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MAMIANI Terenzio

18 settembre 1799 - 21 maggio 1885 Nominato il 13 marzo 1864 per la categoria 05 - I ministri segretari di Stato provenienza Marche

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Giacomo Durando, Presidente

Onorevoli colleghi, la grave sciagura che pur troppo si prevedeva e ci teneva alcun tempo trepidanti, ci ha oggi crudelmente colpiti; il conte Terenzio Mamiani non è più: nel pomeriggio di ieri si spegneva quella preziosa esistenza.
Egli apparteneva a quella schiera di valenti di cui pur troppo non rimane più quasi vestigio. La lunga sua carriera, giacché egli era nato nell'ultimo anno del secolo passato, si trova associata a tutte le più nobili imprese dell'epopea nazionale.
Fra i capi dell'insurrezione di Bologna voi lo trovate fino dal 1831.
Domata questa, esulò in Francia. Nei memorabili eventi del 1848 fece ritorno in Italia e nel Ministero romano di quell'anno gli fu affidato il portafoglio dell'interno, che abbandonò dopo provati inutili i suoi conati per far trionfare le idee liberali, e trasse a Torino. Ritornato in Roma l'anno successivo dopo la fuga di Pio IX a Gaeta, vi resse il Ministero degli esteri. Proclamata la Repubblica, il Mamiani riparò novellamente in Piemonte, dove, ottenuta la cittadinanza, nella V legislatura venne accolto nel parlamento subalpino, e di poi nel 1860 fu il primo dei ministri per l'Istruzione pubblica dopo la proclamazione del Regno italiano. Dal 1864 faceva parte di quest'alta Assemblea. Nei due rami del Parlamento si udiva spesso la sua voce dotta, vibrata ed eloquente.
Le rare doti del suo intelletto gli valsero incarichi e missioni importanti e difficili che disimpegnò sempre con gran plauso.
La letteratura e la scienza perdono in lui un sommo maestro, un pensatore profondo. I molteplici scritti lascieranno traccia luminosa della grande operosità e vasta dottrina dell'autore.
Dirvi particolarmente delle sue opere, dei suoi meriti e delle sue doti, che gli valsero di essere accolto dalle più celebrate accademia nazionali e straniere, sarebbe troppo ardua impresa. Lasciamo il còmpito di registrarli degnamente alla storia a cui appartiene oramai il nome illustre e venerato di Terenzio Mamiani, che fu una delle più nobili figure del risorgimento italiano.
Inchiniamoci riverenti davanti alla tomba che si schiude. (Applausi).
Ho pure ricevuto numerosi telegrammi di corpi morali, di università e di città esprimenti le più sentite condoglianze.
COPPINO, ministro della pubblica istruzione.Domando la parola.
PRESIDENTE. Il signor ministro della pubblica istruzione Ha facoltà di parlare.
COPPINO, ministro dell'istruzione pubblica.Signori senatori. Il Governo ha nulla da aggiungere alla commemorazione che della vita dei conte Terenzio Mamiani ha fatto l'illustre Presidente di questo consesso. Vi sono esistenze, cui basta soltanto ricordare, perché nell'animo di ciascheduno sorga subito, non solo il sentimento, ma il dovere ancora della ammirazione e della riconoscenza. La vita del conte Mamiani è di queste. Per quanto è lungo questo secolo, per quante vicende hanno segnato i diversi anni di questo secolo stesso, il nome suo si trova congiunto ai più grandi e più nobili tentativi che la patria abbia fatto per la propria ricostituzione politica e morale. Quest'uomo rimarrà nella memoria dei posteri degno di essere tenuto come modello alla imitazione di tutta le generazioni, imperocché nessuna vita si può dire che sia stata così una pell'armonia delle più alte, delle più varie, delle più nobili aspirazioni. (Bene! Benissimo!).
