo dové sobbarcarsi, e troppo lunga ne riuscirebbe anche la semplice enumerazione. Basti accennare che partecipò a tutti gli studi preparatori delle varie Commissioni, per la riforma dei Codici e che di quella per il Codice di commercio fu anche presidente. Fu giudice del tribunale internazionale dell'Aja dal 1897 al 1911, e proposto dal Governo del Messico come arbitro in una vertenza con gli Stati Uniti.
Immensa e indefettibile è dunque la riconoscenza che il Paese deve all'eminente giureconsulto, al magistrato che fu così pura incarnazione della giustizia, al legislatore che tanta parte della sapiente sua operosità consacrò al perfezionamento dei suoi istituti giuridici; ed il Senato, del quale il Pagano, per quasi sei lustri, fu onore e decoro, interprete dell'universale sentimento invia un reverente mesto saluto alla sua memoria facendo voti che questa mai si spenga, ad esempio ed incitamento a rinnovarne le grandi virtù. (Benissimo).
[...]
TIVARONI. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TIVARONI. Onorevoli colleghi, molto addolorato e commosso mi associo alle nobili parole dette dall'illustre Presidente per commemorare il senatore Pagano-Guarnaschelli.
Con lui scomparve una veneranda figura di magistrato.
Ed a me è concesso il mesto ufficio ed il grande onore di evocarla al vostro cospetto, avendomi egli tenuto al suo fianco sedici anni, dapprima alla Corte d'appello, poscia alla Cassazione di Roma.
Ebbi così la fortuna di avvicinare in cara consuetudine un insigne maestro, che lascia traccie durevoli di sapienza nelle discipline giuridiche e preclari esempi di virtù civili.
Esempi, insegnamenti che mi guidarono nella lunga ed aspra mia carriera come faro fiammeggiante di vivida luce.
Il collega Pagano fu di cuore soave, d'animo mite, di coscienza serena, di carattere austero, di mente eletta, geniale. Fu modesto e cortese.
Nell'esercizio delle sue mansioni preferì al rigore la clemenza e l'equità.
E verso di me si addimostrò un padre affettuoso, mi sovvenne de' suoi consigli, mi confortò nelle mie afflizioni, mi prodigò la sua benevolenza e ne ottenni l'elevazione al supremo grado della magistratura ed il laticlavio.
Nel senatore Pagano conobbi altresì un fervido patriotta.
Inciderò a caratteri d'oro nelle pagine più belle de' miei ricordi la data di un giorno faustissimo nel quale egli mi venne incontro sorridente congratulandosi meco per la redenzione di Zara, mia patria, dall'aborrito, secolare, dominio austriaco.
Ma ciò che nel senatore Pagano emerse sovra ogni cosa si è il culto del dovere che lo ispirò nell'amministrazione della giustizia, considerata un vero sacerdozio.
Per questo sublime ideale egli spese le migliori energie della sua vita, confortata da un profondo sentimento religioso e dalle cure vigili, dolci d'una sposa adorata e di tre figli diletti, a lui pari in ingegno e bontà, che avranno in retaggio la memoria dell'ineffabile amore e delle opere utili e sante del lacrimato scomparso. Mentre a me soccorrerà la visione del suo spirito immortale, che aleggia in quest'aula e si allieta della mia commemorazione, perché prova non essere ancora spenti negli uomini i sensi di gratitudine pei benefici ricevuti.
Prego il Senato di mandare le sue condoglianze alla famiglia del senatore Pagano ed alla città di Palermo, che gli diede i natali.
DE CUPIS. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DE CUPIS. Onorevoli colleghi. Di Pagano senatore, ciascuno di voi potrebbe parlare assai più degnamente di me, e di Pagano magistrato vi ha detto or ora parole profondamente commosse il nostro collega senatore Tivaroni. Me induce a parlar di lui, anzi mi vi ricostringe, la memoria di un breve periodo di vita con lui vissuta, che valse però a stringere gli animi nostri di un affetto, che durò immutato per oltre 40 anni appresso decorsi. Sarebbe ingratitudine se io qui mi tacessi.
