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LONGO Giacomo

09 gennaio 1818 - 30 luglio 1906 Nominato il 28 febbraio 1876 per la categoria 14 - Gli ufficiali generali di terra e di mare. Tuttavia i maggiori generali e i contrammiragli dovranno avere da cinque anni quel grado in attività provenienza Campania

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Tancredi Canonico, Presidente

Signori senatori! [...]
Il senatore Giacomo Longo, nato a Napoli il 3 gennaio 1818, uscì a 18 anni dal collegio militare della Nunziatella ufficiale d'artiglieria.
Nel 1847 fu carcerato sotto l'accusa di favorire il movimento rivoluzionario. Lo si privò per tre giorni di ogni cibo, sperando - ma invano - di estorcergli una confessione. Il Tribunale militare dichiarò non esser luogo a procedere per inesistenza di reato: ciò malgrado, la polizia continuò a trattenerlo in carcere. Ma, non potendo conciliare i suoi doveri di soldato del Borbone con la coscienza di patriota, rassegnò le sue dimissioni.
Scoppiata la rivoluzione del 12 gennaio 1848, riuscì a fuggire da Messina sotto il fuoco dei moschetti borbonici, in una barca che portollo a Palermo.
Accolto quivi con entusiasmo e nominato membro del Governo provvisorio pel dipartimento della guerra, con l'instancabile sua attività contribuì efficacemente a cacciare le truppe del Re di Napoli; e poi si volse a Messina.
S'impadronì dei cannoni che armavano i forti avanzati: ma, pur non avendo né forze né mezzi sufficienti per prendere la cittadella, costrinse il nemico a rinchiudervisi. In seguito all'armistizio del 9 marzo, tornò a Palermo e comandò l'artiglieria. Ma per poco. Dopo il 15 maggio passò lo Stretto con una colonna di volontari: si concertò coi capi dell'insurrezione calabrese per operare una diversione alle forze nemiche, mentre pendeva sul suo capo una taglia di 2000 ducati, ed a gran fatica raggiunse al campo di Cosenza il generale Ribotti. Ma, sconfitta presso Castrovillari, la colonna siciliana retrocesse a Catanzaro: e, mentre stava per tornare a Messina, il piroscafo regio, lo Stromboli, catturò le imbarcazioni.
Giacomo Longo fu preso, sottoposto a processo sotto l'accusa di diserzione al nemico: e benché strenuamente difeso da Carlo Poerio, condannato alla fucilazione fra tre ore. Solo pochi istanti prima che si eseguisse la sentenza, giunse il decreto reale che commutava la pena capitale in quella dei lavori forzati a vita.
Escluso lui solo dall'amnistia, egli portò per dodici anni le catene del galeotto nel bagno di Gaeta: respinse l'offertagli libertà, perché non volle piegarsi a riconoscere illegittima la decadenza della dinastia borbonica proclamata dal Parlamento siciliano; però venne più tardi imbarcato per Marsiglia. Ma, giunto a Genova, riuscì a fuggire a Torino, donde nel luglio 1860 corse a Palermo per raggiungervi Garibaldi. Nominato colà ministro della guerra, dopo appena due mesi volò a combattere sul continente.
Gravemente ferito a Santa Maria di Capua, dopo aver fugato - alla testa di due battaglioni - la cavalleria nemica, il suo valore gli meritò le insegne dell'ordine militare di Savoia.
Nell'esercito nazionale, ove fu ammesso col grado di maggior generale, salì ben presto a quello di tenente generale: fu presidente del Comitato d'artiglieria e genio, ed incaricato della direzione superiore degli studi per le nuove fortificazioni dello Stato; finché cessò dal servizio attivo nel 1892.
Fu deputato del 4° collegio di Napoli, ed entrò nella Camera vitalizia il 28 febbraio 1876, dove lavorò attivamente finché le forze glielo permisero: modestissimo, equanime, di modi signorilmente eletti, ed amabile con tutti.
Da più anni egli era costretto in casa dalla paralisi delle gambe: pur non cessava di tenersi sempre al corrente della vita pubblica, del movimento scientifico, e sopratutto dal leggere i prediletti suoi libri di arte militare.
Durante tutta la vita serbò intemerata la nobile integrità del suo elevato carattere, la fede inconcussa nell'avvenire della patria, malgrado le trepidanze e le ansie per le difficoltà e i pericoli del presente. Chi conosceva la sua vita e i suoi dolori, e lo vedeva così dolce, sereno e modesto, non poteva a meno di sclamare, con una lagrima: “Ecco i veri italiani!”.
Si estinse a Roma il 30 luglio 1906, nel 89° suo anno. Noi perdemmo in lui un altro dei non pochi benemeriti figli d'Italia che, con l'opera assidua e travagliosa del senno e della mano, prestata a procurarne il risorgimento, onorano altamente il Senato.
