senato.it | archivio storico

MARCONI Guglielmo

25 aprile 1874 - 20 luglio 1937 Nominato il 30 dicembre 1914 per la categoria 20 - Coloro che con servizi o meriti eminenti avranno illustrata la Patria provenienza Emilia-Romagna

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Luigi Federzoni, Presidente

Siano rivolti il nostro primo pensiero, il nostro primo reverente e affettuoso saluto alla memoria immortale di Colui che maggiormente onorava, con il suo nome e con la sua assidua presenza, la nostra Assemblea: Guglielmo Marconi. La scomparsa del nostro grande Camerata, se ha privato la scienza di uno dei suoi sommi cultori e la patria di uno dei suoi figli più gloriosi e più devoti, e tolto alla civiltà universale un incomparabile benefattore, è stata ed è sentita con più accorata mestizia fra noi che conoscevamo da vicino e profondamente amavamo anche quelle doti mirabili di dirittura, di semplicità, di cordialità, di entusiasmo, per le quali al genio creativo si armonizzava in lui un così generoso e vivace senso umano.
Egli era stato chiamato a far parte del Senato nel 1914, appena aveva raggiunto il limite minimo di età; ed era entrato in quest'Aula come il meno anziano dei senatori, con quel suo sorridente aspetto giovanile che pareva diminuirgli ancora il peso degli anni; ma l'immenso prestigio di una fama mondiale lo accompagnava già da lungo tempo. Non si era mai vista la vittoria di un quasi adolescente sulle forze misteriose della natura. Non infrequenti nell'opera della creazione artistica, le divinazioni precoci del genio sono rarissime nel campo della ricerca scientifica; ma forse il grande inventore è vicino all'artista per le sue essenziali virtù di immaginazione e di intuito. Così, nell'età in cui altri ancora apprende o si addestra a una qualsiasi attività, Guglielmo Marconi era balzato a una celebrità sfolgorante, con un ritrovato che era destinato a portare un nuovo, importantissimo, decisivo perfezionamento nelle comunicazioni fra gli uomini, e successivamente a introdurre fin anche un nuovo costume, un nuovo caratteristico elemento nella vita sociale e intellettuale del mondo contemporaneo.
Dalle istintive e rudimentali esperienze dell'autodidatta ventenne, nella villa paterna di Pontecchio, era nata la radiotelegrafia. Un anno dopo, l'invenzione era brevettata e resa nota, fra la meraviglia e la diffidenza dell'Europa e dell'America. Il nome di Marconi era salito in un giorno, vertiginosamente, alla più alta e vasta popolarità; ma il trionfo dell'invenzione non era stato facile né rapido. Dapprima, per parte di quanti essa poteva minacciare nei loro interessi costituiti, si era obiettato con molta insistenza che quella novità non avrebbe mai recato frutti pratici notevoli, per l'impossibilità di un'applicazione a lunghe distanze, data la curvatura della superficie terrestre; poi, superata nei risultati raggiunti tale obiezione, si era tentato negare o almeno diminuire il merito di Marconi, tacendo di lui e volutamente esaltando, in suo confronto, altri ricercatori che si erano fermati molto prima della meta a cui egli era pervenuto, o che si erano messi tardi e pedissequamente per la via che egli aveva aperta. Marconi, dal canto suo, non era disceso a nessuna rivendicazione polemica: aveva lasciato parlare i fatti. La verità poteva aspettare; e, con essa, la giovinezza. Soltanto più tardi egli fu costretto a adire i tribunali francesi, inglesi e americani per fronteggiare gli attacchi di impudenti plagiari; e ogni sentenza, emanata da giudici che diedero torto a connazionali e ragione a uno straniero, ebbe il valore di un definitivo riconoscimento. Ma egli aveva preferito continuare a lavorare. Invero ciò che doveva poi, contro tutte le denigrazioni di interessati avversari o di minori rivali, consacrare luminosamente l'originalità dell'invenzione e, in pari tempo, l'elevatissimo rango spirituale di quell'italiano, fu proprio lo sforzo incessante, da lui compiuto durante quarant'anni, al vertice della rinomanza e degli onori, ma sempre con la stessa silenziosa e paziente tenacità degli esordi, per sorpassare se stesso, per verificare ancora e sviluppare meravigliosamente e ampliare in sempre più varie e inattese realizzazioni l'opera propria. Là si affermò l'autentica grandezza dell'uomo: in quella sua inesauribile capacità di innovare e di rinnovarsi.
Conosco poche rivelazioni di vita interiore commoventi quanto la pacata confessione con cui, dopo tanti trionfi, Marconi annunziava tranquillamente nell'aprile 1916 a un suo collaboratore il proposito di mutare strada: "Io mi sono ingannato, e tutti gli altri mi hanno seguito. Io sarò tuttavia il primo a ritornare sui miei passi, abbandonando le onde lunghe per le onde corte, sulle quali si fonderà l'avvenire delle radiocomunicazioni. Ho una vecchia idea, che voglio riprendere in esame. Voglio ritornare all'impiego dei riflettori, ma non di riflettori metallici, come quelli da me usati a Pontecchio nel 1896. Si dovranno impiegare riflettori basati su un nuovo principio.. Con la stessa costante volontà di non fermarsi mai ai risultati acquisiti, ricominciando continuamente da capo a rivedere e rielaborare il già fatto, egli creò nel 1926 le stazioni a fascio, per eliminare gli inconvenienti delle trasmissioni circolari irradiantisi in tutte le direzioni; e poi dedicò i suoi studi all'utilizzazione delle onde cortissime; e infine, da ultimo, aveva concentrato le sue indagini sul problema delle micro-onde. Così Guglielmo Marconi fu, ogni giorno, pari a se stesso, non rassegnandosi in nessun momento a vivere sul proprio passato; e il suo nome fu sempre una bandiera di avanguardia nella marcia progressiva della scienza.