Ho conosciuto il Pagano all'inizio, si può dire, della mia carriera, quando, staccatomi la prima volta dalla famiglia, io andai a Palermo Sostituto Avvocato Erariale. Qual fosse l'animo mio in quel momento, lontano dalla famiglia, lanciato in luogo dove non aveva alcuna relazione, quale fosse la mia trepidazione nell'accingermi a funzioni, per me allora assolutamente nuove, lascio a voi immaginare; poco tempo occorse però perché io comprendessi che anche fuori dalla mia famiglia, in luogo lontano, si poteva trovare un padre, e compresi altresì che la mia ignoranza avrebbe trovato aiuto sicuro in un maestro insuperabile. Dell'una e dell'altra cosa io approfittai largamente e del bene che ne ebbi ho conservato a Pagano sincera, profonda, costante riconoscenza.
Fra gli Avvocati Erariali di quel tempo, o signori, erano dei valentuomini. Napoli, Firenze, Torino menavano vanto dei loro capi; ma fra tutti il Pagano surse facile princeps. Tale il Mantellini, sagace e fine estimatore di uomini, lo riputava. Pari all'estimazione del Mantellini per il Pagano era la devozione del Pagano per il Mantellini, di cui egli raccoglieva religiosamente gli insegnamenti per averne norma a se stesso non solo, ma per farne precetto al manipolo che alla difficile palestra allenava.
Il Pagano, che nella magistratura aveva, prima che passasse nelle Avvocature Erariali, pur giovanissimo, acquistato alto grado ed alta reputazione, accolse quindi facilmente il primo precetto, il primo insegnamento che il Mantellini aveva dato alla giovane istituzione, quello insegnamento che esso mantenne in tutte le pubblicazioni fino all'ultima, il Papiniano, che egli presentò agli uffici da lui istituiti come un esempio di fermezza di carattere non men che di dottrina. Fu suo insegnamento: che il difensore dell'erario, del sacro erario "come egli diceva" deve essere magistrato prima che avvocato. Traduzione della formula degli antichi prammatici nemo ditior neque honestior fisco: massima che dovrebbe essere stampata a caratteri indelebili nell'animo di tutti coloro che dirigono le pubbliche amministrazioni dello Stato, perché è dall'alto, o signori, che deve venire l'esempio della moralità.
Di talché, il Pagano, passando dalla Magistratura all'Avvocatura Erariale, non diventò altr'uomo da quel che era, e quale era stato fino allora rimase, quando all'Avvocatura Erariale fece nuovamente ritorno alla Magistratura, dove compì la sua nobile carriera, e raggiunse il più alto grado e i massimi onori, primissimo quello della universale riputazione.
Rammentando il Pagano, signori, mi viene alla mente una scritta, che leggesi a grossi caratteri come conclusione di una epigrafe, che sta nel vestibolo di Santa Maria degli Angeli: Virtute vixit, memoria vivit; gloria vivet.
Sì, gloria vivet, perché non deve essere soltanto ragione di gloria il rumore di forti gesta, ma ancora l'adempimento di un dovere, allorquando questo raggiunge tal grado, da meritare che in esempio ai posteri si adduca.
[...]
PETRELLA. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PETRELLA. Onorevoli senatori! Il nostro illustre Presidente, con nobiltà di pensiero ed eleganza di eloquio, ha commemorato degnamente il senatore Pagano: non meno che gli onorevoli colleghi Tivaroni e De Cupis; le loro parole affettuose ed efficaci dovrebbero consigliarmi a tacere, e ad associarmi puramente e semplicemente a ciò che già è del Pagano stato detto. Ma agli impeti del cuore non si resiste, e io sento vivissimo il bisogno: no, dirò meglio, il dovere, di dire una parola per il mio carissimo amico Pagano, sperando che la commozione che mi invade possa darmi agio di parlare.
Io non ricorderò l'ingegno precoce ed altissimo del Pagano e il suo grande amore allo studio, poiché bastano due prove per svagare qualsiasi dubbiezza. Egli, in quell'età, in cui l'adolescenza è al confine della giovinezza, per concorso, guadagnò una medaglia d'oro nell'Università di Palermo, svolgendo una tesi di filosofia del diritto: poco dopo ebbe la laurea ad honorem in giurisprudenza. Appena l'età glielo consentì, vincendo le prove di un difficilissimo esame, fu nominato referendario alla Consulta di Stato, e, questa abolita, passò alla magistratura giudicante, e poi pei grandi suoi meriti di ingegno, di dottrina, di prudenza, di capacità amministrativa, fu messo a capo della avvocatura erariale di Catania, posto sempre difficile e difficilissimo allora, perché si trattava di organizzare gli uffici. Assolto con grande onore quell'incarico, entrò negli alti gradi della magistratura, e si distinse sempre sia nel Pubblico Ministero, sia nella magistratura giudicante, e nelle sedi ove fu chiamato per le sue funzioni a Catanzaro, Trani, Roma, Torino e poi di nuovo Roma, dove fu elevato al sommo grado di primo Presidente di Cassazione. È stato sempre ammirato per la dottrina, per le equanimità, per la giustizia, e per quella gentilezza di modi, che anche a chi rende giustizia e, qualche volta dolorando e producendo in altri dolore, è sempre ammirabile, ed egli fu sempre stimato ed amato. Non parlo degl'importanti lavori compiuti dal Pagano in Senato e nella Consulta araldica, ché sono a voi ben noti.
