senato.it | archivio storico

MENABREA Luigi Federico

04 settembre 1809 - 25 maggio 1896 Nominato il 29 febbraio 1860 per la categoria 03 - I deputati dopo tre legislature o sei anni di esercizio e per la categoria 18 - I membri della Regia accademia delle scienze dopo sette anni di nomina e per la categoria 20 - Coloro che con servizi o meriti eminenti avranno illustrata la Patria provenienza Estero

Commemorazione

 

Domenico Farini, Presidente

Il tenente generale Luigi Menabrea, vecchio di quasi ottantotto anni, morì alle ore dieciotto del passato lunedì in Chambéry, dove era nato.

In questa o nell'altra Camera dal primo giorno in cui il primo Parlamento subalpino fu convocato; nel condurre intricati negozî politici; dirigendo tre Ministeri; per due anni capo del Governo, mostrò la potenza d'una mente privilegiata: fu vanto della scienza e della milizia.
Nell'Ateneo torinese, la sua giovinezza brillò quale lucente aurora di luminosa giornata.
Ingegnere idraulico, architetto civile, dottore collegiato, ufficiale del Genio, professore nell'Accademia militare e nell'Università, il notevole sapere gli diede nome tale che, a trent'anni l'Accademia delle scienze, e poi i maggiori sodalizî scientifici nostrani e forastieri andarono a gara di onorarsene, facendogli onore. Cito la Società dei quaranta, l'Istituto Lombardo ed il Veneto, l'Accademia dei Lincei; dei secondi l'Istituto di Francia, le Università di Oxford e di Cambridge le quali lo proclamarono dottore honoris causa.
Né men bella o men rapida la carriera militare. Allo scoppiare della prima guerra d'indipendenza spedito nel centro d'Italia, i Governi dei ducati eccitò a scrivere, aiutò ad ordinare soldati; rassicurò, promise aiuti; sollecitò l'unione al Piemonte: qua agevolò, là con Giovanni Durando concertò le mosse. Operò destramente sì, da tornarne con nuova reputazione di attitudini nuove; e cosa né innanzi né dopo mai più avvenuta, tuttoché semplice capitano, venne nominato, ministri il Collegno ed il Dabormida, primo ufficiale o, come ora si dice, sottosegretario di Stato del Ministero della guerra. Colonnello a mezzo il 1849, nell'anno quarantesimo dell'età sua, maggiore generale di lì a dieci anni, raggiunse l'apice dei gradi nel settembre del 1860, quello della fama in principio dell'anno successivo: comandò il Genio in tre guerre.
Agli scontri ed alle battaglie campali di quella del 1859 partecipò. Prima ancora che Napoleone III scendesse le Alpi, col munire in brevi giorni la sponda destra della Dora Baltea, a salvezza di Torino, aveva acquistato tale benemerenza, che un titolo e predicato nobiliare dal nome di quella valle ricorderà in perpetuo, insieme all'origine della famiglia sua. I preliminari di Villafranca, interrompendo l'investimento di Peschiera già iniziato, gli tolsero altre glorie. (Bene).

