MIRAGLIA Giuseppe*
12 gennaio 1816 - 08 gennaio 1901 Nominato il 08 ottobre 1865 per la categoria 09 - I primi presidenti dei Magistrati di appello provenienza CalabriaCommemorazione
Atti Parlamentari - Commemorazione
Stanislao Cannizzaro, Vicepresidente
Signori senatori,
anche oggi debbo annunziarvi la perdita di due nostri colleghi avvenuta in questo breve periodo di vacanze: i senatori Miraglia e Di Blasio.
Il senatore Giuseppe Miraglia spirava a Napoli nell'età di 86 anni il dì 8 di questo mese. Egli era nato a Cosenza il 12 gennaio 1816.
Laureato giovanissimo nelle scienze giuridiche, a ventidue anni già esercitava l'avvocatura presso la Corte suprema di giustizia in Napoli, e, giovane ancora, a 25 anni, pubblicò un trattato di diritto civile in cui palesò dottrina ed erudizione singolari.
Nel 1848 fu prima giudice, poscia il Pubblico Ministero presso il Tribunale civile di Napoli, dalla quale carica fu nell'anno seguente destituito per le tendenze politiche liberali da lui manifestate, concordanti con quelle dei suoi due fratelli perseguitati e condannati come unitarii.
Per i medesimi principii per i quali era stato destituito, fu poi prescelto alla direzione del Ministero di grazia e giustizia nel breve periodo del 1860 allorché, dopo la perdita della Sicilia, il Re di Napoli tentò salvare il Regno con nuove promesse di libere istituzioni.
Avvenuta l'annessione di Napoli al Regno d'Italia il Miraglia tornò alla magistratura quale giudice della G. corte civile in Napoli, e poco dopo destinato a prestare servizio come consigliere della Suprema corte di giustizia in quella stessa città. Fu altresì nominato professore di diritto civile all'Università di Napoli, poi primo presidente di Corte d'appello ad Aquila, quindi a Trani ed a Roma, dove nel 1876 raggiunse il più alto grado nella magistratura quale primo presidente della prima Corte di cassazione istituitasi nella capitale d'Italia, carica che coprì per ben 15 anni sino all'epoca in cui fu messo a riposo per ragione di età.
Nominato senatore fino al 1865, per moltissimo tempo prese parte attivissima ai nostri lavori; e per la vasta coltura giuridica e per la sua animata facondia fu ascoltato sempre dal Senato con grande attenzione.
Rammentiamo ancora gli eloquenti discorsi da lui pronunziati in quest'Aula nelle discussioni del codice penale, del codice di procedura civile, del codice sanitario, e di moltissimi altri progetti di legge; le numerose e dotte relazioni da lui scritte su svariati ed importanti disegni di legge, delle quali sono notevolissime quelle sull'Affrancamento delle decime feudali, nelle provincie napoletane e siciliane e sulla Sila delle Calabrie.
Nella cattedra, nel foro, nel Parlamento, egli emerse per dottrina e per operosità.
Il Senato si associa alle dimostrazioni di stima rese in Napoli alle memoria del dotto e patriottico giureconsulto. [...]
GIANTURCO, ministro di grazia e giustizia. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
GIANTURCO, ministro di grazia e giustizia. Signori senatori, a me che amai Giuseppe Miraglia di reverente e filiale affetto, è serbato oggi il doloroso ufficio di farne la commemorazione in quest'Aula. Già l'illustre Presidente ha ricordato i meriti di Giuseppe Miraglia come professore, come avvocato e come magistrato.
Come professore di diritto civile all'Università di Napoli, egli lascia il commento più profondo ed insigne delle leggi napoletane del 1819, poiché in quel commento alla profonda cognizione del diritto romano, delle trasformazioni che la ragione comune del diritto vi ha introdotto nei tempi intermedi, e alla cognizione larga e sicura del diritto francese, che tanta parte ebbe nella formazione del codice del 1819, si unisce un così acuto e vivo senso della realtà del diritto, che nessun altro dei molti commenti stampati su quelle leggi, può competere con quello scritto dal Miraglia.