Questa è quella parte della vita del Pagano che ce lo fa conoscere nei momenti in cui fu a contatto col pubblico, è la parte esteriore, e sulla quale molte volte si formano i giudizi sugli uomini: ma non è la sola che bisogna tener presente. La vera parte nella quale si possono attingere i criteri sicuri per misurare la nobiltà del carattere e il valore etico di un uomo, è quella intima, familiare, nella quale meglio e più si rivelano i sentimenti, le virtù, le manchevolezze di un uomo. Ora questa seconda parte della vita del Pagano, che naturalmente si svolse in ambiente molto più ristretto, è pure luminosa come la prima.
Egli, come già ha detto l'onorevole nostro Presidente, orbato del padre nella prima età: solo uomo in famiglia, si trovò giovanissimo a capo di essa, e le dedicò tutte le sue energie, ed un affetto smisurato, che poi ha continuato fino agli ultimi giorni della sua vita.
Si ammogliò, e divenne sposo e padre esemplare: egli, con la sola forza dell'esempio, fece della sua famiglia una famiglia tipica. Educò i suoi figli alla virtù, all'onestà, all'amor patrio, che tento sentiva ed ebbe il premio al quale aspira sempre un padre, rispetto ai suoi figli, poiché ebbe la fortuna di vedere i suoi tre figliuoli in alto nella pubblica estimazione, nelle scienze e nelle lettere, nel campo medico e nella magistratura.
Nella mia carriera di magistrato io sono stato del Pagano Guarnaschelli inferiore, collega, amico. Nei nostri lavori quotidiani, durati molti anni, io l'ho veduto sempre eguale a sé stesso, amante appassionato della giustizia, rispettoso dell'altrui opinione, d'una bontà d'animo eccezionale, di carattere mobilissimo egli amava di fare il bene per il bene, senza che altri il sapesse.
Oh! Quanti hanno pianto la tua dipartita, o diletto amico, perché tu avevi della rettitudine il sentimento più puro, del dovere il concetto più illuminato, e la osservanza più scrupolosa; avevi degli affetti di famiglia, e della amicizia un vero e perenne culto. Ma se il tuo frale è sparito, il tuo spirito, come ben diceva l'amico Tivaroni, aleggia fra noi. La tua Palermo, così ricca di vivide intelligenze, di uomini illustri, ha già scritto il tuo nome nel suo libro d'oro. La Magistratura, di cui foste un fulgido astro, ti ha eletto già a suo ideale per ispirarsi in te, e per imitarne l'esempio. I tuoi amici, dolenti serberanno di te sempre un affettuosa, mesta e reverente ricordanza. Mi associo al voto espresso dall'onorevole senatore Tivaroni, perché si mandino le condoglianze del Senato alla città di Palermo, e alla famiglia del senatore Pagano.
[...]
DE BLASIO. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DE BLASIO. Sia dato anche a me di adempiere ad un sacro dovere, quello di esprimere, in nome della Corte di Cassazione e della Procura generale di Roma, il grande, l'immenso dolore della magistratura italiana, per la perdita di Antonio Gui e di Giovanni Battista Pagano Guarnaschelli, che furono della magistratura onore e lume.
[...]
Ben disse l'illustre mio amico e collega Petrella che fu giorno di lutto per la magistratura quello, in cui mancò ai vivi Giovanni Battista Pagano Guarnaschelli. Egli era un grande giurista ed un insigne magistrato. Il suo nome, ne son certo, sarà scritto, a caratteri d'oro, accanto a quello dei più grandi magistrati d'Italia.