Se ne rifarà ad usura l'anno appresso. Il quale sorgeva mettendo ancora una volta in risalto il suo colpo d'occhio nell'adattare al terreno i più opportuni munimenti, nel piegare al complesso di tutte le circostanze i precetti dell'arte. Bello il vederlo, come io lo vidi, sulla faccia dei luoghi fra il rigore del verno indicare, sul suolo coperto di neve, la postura delle difese, poi stabilirne i tracciati ed i profili; calcolarne il costo e il tempo. Bologna protetta da baluardi testimoni di fermo proposito, improvvisati contro le straniere tentazioni di rivincita, fu in molta parte suo merito.
Ad Ancona, caduta assai prima dei trenta giorni di trincea di che il generale nemico all' esordire della campagna aveva meco novellato, egli, sotto il fuoco della piazza, provvedeva a che le fossero rivolte ad offesa le stesse sue opere avanzate del Monte Pelago e del Monte Pulito, rincorse, occupate con audace assalto dalla brigata Bologna.
Il piano d'attacco di Ancona e di Capua e quello del memorabile assedio di Gaeta combinati, preparati e condotti colle nuovissime artiglierie rigate, sperimentate contro le due prime fortezze, largamente contro l'ultima adoperate, furono, per l'Arma sua, da lui sapientemente studiati, avvedutamente innovati, valorosamente diretti. Lo ricompensarono vari gradi dell'Ordine militare di Savoia, il più elevato dei quali alla resa di Gaeta, da lui trattata; la medaglia d'oro raro premio lo ricompensò dopo la caduta di Capua, che celermentè assicurò la più corta via per Napoli.
Quegli assedî, quei fatti d'arme cimentarono la virtù, cementarono i diversi elementi onde l'esercito si componeva; li istruirono, li agguerrirono. Fu raccolto ed ammassato un tesoro di mutua fiducia, di energia, di baldanza che, alla vigilia dell'ultima guerra d'indipendenza, apparivano manifeste e promettenti. Contraria fortuna lo sperperò. Mancarono al nostro nuove occasioni di combattere; ma le fortificazioni di Cremona, primo indizio rivelatore del disgraziato piano della campagna che terminò a Custoza, ne mostrarono ancora una volta la speciale perizia.
Dal 1849 al 1876 or addetto straordinario, or ispettore, or presidente del supremo Consesso, con nomi diversi preposto al Corpo del Genio; membro della Commissione permanente di difesa, finché durò; l'organamento e la preparazione degli militari, le controversie intorno alla difesa dello Stato abbracciò con larghezza, trattò con dottrina; con lucido intuito adattò le teorie alla pratica, le norme generali contemperò ai casi particolari. Le sottigliezze, le astruserie speculative non lo dilungarono mai dalla chiara visione della realtà; i preconcetti, che a volte offuscano i tecnici, sviano gli specialisti, non gli fecero mai ombra.
Famigliare con molti degli uomini che in Piemonte primeggiarono negli anni precedenti il risorgimento, con essi vagheggiò le riforme, con essi lo Statuto applaudì; fu caldo dell'indipendenza. Spirito illuminato, intravvedeva, presentiva lo sviluppo progressivo dell'umanità; la libertà, primo bene dell'uomo, affermava, in età matura, essere stato il voto della giovinezza, sarebbe lo scopo della sua vita. Dalla bene riuscita missione nei ducati iniziato ai pubblici affari, trapassato dal dicastero della guerra a primo ufficiale degli esteri, ministri il Perrone, il De Launay, l'Azeglio; mandato, nel tempo stesso, dagli elettori di Verres, poi da quelli di San Giovanni di Moriana, alla Camera dei deputati, la politica lo prese, il tenne, né più finché visse lo lasciò.
L'abdicazione di re Carlo Alberto, lo scapestrare delle fazioni, la fortuna del Piemonte subissata, lo straniero vittorioso padrone d'Italia, il civile consorzio minacciato da utopie antiche rinfrescate da nuove insanie e cupidigie, le colpe tutte del vivere sciolto e licenzioso gli parvero essere gli amari frutti di male usata, di troppa libertà. Sembrò a lui che mentre Italia, anzi Europa, precipitava a regime assoluto, il Piemonte vi sarebbe stato immancabilmente travolto pur esso, se a tempo non frenasse le pericolose larghezze. In quelle condizioni ogni desiderio, ogni sguardo oltre Ticino, al di là del Po o della Magra giudicò vane illusioni; si spaventò di atti, di tendenze che, a suo vedere, scalzando il senso morale, le credenze offendendo, sarebbero germe mortifero di decadenza.