E fu altresì una fiera e splendente bandiera di italianità. In un tempo nel quale l'amore della patria sembrava agli scettici della cattedra e della tribuna un culto abbandonato, egli mostrò come l'uomo di genio, lungi dal trovare nella propria superiorità un pretesto per esimersi dall'obbedienza alla Madre comune, potesse essere prima di tutto un cittadino esemplare. Guglielmo Marconi lo provò con l'offrire all'Italia l'uso gratuito e illimitato dei propri brevetti, e più ancora con l'accorrere a servirla in ciascuno dei grandi cimenti che essa dovette affrontare in questo ultimo quarto di secolo, tappe del suo ascendente cammino, dall'occupazione della Libia alla guerra mondiale, all'impresa fiumana, alla conquista dell'Impero. In ognuno di quei momenti epici della nostra nuova storia, Marconi fu presente, italiano fra italiani, soldato fra soldati; presente e operante, col suo miracoloso intelletto e con la sua inestinguibile fede. Aver dovuto, agli inizi della sua azione di inventore, cercare altrove i mezzi occorrenti non aveva intiepidito quella fede. In paesi esteri, disposti a tutto prodigargli, egli aveva resistito strenuamente a ogni sorta di lusinghe per non rinunziare alla propria nazionalità. Del resto bisogna riconoscere che anche dall'immatura Italia di allora non tardarono a giungere al giovanissimo Marconi considerevoli aiuti morali e materiali. Non gli venne mai meno, sopra tutto, il patrocinio cordiale e preveggente del suo Re. Fra l'altro si dovette a un'iniziativa personale di Sua Maestà il provvedimento che mise a disposizione di Marconi un'importante nave da guerra, la Carlo Alberto, per la famosa e fruttuosa campagna in Atlantico. Parimenti resterà vanto indiscutibile della nostra gloriosa Marina avere creduto fin da principio in Marconi e avere associato l'opera di lui alle sue fortune.
Uomo di scienza ma anche di vita; di vita militante e indirizzata a un ideale per cui mettesse conto di vivere, di pensare, di lavorare, Guglielmo Marconi intese la sua nomina a senatore come la chiamata all'adempimento di un nuovo dovere verso la patria; la partecipazione all'attività politica non fu, per lui, se non un altro modo di servire l'Italia. Lo documentano i numerosi, nobilissimi discorsi da lui pronunziati in quest'Aula durante la guerra mondiale: tutti impregnati di austero realismo, ma insieme animati dall'ardente anelito della vittoria. Egli non fu inscritto in nessun partito, finché avendo riconosciuto nel fascismo lo spirito stesso della patria, non esitò a dargli il suo nome e il suo cuore. Soltanto Benito Mussolini meritava di avere fra i propri gregari Guglielmo Marconi.
Qui noi assistemmo, con ineffabile sentimento di orgoglio e di entusiasmo, il 16 maggio dello scorso anno, alla suprema affermazione di quel grande italiano e grande fascista, allorché Marconi, relatore della legge istitutiva dell'Impero, disse, più che all'Assemblea, al mondo le parole degne dell'avvenimento che suggellava fulgidamente una nuova epopea dell'eroismo d'Italia, condotto dal duce alla vittoria sulla barbarie e sulle congiunte forze di una degenerante civiltà. Nessun monito poteva essere più autorevole né più efficace presso tutti coloro che avevano tentato ogni obliqua via per strappare alla nazione il frutto del suo diritto e del suo sacrificio. Quel giorno Guglielmo Marconi fu, dinnanzi alle Potenze avverse, meglio che il poderoso difensore dell'Italia fascista, il giudice inesorabile della loro pervicace e inutile iniquità.
Con quell'atto memorabile volle la Provvidenza che Guglielmo Marconi conchiudesse la sua partecipazione alla vita pubblica del paese. Ma noi mestamente rimpiangiamo la scomparsa di colui che Mussolini chiamò "mago degli spazi e dominatore dell'etere"; e con noi la rimpiangono tutto il popolo italiano e tutta l'umanità civile. Mi trovavo in America, quando arrivò inaspettata, sulle onde domate e guidate dal suo genio, la luttuosa notizia della morte; e ho veduto io medesimo il senso di costernazione profonda delle popolazioni, che sentivano di dovergli tanto e che lo amavano per il bene che egli aveva fatto. Nella notte, dalle sponde della baia di Rio, tutti gli occhi si volgevano alla statua gigantesca del Cristo, bianca quasi irreale apparizione sulla vetta del Corcovado, nella luce che una scintilla prodigiosa, sorvolando per l'atmosfera l'Atlantico, aveva accesa la prima volta, a un cenno di Marconi. Quante vite aveva egli sottratto alle furie del mare, da quel primo drammatico salvataggio del Republic nel 1909? Su tutti gli oceani e in tutte le terre, gli animi si curvarono al transito del Grande, assunto ormai alla gloria che non conosce tramonti.
Per noi averlo perduto è sconsolato dolore; averlo avuto commilitone e camerata è onore che ci impone di inspirarci indefettibilmente al suo altissimo esempio.

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 9 dicembre 1937.