Sorto in mezzo ai grandi eventi che segnarono il principio di questo secolo, ed ora esaltarono gli animi con la fede del successo, ora li prostrarono colle delusioni dei rovesci, egli senti l'una cosa e l'altra riverberare nella ben temprata anima sua, coltivò l'arte coll'elevato sentimento dell'ufficio suo, con quella profonda inalterata coscienza dell'italianità per cui la letteratura civile della prima parte del secolo nostro aggiunse ai generosi uomini stimoli acuti, intesi a rivendicare la dignità della patria, ed ispirò nei cuori il disdegno e l'impazienza della servitù e quei tenaci propositi che noi vedemmo coronati da ben meritato successo. Egli aspirò con tutto l'animo suo a quel più alto ideale a cui ansiosi si rivolgono non solo gl'italiani, ma gli uomini tutti; cioè al vero ed al bello.
Sincera ammirazione delle eterne forme della bellezza, naturale culto della grazia e della gentilezza, libero, disinteressato studio del vero, consapevolezza risoluta di quanto è dovuto alla patria, di quanto all'umanità, avvedimento sagace e coraggioso intorno alle grandi questioni che agitano o l'Italia, o il secolo nostro, tutto, egli accolse, ed in ogni parte lasciò orma duratura dell'animo e dell'ingegno.
Il poeta dalle forme greche, dall'idea umana, dal sentimento italiano, il giorno che la patria accennò a voler riscuotersi, fu pronto, ed il poeta ed il pensatore diventò un uomo d'azione; ed allorquando la fortuna tradì le generose aspirazioni ed i magnanimi conati, onorò con le sue opere e colla religione della speranza questa patria medesima, e memorabile si aggiunse alla schiera di quei valorosi i quali, o per potenza d'ingegno, o per salda virtù di cuore, crebbero fuori d'Italia quelle simpatie che, nei giorni dei nostri tentativi di risorgimento, fecero popolare la causa italiana.. (Bene, benissimo!)..e furono tali che la posterità a quei magnanimi spiri ti riconoscerà in tanta parte dovuto il rinnovamento nostro. (Bene!).
Ed egli, come aveva cooperato arditamente ai primi conati, così corse allorché l'Italia in un felicissimo giorno tutta si levò coll'ardita speranza di poter bastare a sé stessa; poeta e filosofo, proscritto e reduce tenne il potere con quella temperanza che è carattere di una vera sapienza e di una convinzione maturata e inalterabile, e lo lasciò con quella dignità che non ha rimpianti per sé; e tenendolo e lasciandolo, affermò quella solidità della fede sua, che era quasi la presaga del prospero successo che per quella fede doveva finalmente sorridere all'Italia. (Bene!).
E così noi l'abbiamo veduto dappoi giustamente esultare dello vittorie del paese, egli che nei suoi versi ispirati aveva sentito d'onde e come poteva venire la salute italiana.
Invero, quando si considera questa vita lunga, serena, sicura di sé, è dovere il riconoscere come la festiva, arguta, operosa tranquillità del vegliardo era nutrita dalla coscienza onesta dell'uomo che non era venuto mai meno a tutto quello che di più nobile, di più grande e di più giusto possa essere pensato, sentito, operato da un cittadino. (Benissimo!).
E quest'uomo è scomparso! Eppure io sento che il dolore della sua dipartita in noi e nel popolo italiano è ancor minore della ammirazione che questa grande vita ci desta. Stupendo uomo, il quale passa con la stessa facilità, e con la stessa potenza, dalle meditazioni del filosofo, alle ispirazioni del poeta; stupendo uomo il quale, uscendo dalle meditazioni e venendo al campo dell'azione, mantiene intatti i suoi grandi ideali e, quanto è da lui, col fatto e con la parola li incarna nella vita del pensiero e della operosità italiana; stupendo uomo il quale accompagna la storia di questo secolo, e se in principio egli può essere in certa maniera l'eccitatore della battaglia, fatta la pace non riposa, ma scopre e addita i grandi problemi i quali s'impongono alla patria sua politicamente rinnovata.
