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MARTINI Federico

10 novembre 1828 - 06 marzo 1894 Nominato il 21 novembre 1892 per la categoria 14 - Gli ufficiali generali di terra e di mare. Tuttavia i maggiori generali e i contrammiragli dovranno avere da cinque anni quel grado in attività provenienza Campania

Commemorazione

 

Atti parlamentari - Commemorazione
Domenico Farini, Presidente

Signori senatori! Nell'ultima tornata era la morte di un forte soldato; oggi è quella d'un marinaio valente che ho il dolore di annunciarvi.
Il senatore Federico Martini, che nacque in Napoli il 10 novembre 1828, vi moriva la notte fra il cinque e sei corrente.
Marinaio per vocazione e per educazione fu per breve nel 1848, colla flotta napoletana, al soccorso di Venezia. In un ventennio salendo lentamente tutti i gradi, era giunto a quello di capitano di fregata a mezzo il 1860, quando comandante dell'Ettore Fieramosca, nei fatti d'arme del Garigliano e di Mola di Gaeta, nell'assedio di questa piazza e di Messina si distinse tanto da meritare la croce di ufficiale dell'ordine militare di Savoia e la medaglia d'argento al valore militare.
Capitano di vascello nel 1864, ebbe nell'ultima guerra d'indipendenza il comando dell'Affondatore.E non fu per lui, se in mezzo ai gloriosi lutti ed alle vergogne di Lissa, lo sprone della sua corazzata, su cui si faceva tanto assegnamento, non mostrò che pur su quella nave italiana vi eran petti di ferro! (Bene).
Contr'ammiraglio dopo trent'anni, viceammiraglio al compiere quasi dei quaranta di servizio, o fosse del Consiglio superiore di marina, o direttore d'arsenale, o comandante di dipartimento, di stazione navale, di squadra; in ogni grado, in ogni ufficio si addimostrò abile marinaio, sagace amministratore, buon soldato. Il tratto, il contegno militare unito a gentilezza squisita accrebbero pregio alle molte doti onde fu ricco.
Era in servizio ausiliario dal novembre 1888. Nominato senatore quattr'anni dopo, di rado poté intervenire alle nostre sedute; ma le sue apparizioni quantunque corte furono bastevoli a farlo apprezzare anche da noi, i quali oggi ne lamentiamo l'acerba perdita. (Vive approvazioni).
CERRUTI C. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
CERRUTI C. Signori senatori: una sventura imposta da decreti superni mi impone l'obbligo, come marino, di domandare la parola per commemorare le benemerenze e le virtù di un ufficiale generale nostro collega, il cui nome sarà sempre ricordato e ripetuto dalla mangeria intera, con i sensi del più deferente affetto.
L'ammiraglio commendatore Federico Martini, come avete sentito dall'onorevole nostro Presidente, moriva ieri nella sua abitazione a Napoli di Santa Teresella a Chiaia.
Io ho conosciuto il guardia marina Federico Martini ancora militante sotto la bandiera del sovrano delle Due Sicilie.
Egli veniva ben di sovente, quando il poteva, sulle navi sarde, sorrideva ai nostri famigliari discorsi sull'avvenire dell'Italia, si associava alle nostre speranze, alla nostra fede in merito ai destini del paese, e si congedava sempre con la parola" speriamo".
Nel 1860 a Napoli, in settembre, fu tra i primi che venne a stringermi la mano, ricordandomi la parola" speriamo" con la quale, ci eravamo separati sedici anni addietro sulla rada di Cagliari: lui sull'Intrepido,appartenente alla marina napoletana, ed io sulla Staffetta,appartenente all'Armata sarda.
I marini, come sapete, a qualsiasi nazione appartengono, sempre ed ovunque, si considerano, si salutano come fratelli; ma quella eloquente stretta di mano, nel dicembre 1860 del Martini, mi assicurava che egli era affettuoso fratello, collega sincero; era italiano. Egli era lieto di poter contemplare ormai, senza teme e senza ansie, quella bandiera che porta la croce di Savoia, circondata dai colori nazionali, che appunto in quell'istante sì alzava sulla fregata il San Michele,sulla quale io ero imbarcato. Con commoventi parole mi affidava le sue speranze, la sua fede in quel labaro che ormai univa tanti milioni di cittadini italiani nell'amore del solo e vero loro Re, all'affetto del paese oramai eretto a nazione, e mi diceva: "d'ora innanzi non più calpesto, non più deriso".
Ho conosciuto Martini in ogni ramo della carriera, stette con me come ufficiale, come comandante, come ammiraglio.
Ho potuto apprezzarlo come ufficiale esperto, ardito, sereno, tranquillo nei momenti difficili, vigile, calmo, volenteroso di studio nei giorni normali.
Modello di dignità militare, cortese, gentile con tutti, non dimenticò mai quei sentimenti di disciplina che, se doverosi verso i superiori, in ogni grado il militare deve del pari esigere, e sempre, dai suoi dipendenti.
Mentre dagli incarichi, avanzamenti, destinazioni di fiducia traeva certezza della stima dei suoi superiori, era del pari legittimamente orgoglioso di tante prove di affettuoso rispetto, subordinazione e disciplina dai subalterni.
Il Martini comandante del Ruggieroe poi del Fieramosca,nei fatti al Garigliano, a Gaeta, a Messina, guadagnava la croce di cavaliere di Savoia ed una medaglia al valor militare.