A te, Giacomo Longo, il reverente saluto e l'affettuoso rimpianto dei tuoi colleghi, condiviso da quanti cuori in Italia sanno apprezzare il vero valore, l'abnegazione operosa o modesta, i più duri sacrifici virilmente sostenuti per una nobile idea, il carattere senza macchia e senza paura! (Approvazioni). [...]
TITTONI, ministro degli affari esteri. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
TITTONI, ministro degli affari esteri. Rinnovando all'illustre Presidente l'espressione di dolorosa simpatia per l'immensa sventura che l'ha colpito, io mi associo a nome del Governo alle nobili parole che egli ha pronunciato per commemorare i senatori Chinaglia, Serafini, Longo, Arrigossi, Fusco, Cantoni, Frisari e Di San Giuseppe.
La memoria di questi uomini egregi e dei grandi servizi che essi hanno reso al paese, vivrà lungamente nell'animo nostro (Approvazioni).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole ministro della guerra.
VIGANÒ, ministro della guerra. Acconsentite, o signori, che dopo le nobili parole di commemorazione del generale Longo, pronunciate dal nostro Presidente, io ricordi due fatti, i quali hanno indotto nell'animo mio un profondo sentimento di ammirazione per questo eroe del patrio risorgimento.
La prima volta che io vidi il generale Longo fu alla battaglia del Volturno, al mattino, presto. Poche ore dopo corse fra noi, giovanetti volontari combattenti, la voce che il Longo era stato gravemente ferito, mentre stringendo in pugno la nostra santa bandiera animava all'attacco la schiera che egli comandava.
Più tardi si seppe che al suo valore aveva reso fraterno e solenne omaggio Garibaldi, poiché incontrato il Longo, mentre lo trasportavano privo di sensi all'ambulanza, scese da cavallo per baciarlo in fronte.
Qualche anno più tardi, quando io entrai, tenente di artiglieria nell'esercito, mi capito di avere per superiore il generale Longo: e, da quel tempo, mi sono sempre rimaste impresse nel cuore la grande calma che traspariva dal quell'anima forte e sapiente; la fermezza del suo carattere, e soprattutto, la sua immensa modestia.
Ricordo ancora che quante volte gli si parlava del suo martirio politico, egli cercava sempre di interrompere il suo ammiratore con queste espressioni: "No, non ho fatto che il mio dovere; voi e qualunque altro patriota avreste fatto lo stesso".
Vi ringrazio, o signori, di avermi concesso di esporre questi ricordi personali e di avere così dato mezzo di rendere in quest'Aula un doveroso tributo alla memoria del mio venerato maestro. (Vive approvazioni). [...]
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il senatore Vischi.
VISCHI. Anche oggi possiamo dire che il lutto del Senato è lutto della patria. Gli uomini eminenti, che commemoriamo, ebbero tanta parte nel risorgimento italiano o tante altre benemerenze da poter dire che la loro dipartita fu sentita e sarà sempre deplorata, come da noi, da tutta l'Italia nostra.
Ogni italiano non poteva non rimpiangere la perdita del sommo patriota Longo. [...]
Ed è per lui [Frisari], come per tutti gli altri, che proporrei fosse inviata alle famiglie derelitte ed ai paesi che ebbero l'alto onore di dar l'espressione di condoglianza da parte del Senato. (Bene).
PRESIDENTE. La Presidenza ha già così provveduto prevenendo il desiderio dell'onorevole Vischi.
TODARO. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TODARO. Anch'io mi associo alle nobili parole con le quali l'onorevole nostro Presidente ha voluto commemorare i colleghi che abbiamo perduti, ma debbo ringraziarlo per la commemorazione che ha fatto, con tanto sentimento di affetto, dell'illustre defunto Giacomo Longo, che fu uno degli eroi dell'epopea nazionale ed al quale Messina ebbe il vanto e la gloria di aver dato i natali.
Ringrazio parimenti l'onorevole ministro degli esperi delle nobili parole pronunziate per Giacomo Longo, e soprattutto l'onorevole ministro della guerra, che volle portare a nostra conoscenza dei fatti, i quali fanno rifulgere sempre più le virtù preclare che adornarono l'eroismo e il patriottismo di quello spirito gentile.
Ne vado orgoglioso ed altero, e come messinese e come italiano.
Prego che siano nuovamente mandate condoglianze da parte del Senato alla desolata vedova e famiglia ed all'illustre e patriottica città di Messina. (Approvazioni).
PRESIDENTE. Se il Senato non fa opposizione la proposta del senatore Todaro s'intenda approvata.

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 27 novembre 1906.