Ed egli tratta queste questioni con quella in dipendenza dell'animo, con quella indipendenza dello intelletto, con cui prima aveva sfidato i pericoli che sotto i passi dei generosi sorgevano per opera delle signorie, e con cui dopo sfida quegli altri pericoli che possono venire dalle intolleranze scientifiche o religiose. (Bene, bravo!).
Uguale a sé stesso, pari ai pericoli ed ai problemi che la società italiana ha dinanzi a sé, egli vi fu ricordato negli ultimi mesi della sua vita, quando forse già l'anima sua sentiva il futuro. Ebbene su quella soglia che non si rivarca mai, egli si travaglia ancora, nelle più ardenti questioni, lo sciogliere le quali sarà all'Italia nostra onore e vantaggio, della sua civiltà, vantaggio della civiltà umana.
Sicché, dinanzi a questo carattere, non è tanto nostro dovere il piangere, il destino caduco degli uomini più illustri, quanto opportuno il ricordare, che costoro entrano di pieno diritto nella schiera degl'immortali nei quali le nazioni non trovano solo il loro titolo di gloria, ma gli esempi ai quali si debbono ispirare.
Ed è conforto, che in questa dolorosa fuga de' nostri migliori, ai quali noi dobbiamo lo stato attuale, possiamo discorrere di essi come di coloro dei quali già la posterità si occupa; imperocché la gloria è assicurata ai medesimi per quello che hanno fatto, pel grande retaggio che hanno lasciato.
Quindi il Governo, nel dolore di ricordare queste dipartite, chiede che il Senato gli permetta di poter confortare sé e la nazione ricordando che questi cittadini illustri, dopo tutto, sono la grande spiegazione del presente stato dell'Italia libera ed una! (Bravo, benissimo!).
PRESIDENTE. Mi giungono anche in questo momento altri telegrammi di condoglianza.
FINALI. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha la parola.
FINALI. Con grande commozione ho ascoltato, e seguito attentamente il degno elogio di Terenzio Mamiani, fatto dall'illustre ministro della pubblica istruzione.
Il Senato deve essere grato al Governo di questa alta dimostrazione d'onore resa all'uomo che per l'età, pei servigi e le opere, per le eminenti qualità dell'ingegno e dell'animo era il più illustre e venerato di tutti gli italiani viventi, e che sopratutti si poteva chiamare onore e lume di questo consesso.
Aggiungere cosa alcuna a lodi così eloquenti è molto difficile; come difficilissimo è parlare di Terenzio Mamiani per la altezza del soggetto, che poeta, filosofo, patriota ed uomo di Stato si presenta alla ammirazione in vari aspetti. A parlarne degnamente converrebbe possedere l'eloquio facondo e puro, la frase elegante e gentile, l'elevatezza dei concetti, la squisitezza.
dei sentimenti che egli metteva in ogni suo discorso, in ogni suo scritto, ed anche nel privato conversare.
Con Terenzio Mamiani sparisce un'età, una scuola politica e letteraria, grandemente benemerita della nuova Italia.
Egli era uomo dai grandi ideali e, come ha detto l'illustre ministro Coppino, a questi ideali.
Egli ha professato un culto immortale; nella sua tarda età i sentimenti di Dio, di patria,
della umanità, di tutto ciò che nobilita lo spirito umano erano così vivi, così caldi come negli anni della giovinezza. Iprimi suoi versi furono scritti in età giovanissima: da quelli sino alle pagine sulla quali cadde la stanca mano del morente egli non fallì mai al proposito di eccitare ed educare gli alti e nobili affetti, di conciliare idea religiosa colle perfezioni civili, di sollevare la mente sulla materia; accompagnando ogni manifestazione letteraria o scientifica del pensiero coll'amore ardente ed inconsumabile, come egli diceva, dell'Italia.