Avvocato, fin dal 1838, innanzi alla Corte suprema di giustizia del Regno di Napoli, egli fu compagno ed emulo di quei titani del diritto, che hanno lasciato un'orma così luminosa nella storia giuridica del mezzogiorno d'Italia. Egli, che aveva cominciato come gran giudice di Corte civile, finì per occupare il più alto seggio della magistratura italiana, quando per la prima volta in questa Roma si istituì la Corte suprema di cassazione, come centro dal quale si irradia per tutta Italia la luce di verità e di sapienza, che deve illuminare il nostro diritto civile, penale e commerciale. E tutti ricordano le parole solenni con cui egli inaugurò questa Corte suprema di cassazione, e ricordano con quanta dottrina e con quale altezza d'ingegno egli abbia contribuito insieme ai due sommi uomini, De Falco e Mantellini, a creare quella dottrina di conflitti, che mira a mantenere ciascuna delle giurisdizioni e dei poteri dello Stato nei loro confini; a crearla, direi quasi, ex nihilo, stabilendo postulati di ragione pubblica che sono ancora oggi fondamento delle decisioni della Corte suprema.
Io credo di non errare affermando che a questi tre uomini, secondati dalle acutissime indagini del senatore Auriti, si deve se l'Italia ha oggi una dottrina sicura dei conflitti di attribuzione, che ha segnato alla magistratura uno dei maggiori uffici suoi, qual è quello di mantenere ciascun potere dello Stato nei limiti delle proprie attribuzioni.
Ma il Miraglia non lascia soltanto una larga eredità di sé nel campo della scienza, e della amministrazione della giustizia; quest'uomo è stato altresì un fervente patriota, che nel 1849 non ha esitato a smettere il suo impiego per serbare intatte e immacolate le sue convinzioni politiche.
Quest'uomo nel 1860 ha ricevuto dal generale Garibaldi un alto tributo di lode, che egli non ha dimenticato mai, neppure negli estremi anni della sua vita, per l'opera assidua da lui prestata a fine di rendere meno difficile il passaggio dal dispotismo alla libertà.
Giuseppe Miraglia ha ben meritato della patria e del Re; ne è documento solenne la lettera che il magnanimo Re Umberto gli scrisse sottoscrivendo il decreto che collocava il Miraglia a riposo; lettera di cui voglio dar lettura al Senato, perché non solo essa è prova degli alti sensi del principe, ma è anche un meritato tributo verso alla virtù.
"Caro Miraglia,
nell'apporre con rammarico, ma per inesorabile disposizione di legge, la firma del decreto che la colloca a riposo, desidero farle sapere che serberò sempre vivo e caro ricordo del suo affetto per me e delle tante prove alle quali rendono omaggio i più illustri maestri del diritto. Faccio voti sinceri perché Dio la conservi lungamente alla mia affezione.
Aff.mo Umberto".
Ecco le parole, o signori, che il principe magnanimo scriveva al magistrato che aveva onorato il più alto seggio della magistratura italiana.
Ma a che giova parlare di Giuseppe Miraglia a voi, o signori?
Non è ancor viva la sua parola in quest'Aula, nella quale egli riferiva intorno alla legge del 1873 per l'affrancazione delle decime, legge che liberava di antichi e gravi pesi le terre di tanta parte del Mezzogiorno d'Italia?
Ma non è ancor viva in mezzo a voi la sua parola eloquente e dotta, quando riferiva sulla legge per la Sila, uno dei maggiori monumenti di sapienza giuridica italiana? o intorno alla legislazione sui monumenti ed oggetti d'arte?
Qui aleggia ancora la parola sua sempre ascoltata ed ammirata, quando discuteva i più alti problemi di politica giudiziaria che abbiano affannato il nostro paese!
E questo non è solo il giudizio mio, ma è il giudizio di un uomo che fu lume della nostra scienza giuridica e del nostro Parlamento, di Pasquale Stanislao Mancini, il quale, nell'altra Camera, quando ebbe a riferire dopo il Miraglia sulla legge delle decime, nulla disse, con somma modestia, di sapere aggiungere per confortare la tesi che il Miraglia con tanta profondità aveva già illustrato innanzi a voi.
E quest'uomo ha trascorso gli ultimi suoi anni in mezzo ai suoi piccoli nipoti, in quella tranquilla casetta dove tante volte l'ho visto, recitando Orazio e commentando Virgilio, come uno di quegli umanisti italiani che hanno serbato nella più tarda età il culto delle lettere, come uno di quegli uomini completi che hanno saputo intendere Virgilio e Orazio, Papiniano e Graziano, la letteratura e il diritto canonico o civile, non chiudendo la mente a quegl'ideali, spiragli di luce che anche nelle ore più tristi e difficili valgono ad allietare ed elevare l'animo.
Sia pace a Giuseppe Miraglia, esempio di virtù, di abnegazione, di dottrina; la memoria di lui resterà sempre viva nella storia della magistratura e del Parlamento italiano. (Approvazioni).
Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 21 gennaio 1901.