Schieratosi fra quelli che o per timorata coscienza, o per grettezza municipale, o per paura di catastrofi osteggiavano l'indirizzo politico per il quale il Piemonte si faceva vessillifero di nazionalità; tardi entrò in quel giro d'uomini e di idee con che fu fatta leva ai tristi governi della penisola. Di mano in mano che la calma e la saggezza riprendevano il sopravvento, egli però non poteva dissimularsi che gli umori di reazione, peccanti tutto all'intorno, se assecondati, avrebbero spenta ogni vita, troncato ogni avvenire; né l'ingegno penetrante non poteva non scorgere i chiari segni della pienezza dei tempi. A grado a grado l'animo suo si rassicurò, e se non spezzò d'un tratto solidarietà di provincia o di partito, pure non si trattenne di assecondare il Governo in alcuni de' progetti il cui divisamento, sebbene lontano, era troppo patente per non essere compreso ed indovinato.
Le fortificazioni di Casale a difesa di Torino, il trasferimento della marina militare alla Spezia; due progetti, per quanto suffragati da considerazioni prettamente militari, spiranti audaci e grandiosi propositi, raccomandò. Aiutò validamente, a traverso lunghi incagli e gagliarde opposizioni, l'attuazione della maggiore opera pubblica che aprì nuove vie alle genti, e sarà vanto perenne del secolo presente: ho detto il traforo del Moncenisio. Increduli i tecnici, invidi gli stranieri, timidi in casa e dubbiosi i più, colla sua autorità scientifica le obbiezioni confutò, dimostrò esser certa la riuscita che studi, invenzioni, direzione d'ingegneri allievi dell'Università torinese, che genio italiano effettuerebbero. Gran merito a lui di quell'opera, la più ardua che uno Stato affrontasse mai, e che Sebastiano Tecchio, ministro dei lavori pubblici, iniziò in Parlamento, correndo gli stessi giorni del fortunoso marzo in cui si rompeva una nuova guerra contro un potente impero: due epiche sfide, due imprese di magnanimi tempi, nei quali parve prudenza l'imprudente osare.
Del quale suo efficace concorso si rallegrava e compiaceva il conte di Cavour, che gli scriveva grato profferendosi per aver egli bellamente rappresentato il Piemonte nel Congresso sulla navigazione delle bocche del Danubio; fare pieno assegnamento sulla eletta intelligenza, sulla fede sua nell'avvenire della patria: così il piccolo paese, col concorso di tutti i partiti leali ed onesti, grandi risultati conseguirebbe (Bene).
Al distacco della Savoia, non lo allettarono lusinghe o promesse; rimase fra noi: stette coi tempi. E Italia, madre amorosa, al figlio di educazione e di elezione, all'illustre cittadino largheggiò considerazione, onori, dignità, uffici: tutto quello che aveva in suo potere gli donò.
Divenuto nel 1860 cittadino torinese e senatore, in questa Camera come già nell'altra si mostrò il Menabrea infaticabile: trattò gli ordinamenti militari, le opere pubbliche, la finanza, la politica con parola dotta, abbondante, ascoltata: anche qui fu dei più autorevoli.
Per poco nel 1861 ministro della marina, operò a rafforzare prontamente il naviglio: una potente marina, un esercito numeroso, saldamente ordinato, una forte compagine militare, finché visse, reputò indispensabili alla sicurezza, alla prosperità del nuovo Stato. Comeché il momento fosse di transizione e le costruzioni di ferro e le navi corazzate non peranco da comune consenso accolte, ne accrebbe il numero. La legge per costruire nel golfo della Spezia l'arsenale marittimo, che da presidente dei ministri avrà più tardi la ventura di inaugurare, presentò. Nei trionfi con che l'armata aveva salutato il primo albore del Regno, innestati sulle tradizioni marinaresche d'ogni littorale, cercò le molle per affratellare, trovò il fondamento per amalgamare e fondere insieme elementi diversi per origine, per educazione, per tendenze (Benissimo).
In prosieguo, reggendo per due anni l'azienda dei lavori pubblici, per la quale gli studî tecnici lo avevano di lunga mano singolarmente preparato, procedette a prima giunta sicuro, quale chi sa e può insegnare la via. Tentò di semplificare, operò ad ordinare i congegni amministrativi; intese a migliorare i principali porti, ad estendere la rete ferroviaria; diede impulso vigoroso ad ogni lavoro.