Io mi ricordo che fino dalla fanciullezza ho inteso parlare nella mia provincia nativa di Terenzio Mamiani, e posso dire che è il primo nome al quale mi sono inchinato riverente: dopo il 1849, quando più infieriva nelle provincie romane la duplice dominazione, un'allusione fatta a lui in un'Accademia letteraria pubblicamente, fu a me principio di persecuzione politica.
Egli da assai giovane era noto per opere di ingegno lodate; e fra i due anni d'infelici conati politici italiani, il 1821 e il 1831, già in quel forte paese subalpino, il quale era destinato alla egemonia redentrice d'Italia, aveva avuto ufficio d'insegnante nel primo istituto di educazione militare.
Nel 1831 egli, poco più che trentenne, fu chiamato a far parte del Governo delle provincie unite che aveva sede a Bologna. Chi pigii in mano i documenti di quell'epoca sfortunata, ma in cui si trova il germe di grandi idee e di forti propositi, chi pigli in mano gli atti di quell'epoca, come ho fatto io, vedrà manifesto quanta fosse la forza persuasiva dell'idea e del sentimento in Terenzio Mamiani.
Havvi un giorno nel quale si vede che gli atti del Governo di Bologna sprigionandosi dalla angusta cerchia nella quale si avvolgevano, si animano di uno spirito d'italianità, che rimase il programma dello avvenire. Or bene, il manifestarsi di questo divino spirito d'italianità negli atti del Governo delle Romagne a Bologna, coincide appunto col giorno in cui Terenzio Mamiani, dalla nativa Pesaro, era stato chiamato a far parte di quel Governo.
Egli poi mostrò sempre una forza, una fermezza di carattere, che difficilmente, chi lo vedeva per la prima volta, poteva sospettare in una persona così gracile e delicata, e distinta per modi squisitamente urbani e cortesi.
Egli solo ed un altro nostro illustre collega, da pochi anni perduto, Carlo Pepoli, non ebbero fede in una capitolazione fatta in nome del Governo pontificio in Ancona. Essi soltanto, anche per un fiero senso di dignità, non vollero firmare; e ne avevano ben ragione, perché fu tradita la fede di quella capitolazione.
Fatto prigioniero e condotto a Venezia a bordo di un legno da guerra, ivi pure si manifesta la grande anima di Terenzio Mamiani. Chiuso nell'oscuro ponte del vascello austriaco, egli medita inni sublimi in forma greca, chiamando le idee religiose in aiuto alle politiche, e sogna e spera un'Italia libera, forte ed una. (Benissimo!).
Nell'esilio in Francia egli diede opera agli studi filosofici e scrisse quel libro del Rinnovamento della filosofia in Italia,che, secondo il mio parere, è uno dei libri suoi destinati a non perire. In quel libro egli si propose un alto intento; quello cioè di creare o rinnovare un concetto scientifico nazionale, onde rifare, per così dire, la mente e l'animo degli italiani, affinché rifatti nel concetto e nel sentimento fossero capaci di crearsi una patria.
Voci:Bene, bravo.
Anche più tardi il Mamiani diede esempio di questi suoi nobili propositi, di questa sua fermezza. Ogni tanto dal di là dell'Alpi venivano i suoi inni, i quali miravano a suscitare, ad educare ogni nobile e virtuoso sentimento. Ed un carme o idillio eroico che egli intitolò: Ausonio,fu fatto segno ad alte lodi nei libri del grande filosofo subalpino, il quale anch'egli, a servizio dell'Italia, aveva messo una eloquenza meravigliosa, creato un sistema di filosofia (Benissimo).
Era quell'epoca veramente eroica, in cui il pensiero, la parola, l'opera, tutta la vitalità degli uomini degni del nome di italiani, degni d'una patria, convergevano in tutte le guise a creare le forze morali che dovevano essere redentrici della Italia nel campo dell'azione. (Bravo, benissimo).
Or bene, venne il 1846; si suscitò una speranza che illuse molti, anzi possiamo dire che trascinò quasi tutti in mezzo ad un grido di fede e di osanna.
