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NEGRONI Carlo

28 giugno 1819 - 15 gennaio 1896 Nominato il 04 dicembre 1890 per la categoria 21 - Le persone che da tre anni pagano tremila lire d'imposizione diretta in ragione dei loro beni o della loro industria provenienza Lombardia

Commemorazione

 

Atti parlamentari Commemorazioni
Domenico Farini, Presidente

Poiché il Senato volle per sua grazia aspettare la mia presenza, perché gli fossero comunicate le necrologie dei colleghi defunti nell'intervallo dalle ultime sedute ad oggi, così io obbedisco al doloroso incarico, procedendo alla lettura di esse.
Signori senatori!
[...]
Il senatore Carlo Negroni fu uomo di molte lettere e di non minore sapienza giuridica.
Di questa fecero testimonianza le lezioni di diritto canonico, penale e civile dettate in Novara fino all'anno 1859, mirabili per idee precise perspicuamente esposte. Parola forbita e concisa quanto acuta e rapida percezione; ragionare stringato, di che collo studio diligente e diuturno meditare aveva fatto sangue; opinamenti profferiti con tale convincimento da acquistare, anche per la proprietà del linguaggio, assiomatica evidenza, lo fecero rifulgere nel foro. Vi durò fino al 1870: primeggiò in ispecie nelle disquisizioni riflettenti le servitù e le acque; sicché fu chiamato nella Commissione che preparò il Codice civile; anzi ne dettò le norme intorno ai due difficili argomenti, con ampia lode.
Eletto deputato per la VI e VII legislatura, in quella dal primo collegio di Domodossola, in questa, da Vigevano sua città natale, nonostante il breve stadio dimostrò anche in Parlamento la molta perizia.
Per ventidue anni consigliere comunale, per tre sindaco, per alquanti consigliere provinciale, non vi fu civica azienda di Novara, dove appena laureato aveva preso stanza, che non si avantaggiasse della valentia e fermezza di lui, cui nulla trattenne dalle risoluzioni di pubblico interesse per quanto a qualcuno aspre e sgradite. E come, insegnando e scrivendo sul diritto ecclesiastico, aveva propugnata l'indipendenza dell'autorità civile, così amministrando la mantenne sciolta da ogni soggezione, ben distinguendo nella timorata coscienza le sopraffazioni umane dagli interessi della religione, della quale fu osservantissimo.
Dopo essersi per due volte affacciato alla politica; dopo avere a lungo partecipato a tutta quanta la vita locale erasi, or sono quindici anni, ritirato pressoché da ogni cosa; forse insofferente, certo disgustato del garrito querulo che, in piccolo ambito, piglia acredine di ripicco e troppo spesso amareggia chi, senza nulla chiedere o bramare, ingegno, tempo, operosità, tutto se stesso pone in servizio di tutti.
Da allora le lettere lo ebbero intiero.
Rammenteranno lo scrittore purgato, l'erudito, alcuni lavori sopra Dante del quale curò, assieme ad altro dotto, per regia munificenza, l'edizione d'un testo con la traduzione del commento di Talice da Ricaldone: la stampa degli Statuti di Novara dell'abate Cerruti, e di una antica traduzione della Bibbia, le Biografie dell'abate Stoppani e di alcuni illustri novaresi, rimarranno esempi di erudizione e di buona lingua. Così giudicarono la Crusca, l'Accademia delle scienze e la Deputazione di storia patria di Torino associandoselo. La splendida biblioteca a gran prezzo raccolta, ricca di ben sessantacinque edizioni e codici del poema sacro e di duemila articoli di letteratura dantesca, pregiata per le collezioni di edizioni della Crusca, di opere dei primi secoli della lingua e di quelle di Cicerone ne tramanderà l'amore per le lettere. (Bene).
Quanta carità verso i nati in umile condizione lo riscaldasse; come egli giudicasse il maggiore dei doveri essere quello di educarli e redimerli a novella vita farà in perpetuo manifesto l'atto col quale, assieme alla suppellettile letteraria, legò tutto il pingue patrimonio, accumulato colle onorate fatiche, alla città di sua elezione, affinché si istituissero asili per l'infanzia. Testamento nobilissimo con che l'uomo egregio, nostro collega dappoi il 4 dicembre 1890, chiuse la sua carriera mortale a Novara nel settantaquattresimo anno dell'età sua: pensiero civile, fiamma di affetti dalla quale si irradia una luce inestinguibile che ne rischiarò la bara e ne illuminerà il sepolcro.
(Bene).

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 23 marzo 1896.