Ebbe poi il comando della divisione al Plata, due volte il comando della squadra permanente, il comando di tutti i dipartimenti marittimi e molte altre destinazioni di fiducia e confidenza al Ministero della marina. Ma nella sua lunga ed onorata carriera, ebbe momenti difficili e ben dolorosi che non poté mai cancellare dall'animo suo, incisi, scolpiti sul di lui cuore in quanto scesivi troppo amari.
Nella giornata del 20 luglio 1866, per certo il Martini col suo coraggio avrebbe confermato il nome che il Governo aveva imposto alla potente nave, di suo comando se quel capo supremo di autorità in un solenne momento non gli avesse interdetto, non gli avesse paralizzato l'uso della sua volontà di azione.
La nazione, è ben vero, avrebbe sempre a deplorare e rimpiangere altre sciagure; ma queste sciagure potrebbonsi in oggi illustrare con ricordi di parziale ma sempre brillante vittoria.
Il Martini tante volta si è confidato con degli amici, dicendo essere stato quello il maggior dolore provato nella sua vita.
L'ammiraglio Martini, senatore del Regno, lascia grande eredità di affetti, di amicizie e di ricordi, ma lascia maggiore eredità di benemerenze nazionali ai due figli, oramai avanzati nella carriera delle armi, nella regia marina l'uno, nell'artiglieria l'altro i quali, dal paterno esempio avendo l'onore per guida, già seguono con fiducia le virtuose traccie del padre, ansiosi del giorno in cui la loro devozione alla patria possa esser messa alla prova.
L'ammiraglio Martini sarà lungamente rimpianto da tutti coloro che conobbero in lui un sì provetto maestro, un sì degno capo (Bene).
MORIN, ministro della marina.Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MORIN, ministro della marina.Signori senatori! È triste l'occasione che per la prima volta mi offre l'alto onore di prendere la parola dinnanzi a voi, ed è occasione particolarmente dolorosa per me, che all'uomo egregio di cui deploriamo la perdita immatura, ero stretto da vincoli di sincera stima e di affettuosa devozione; vincoli contratti nell'esercizio della nostra professione, sul mare, in quella vita di bordo, che sembra avere la proprietà di rendere più acuiti tutti i sentimenti umani.
Ho avuto l'invidiabile fortuna di servire per un tempo considerevole sotto gli ordini dell'ammiraglio Martini.
La mesta parola che mi sale spontanea dal cuore alle labbra, mentre esprime il dovere del membro del Governo che si associa riverente ad un lutto del Senato, forse più ancora ritrae il profondo dolore dell'antico subalterno che vede sparire per sempre il superiore ch'egli aveva pregiato ed amato (Bene).
E l'amore era un sentimento che in servizio, il povero ammiraglio Martini, costantemente ispirava.
Egli imponeva in modo irresistibile l'affezione e il desiderio dell'ubbidienza pronta, volonterosa, efficace; tanto erano grandi in lui, nello esercizio dell'autorità, la discrezione, il tatto, la cortesia dei modi.
Era uno di quei superiori, che quasi portavano a dire: quando si comanda così, il regolamento di disciplina si può pure bruciare perché è superfluo.
Io non ripeterò quello che è già stato egregiamente detto, e dall'ottimo signor Presidente, e dal senatore Cerruti, circa la camera militare dell'ammiraglio Martini. Sopra un punto saliente di questa carriera mi piace però d'insistere.
L'ammiraglio Martini, comandante dell'Affondatorenell'infausta giornata di Lissa, eseguendo un'opportuna manovra, stava per colare a fondo il vascello nemico, il Kaiser,quando l'ammiraglio Persano intervenne, e ordinò che quella manovra non si facesse.
Chi sa? Se, in quella circostanza, Federico Martini fosse stato lasciato libero di agire come intendeva, forse l'esito della battaglia sarebbe stato assai diverso di quello la cui memoria per molti anni ancora strazierà il cuore di ogni marinaio italiano (Bene, benissimo).
La marina, che contava l'ammiraglio Martini nei ruoli di servizio ausiliario, ha fatto colla sua morte una gran perdita. Ma, se l'uomo egregio non è più, qualche cosa di lui rimarrà nel corpo militare che egli ha onorato; resterà la memoria edificante delle sue virtù, che non sarà tanto presto cancellata, resterà l'eredità preziosa del suo esempio, che verrà raccolta e non andrà perduta (Bene, benissimo, vive approvazioni).
COLOCCI. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
COLOCCI. Non potrei nulla aggiungere di mio a quanto è stato detto in omaggio alla memoria dell'ammiraglio Martini. Però le parole pronunciate dall'onorevolissimo nostro Presidente mi hanno suscitato una voce dal fondo del cuore. Tutte le volte che io nella mia nativa provincia visito il porto di Ancona sento il desiderio di trovarvi una memoria la quale ricordi i nomi di quelli che partendo da quel porto andarono a fare sacrificio di se medesimi nell'infausta giornata di Lissa. Un tronco di colonna, un qualche cosa, che ricordasse i nomi di quel poveri morti sarebbe un omaggio, un atto di giustizia reso verso di loro.
Abbiamo profuso i monumenti a quelli i quali si sono battuti in quei campi, nei quali la vittoria raccolse le sue ali sopra le nostre bandiere; ma sarebbe, io ripeto, un atto di giustizia mettere un modestissimo monumento che ricordasse soltanto i nomi di coloro, che in quel giorno fecero sacrifizio di vita alla patria.
Poiché quando si combatte per la patria e per la libertà colui che cade è glorioso al pari del vincitore (Benissimo, bravo).

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 7 marzo 1894.