Nel campo delle lettere vi fu la solitaria protesta di un poeta toscano; nel campo politico forse solo Terenzio Mamiani, ricusò di dichiararsi in colpa (sia pure nella forma la più temperata e la più mite) o chieder venia di ciò che egli aveva fatto per la patria e par la libertà, e di promettere di rinunziare ai suoi propositi, in vista dell'atto di amnistia che aveva procacciato al pontefice universale acclamazione.
Peraltro in quei momenti, rivalicò le Alpi e si fermò in Piemonte; rivalicate le Alpi, secondo che egli diceva, era finito l'esilio. Ma non rimise il piede nella provincia nativa, se non quando poté venire libero e franco da ogni impegno e da ogni viltà. Egli, spirito eminentemente cavalleresco, trovava non confacente a sé, ciò che molti rispettabilissimi ed illustri uomini pur ritenevano non disdicevole.
Dato uno statuto costituzionale, egli fu eletto al Governo nel tempo in cui ferveva la guerra per l'indipendenza, per rassicurare i popoli dopo la fatale enciclica del 29 aprile 1848.
Abbandonò il potere, come avete udito dalla bocca del nostro onorevolissimo Presidente, perché era impossibile superare gli attriti e le difficoltà che gli venivano dall'alto. Non poté sopportare che si tradisse l'Italia all'ombra dell'intemerato suo nome.
Fu calunniato in quel tempo, fu detto ch'egli non avesse lealmente ottemperato ai desiderî del suo principe.
Egli soleva portare seco il documento della falsità di quelle accuse. Lo aveva miracolosamente salvato, quando nel 1849, restaurato il governo pontificio, dovette salpare per alti lidi. È il famoso discorso di apertura della Camera dei deputati che gli fu rimproverato quasi come un colpo di Stato fatto da lui, ignaro il pontefice, od un atto di ribellione. Invece il discorso era postillato in più luoghi dalla mano dello stesso pontefice, e un grande dolore dei due ultimi anni della vita di Terenzio Mamiani è stato il furto di quel documento. È ignota la mano; ma può sospettarsi a chi ed a che abbia potuto servire.
Riparando nel Piemonte, l'abbandono forzato del paese natio egli non lo riguardò come nuovo esilio; i migliori e più insigni uomini fecero a lui accoglienze oneste e liete, ed egli ne rese il contraccambio fondando a Genova l'Accademia di filosofia italiana, sempre col proposito di fare italiana perfino la scienza.
Eletto deputato al Parlamento, partecipò alacremente all'opera del conte di Cavour, e dedicò il suo ingegno, la sua eloquenza e il nome in aiuto dei più alti ed utili propositi del grande ministro; nell'avvicinarsi del 1859 Terenzio Mamiani, con giovanile vivacità fu prodigo di consigli e di conforti a tutti quelli che concorrevano all'opera della libertà d'Italia. Ricordo i giovani volontari di Romagna: presidente del Comitato che li accoglieva in Torino, con che parole, con che affetto, li salutava! Le sue sante parole, come li commuovevano ed esaltavano!
Quello che fu dappoi, voi tutti, onorevoli colleghi, ben lo sapete.
Da venticinque anni il suo nome onorava l'albo dei senatori. Ogni volta che egli ha parlato in questo consesso fu per nobili cause, fu per nobili e grandi idee. (Bene).
Egli ricopri altissimi uffici: fu ministro di Stato, ministro plenipotenziario, vicepresidente del Senato, presidente dei Lincei, presidente al Consiglio superiore della pubblica istruzione, e nessuno ha mai detto che Mamiani sia stato inferiore ad alcuno di questi varî ed elevatissimi ufficî; e se un onore gli mancò, l'opinione pubblica domanda ancora perché, se quello era onore maggiore, egli non l'abbia avuto.