Natura malleabile; nato fatto per smussare, per levigare le asprità; abilissimo nella ricerca dei termini medî che accostano, e nel trovare i compromessi che conciliano gli opposti, adempì con molta intelligenza parecchie missioni. Mi restringo alla trattativa di pace coll'Austria, nella quale scaltrì le velleità che furono più volte al punto di mandarla a vuoto: scartò formole di cessione o di retrocessioni di seconda mano: quanto era da lui con fermezza il prestigio nazionale tutelò. Lo stesso giorno in cui il plebiscito della Venezia intesseva al Re fondatore dell'unità un altro serto d'affetto popolare, ne cingeva pure il capo, per opera dell'abile negoziatore, la corona di ferro dei Re Longobardi: in segno d'altissima soddisfazione Vittorio Emanuele lo sceglieva per primo aiutante di campo, lo insigniva del Gran Collare dell'Annunziata.
Nell'ottobre del 1867, presidente dei ministri, trasse lo Stato da flagrante rischio.
Iniziative impazienti di privati; volontari in armi; il Governo impotente a rattenere, incapace a guidare; l'esercito assottigliato; truppe straniere ritornate a rincalzo dei pontificii; gli animi irritatissimi: tutto pareva congiurasse ai danni dell'unità, dal corruccio d'un principe posta in forse, dalla tribuna d'uno Stato vicino minacciata. L'autorità scaduta restaurò, le sedizioni represse, mantenne l'ordine, la finanza risanguò; in due anni tentò e ritentò la pacificazione delle parti politiche, riunendo le affini nei tre Ministeri cui presiedette. Con la calma rinacque la fiducia in noi stessi; gli stranieri videro, intesero non essere spente, nel giovane organismo le forze di resistenza riproduttrici di vita sana e gagliarda: la nazione riprese il cammino verso il suo fatale compimento.
Che se a lui non fu conceduto l'affrettarlo, non lo indugiò, né lo pregiudicò. La sua politica di aspettazione a nessun diritto rinunciò, di nessuna aspirazione fece getto; anzi, poco prima di lasciare il potere, per non metterne alcuna neppure in forse, mandò a vuoto una trattativa assai inoltrata, perché de' due altri contraenti uno ve ne era che, in certe contingenze per cui l'alleanza si stipulerebbe, non voleva lasciare sgombra la via di Roma.
Ambasciatore a Londra or fanno vent'anni, trasferito a Parigi volgendo il 1882, egli tenne due uffici eminenti con sereno accorgimento. Da lunghi anni aveva osservato i germi, seguito a passo a passo lo svolgersi delle più complicate questioni internazionali; il felice ingegno lo aveva scorto traverso gli involuti protocolli, ad interpretare le negazioni, le distinzioni, a valutare le riserve delle formole diplomatiche: nessuna finezza, nessun spediente, nessun artificio gliene era ignoto. Molti contatti ad altrui preclusi gli agevolavano le fratellanze scientifiche; la cortesia, il carattere conciliante spianavano davanti a lui molti ostacoli; il tatto, i modi indiretti coi quali sapeva insinuarsi nell'animo altrui, volsero spesso, senza parere, a beneficio della carica il prestigio, l'influenza acquistata dalla persona.
Destinato all'ultima residenza in un momento assai delicato, in un posto da qualche tempo senza titolare, si adoperò non inutilmente a mettere da banda acri controversie, a far obliare ricordi irritanti, a migliorare i rapporti di buon vicinato. Son fatti di ieri: la storia esporrà i modi che tenne, documenterà i risultati conseguiti, narrerà i sedici anni nei quali rappresentò l'Italia a Londra ed a Parigi.
Il senatore conte Luigi Menabrea, marchese di Valdora intese alla scienza e colla scienza illustrò sè e la patria; a redimerla usò braccio e mente di soldato; capo del Governo la trasse da pericolosa avventura: egli oratore; egli scrittore; egli fu uomo di saldo e buon consiglio, non meno chiaro nell'armi che nella pace. Amò l'Italia come se vi fosse nato; per sessantatré anni fedelmente, nobilmente la servì.
La serietà, il retto criterio, l'opinare temperato, l'eccellente ingegno, dalla squisita affabilità, dalla dolcezza nativa erano completati ed abbelliti. Rispettoso delle convinzioni sincere e disinteressate non mutò mai in personale dispetto le divergenze d'opinioni. Nessun sussiego; nessuna alterigia: a qualsiasi altezza poggiasse, mai superbo o men cortese; i suoi allievi, i suoi ufficiali d'una volta trattò sempre da amici.
Nella lunga vita testimonio di strepitosi avvenimenti, insieme alla memoria de' fatti sui quali riverberò la potente sua luce intellettuale o di cui fu gran parte, durerà il ricordo di Lui: il nome di Lui che tante gloriose vestigie dietro di sè lascia, trionfò della morte (Benissimo- Vivissime e generali approvazioni).