Per l'altezza del suo ingegno poderoso e versatile, per l'ampiezza dei suoi studi filosofici e giuridici, per la vasta conoscenza che aveva della giurisprudenza, per la sua immensa cultura, egli si elevò all'altezza del Mirabelli, del Niccolini, del Marvasi, dello Stara e di quegli altri insigni che sono e saranno lustro della magistratura italiana.
Giovanissimo ancora, il Pagano vinse l'arduo concorso di alunno di giurisprudenza, che gli aprì la via alla Consulta di Stato delle provincie siciliane. Abolito quell'alto Consesso, entrò in magistratura col grado di giudice; fu poi procuratore del re a Caltanissetta, poscia avvocato erariale, sostituto procuratore generale nelle Puglie, procuratore generale delle Calabrie, primo presidente della Corte d'appello di Roma, della Corte di Cassazione Subalpina, e del Supremo Collegio romano.
Dovunque egli fu, si ammirò l'uomo della scienza, lo studioso infaticabile del diritto, il grande giureconsulto e sopratutto il magistrato dottissimo, che gli alti suoi doveri di ufficio adempié sempre con scrupoloso raccoglimento e religiosa devozione.
Le allegazioni scritte da lui, come avvocato erariale, in difesa dello Stato; le requisitorie pronunciate da sostituto e da procuratore generale; le dotte sentenze da lui dettate, quale presidente d'Appello e di Cassazione, resteranno come modelli del genere, come monumenti di sapienza giuridica.
Così l'anima sua ardeva dello spirito di sacrificio, così grande era la sua abnegazione, che pareva non nato a sé, alla sua famiglia, ai suoi, ma alla magistratura ed alla patria.
Non ricorderò quella sua fenomenale operosità, che gli consentiva di studiare e conoscere ogni causa nei più minuti particolari; non quella invidiabile memoria, che gli rendeva agevole l'illustrazione di ogni istituto giuridico coll'antica e moderna giurisprudenza italiana e straniera; non ricorderò l'integrità del suo carattere, l'illibatezza dei suoi costumi, la nobiltà dei suoi sentimenti, sempre altruistici e generosi.
Visse vita intemerata e pura, morì senza macchia. La toga che immacolata l'aveva avvolto in vita, immacolata lo avvolge nel sepolcro; ed io su di esso inchinandomi, quale interprete fedele della magistratura italiana, con religiosa devozione dirò col poeta di Sulmona:
Ossa quieta, precor, tuta requiescite in urna,
Et sit humus cineri non onerosa tuo.
(Vive approvazioni).
FACTA, ministro di grazia, giustizia e dei culti. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FACTA, ministro di grazia, giustizia e dei culti. Purtroppo nel riprendere i suoi lavori il Senato ha dovuto anche questa volta ricordare colleghi carissimi i quali attraverso all'affettuosità, alla gentile amicizia, e alla calda loro simpatia hanno portato qui la sicura energia della loro esperienza, le più vivide fiamme del loro ingegno. Il Governo comprende bene con quale dolore il Senato senta queste perdite amarissime. Consenta il Senato che a due di questi scomparsi io rivolga reverente un saluto, che io porti il saluto in nome di quella Magistratura che mi onoro altamente di rappresentare e porti questo saluto col senso e colla commozione più viva, per aver conosciuto questi due illustri uomini, per aver saputo quanto essi hanno dato alla patria. Pagano-Guarnaschelli, dicevano i precedenti oratori, è tal nome che basta pronunziarlo perché si pieghino innanzi ad esso tutti riverenti. Io ricordo quest'uomo insigne, ricordo la sua figura nobile ed austera, rammento che sul suo volto appariva non solo la contemplazione mistica di un apostolato, quello della magistratura, ma rifulgeva pure il senso squisito, bello, dolcissimo della bontà. Sapienza e bontà due sole virtù che accoppiate basterebbero a far felice il mondo. Pagano-Guarnaschelli queste virtù aveva in sommo grado, quindi il pensiero che mesto si rivolge alla sua figura scomparsa ricorda non solo l'uomo insigne e buono, il magistrato che aveva compiuto sempre il suo dovere, ma l'accoppiamento perfetto delle qualità più preclare del cittadino e dell'uomo. Io comprendo il dolore altissimo della Magistratura e m'inchino riverente alla memoria venerata di Pagano-Guarnaschelli. (Bravo).
[...]

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 1° marzo 1919.