Terenzio Mamiani sparisce, ma, come ben disse l'onorevole Coppino, ed era opportuno che fosse appunto il ministro della pubblica istruzione a dirlo, l'esempio suo rimane immortale; ed i grandi esempî sono fecondi per l'avvenire.
Oggi l'Italia piange una gloria perduta; e, strana e dolorosa coincidenza, un' altra delle nazioni latine piange anch'essa oggi stesso in Vittor Hugo la perdita di un grand'uomo, unodei più grandi poeti dei secolo, che, come Mamiani, fu sempre devoto alle grandi idee: Dio,
patria, umanità; e che anche esso chiude, si può dire, al di là delle Alpi, il ciclo di una scuola letteraria gloriosa.
Io non aggiungerò altro. Sono parole incomposte e non meditate quelle che io ho dette; poiché sebbène la fine imminente di Terenzio Mamiani si potesse da molti giorni prevedere, pure vi ha qualche cosa nell'animo che si ribella a credere a certe perdite prima che siano avvenute. Chi non ha sperato nella vita vicino ai letto di morte della propria madre?
La gioventù italiana, anche per le dimostrazioni di onore che il Senato a ciò convocato e il Governo rendono a Terenzio Mamiani, imparerà ad apprezzare la grandezza dell'esempio ch'egli ha dato e nelle lettere, e nella filosofia e nella politica: e sebbene oggi allo sparire di questi grandi astri non se ne veggano apparire altri nel cielo italiano, poiché i grandi uomini del secolo videro realizzarsi speranze magnanime, giovi a noi sperare che l'Italia libera ed una, saprà dare al mondo grandezze non minori di quello che poté dare l'Italia serva e divisa (Bene! Bene!).
TABARRINI. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha la parola.
TABARRINI. Mi consenta il Senato che, come collega del compianto senatore Mamiani nell'Accademia della Crusca, aggiunga ai molti titoli che ne fanno deplorare la perdita, quello di forbito ed elegante scrittore. Sicuramente i meriti del Mamiani come filosofo e come politico, avanzano di gran lunga i meriti letterari; ma quando si pensi al mal governo che si fa oggi in Italia della lingua nazionale, che è gran parte della vita morale d'un popolo, mi pare che non sia senza ragione il deplorare che col Mamiani sia mancato un esemplare di bello scrivere e di gusto finissimo. Il Mamiani insegnò a tutti come si possano toccare le altezze più ardue dei pensiero moderno mantenendo la proprietà e l'eleganza della forma schiettamente italiana: nei modo stesso che aveva insegnato come si possa dar libero corso alle più ardite speculazioni senza impugnare quelle verità supreme che non sono invenzioni della scienza, ma postulati necessari della coscienza del genere umano.
Voci.Benissimo! Bravo!
PRESIDENTE. Nessuno domanda più la parola?
TABARRINI. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha la parola.
TABARRINI. Propongo al Senato che, come fu già fatto per altri illustri colleghi che abbiamo perduto, il Senato prenda il lutto per 15 giorni,e vesta di gramaglie il banco della Presidenza. (Si! Si!).
PRESIDENTE. Non credo che occorra di mettere ai voti questa proposta.
Voci,No! No!
CENCELLI. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha la parola.
CENCELLI. Io mi permetto di proporre al Senato che per un uomo tanto compianto e da noi e dall'Italia tutta, e di cui le più nobili lodi hanno echeggiato in quest'Aula, il Senato deliberi pel primo di collocare il busto in marmo nelle sale o nella galleria.
PRESIDENTE. Il Senato ha inteso la proposta del senatore Cencelli.
Se nessun altro domanda la parola la pongo ai voti.
Coloro che approvano la proposta del senatore Cancelli, che cioè sia collocato un busto nelle sale del Senato alla memoria del nostro compianto collega Terenzio Mamiani, voglia alzarsi.
(È approvata).
La Presidenza si farà carico di eseguire i! voto del Senato.

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 22 maggio 1885.