RICOTTI, ministro della guerra. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RICOTTI, ministro della guerra. Il generale Menabrea fu certamente non solo uno dei più illustri generali, che onorarono il periodo del nostro risorgimento; ma fu pure un distintissimo scienziato e un abile diplomatico. Nella sua lunga carriera rese grandi servigi al Re, al Governo ed al paese.
Nulla saprei aggiungere di meglio ai suoi elogi, che associandomi, a nome del Governo, alla splendida commemorazione fattane dal nostro Presidente (Bene! Bravo!).
[...]
Senatore GARNERI. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
Senatore GARNERI. Signori senatori; le relazioni di servizio avute per lunghi anni nell'arma del Genio col generale Menabrea, il ricordo delle campagne di guerra combattute al suo fianco mi danno animo di pregare il Senato a consentire che alla splendida commemorazione del Presidente, e alle nobili parole dell'onorevole ministro della guerra, dette a nome dell'esercito e del Governo, io aggiunga un cenno della luminosa, incancellabile traccia che questo generale lasciò nell'arma del Genio alla quale appartenne per oltre mezzo secolo. Se la fama del generale Menabrea è grande nel campo teorico delle scienze fisico-matematiche, come attestano le dette memorie registrate negli Atti delle Accademie scientifiche nazionali ed estere, fa ammirabile in lui il tatto pratico, l'abilità tecnica in grado supremo posseduta. Codesta dote s'esplicò in lui, giovane ufficiale del genio nei lavori di fortificazione ordinati dal re Carlo Alberto al forte di Bard, dove ebbe collega il conte Camillo di Cavour, allora ufficiale del genio: emerse questa dote anche più nel progetto di un ospedale militare divisionale che doveva erigersi a Torino, nel quale egli per il primo die' forma alle nuove norme, allora dettate dall'Accademia di Francia, nei riguardi igienici per cedesti edifìci; e queste norme nelle forme da lui escogitate, che lo fecero uscire vincitore del concorso governativo per quella costruzione nel 1844, furono dipoi sempre seguite per la costruzione di tale classe di edifici.
Dobbiamo a lui, come ha notato il nostro Presidente, le fortificazioni per apprestare a difesa la linea della Dora Baltea, destinata a coprire Torino nella campagna del 1859: a lui le fortificazioni di Bologna e Piacenza, di Pavia e Pizzighettone, ordinate dal Governo dittatoriale dell'Emilia nell'inverno 1859-60, per fronteggiare il confine austriaco.
Comandante superiore dell'arma del genio nella campagna 1860-61, egli ideò e diresse i lavori di espugnazione di Ancona, di Capua e quelli dell'assedio di Gaeta.
Il saper adattare al terreno, come ha detto il nostro Presidente, i precetti dell'arte del fortificare, è dote che fu sempre dai grandi maestri di guerra, stimata rarissima, e di merito supremo nell'ingegnere militare.
E codesta dote rifulse nel nostro generale in tutte le sopra ricordate difese di campagna come nelle ricognizioni e negli studi per la difesa dello Stato, quale membro della Commissione all'uopo istituita, e nel tracciare le norme per i piani delle opere di sbarramento nelle Alpi e nei primi progetti di fortificazione di questa nostra Roma.
Presiedette per molti anni il Comitato del genio, e fino al 1876 il Comitato delle armi riunite d'artiglieria e del genio, e in tale ufficio furono sempre ammirati 1'acume delle osservazioni, la sicurezza dei giudizi, la copia e la prontezza dei ripieghi che impressero alle discussioni e alle deliberazioni di quei Corpi tecnici un indirizzo di cui restano traccie [sic] preziose negli atti di quei Consessi.
Tante virtù e tante benemerenze, gli esempi di valor militare e di assiduo e fecondo lavoro, lasciati dal generale Menabrea, rendono imperitura la sua memoria nell'arma del genio, ed io, facendomi eco di tanti altri suoi discepoli dell'Università torinese, dell'Accademia militare e de'commilitoni, depongo come tributo di reverente affetto un fiore sulla tomba dell'illustre trapassato, il cui potente e versatile ingegno ci fa ricordare quei grandi maestri italiani che nel xv e xvi secolo diffusero in tutta l'Europa i principî della nuova architettura militare. (Bene, bravo).
Senatore DI CAMPOREALE. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
Senatore DI CAMPOREALE. Aggiungere parole a quelle bellissime dette dal nostro presidente e da altri colleghi in memoria del generale Menabrea è opera che io non saprei fare. Credo perciò di rendermi interprete del sentimento di tutti i colleghi, pregando il Senato di voler deliberare che, come già altre volte si è fatto per quei benemeriti ed illustri cittadini che in momenti difficili hanno retto le sorti del paese, voglia il Senato deliberare, che un busto marmoreo del generale Menabrea sia collocato nelle sale del Senato accanto a quelli di benemeriti cittadini a cui il Senato ha già tributato tale onore. (Benissimo).
PRESIDENTE. Come il Senato ha udito il signor senatore Pasolini ha proposto che sieno inviate le condoglianze del Senato alla famiglia del senatore Rasponi ed alla vedova del senatore Menabrea.
Ed il senatore Di Camporeale, ha proposto di collocare un busto marmoreo del generale Menabrea nelle sale del Senato.
Chi approva queste proposte è pregato di alzarsi.
(Sono approvate).
La presidenza si farà un dovere di dare sollecita esecuzione alle deliberazioni del Senato.

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 28 maggio 1896.