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LINATI Filippo

09 gennaio 1816 - 17 settembre 1895 Nominato il 18 marzo 1860 per la categoria 21 - Le persone che da tre anni pagano tremila lire d'imposizione diretta in ragione dei loro beni o della loro industria provenienza Estero

Commemorazione

 

Domenico Farini, Presidente
Signori senatori!
La mesta parola deve rammentare i colleghi che perdemmo durante la sospensione delle sedute. [...]
Da Claudio Linati di Parma, ufficiale di cavalleria negli eserciti del primo Napoleone, a Lützen ed a Lipsia segnalatosi, poi carbonaro, condannato ed esule; per la libertà combattente in Ispagna e di là pure bandito, nacque a Barcellona il 9 gennaio 1816 il conte Filippo Linati di Gaiano. La vita avventurosa del padre, che accesa fantasia e cuore caldo facevano sempre vago di nuove ed alte imprese; che, valoroso al pari nel trattare penna, spada e pennello, era pronto a gettarsi allo sbaraglio non appena un barlume di speranza apparisse od in Italia od in Ispagna; che immatura fine rapiva a Tampico, fu cagione che il giovanetto, orfano si può dire fino dall'infanzia, rimanesse confidato alle cure della madre e dell'avo. Il quale, pur esso di liberi ed alteri sensi e di dottrina fornito, presentate nel 1805 le chiavi della città sua, come presidente degli Anziani, al francese imperatore, aveva poi rappresentato il dipartimento del Taro al Corpo Legislativo e nel 1831 presiedette il Governo provvisorio parmense.
Da tale uomo educato a severi studi ed allevato al bene; da questi esempi ed ammaestramenti famigliari, fu l'animo del giovane indirizzato a desiderio di libertà, ne fu formata la coscienza di cittadino. Al sopravvenire del 1848, designato dal casato patriottico, dal nome di studioso e colto, di prosatore e verseggiatore purgato, mosse il conte Filippo Linati i primi passi nella vita pubblica fra gli anziani e notabili del Consiglio comunale e nella Commissione sopra gli ospizi civili.
Scritti di maggior lena sulle condizioni dello Stato parmense, sul sistema rappresentativo, sulle pubbliche scuole, sull'istinto umano, per tacere d'altri, lo levarono in riputazione, sì che nel 1857 era scritto fra i titolari della classe di scienze morali, storiche e filologiche della Reale Accademia delle scienze di Torino, presso la quale, morendo, istituì un premio cospicuo per il miglior lavoro sperimentale sull'ipnotismo.
Nel 1859, dal governatore Pallieri eletto podestà, recò a Napoleone III l'espressione della volontà popolare che a nessun patto soffrirebbe il restauro dei Borboni, riportandone confortevoli parole. Tre collegi, eleggendolo deputato all'Assemblea parmense, significarono la popolarità che lo proseguiva. Vi rappresentò quello di Colorno, non senza contrasto, non senza aver prima affermato sull'onore che il voto d'obbedienza, quale cavaliere professo dell'ordine gerosolimitano, non ne inceppava l'azione politica.
In quell'Assemblea esempio di miracolosa concordia, frequentemente dissentì da unanimi risoluzioni, raccomandando altre forme per conseguire un istesso scopo, l'annessione.
Entrato in Senato non appena questa effettuata il 18 marzo 1860, sul principio assai spesso discorse, sovratutto nelle controversie attinenti alle relazioni fra Chiesa e Stato. Della pubblica istruzione in ogni tempo occupatosi, ne parlò pure in questa Camera e ne riscrisse sia quale provveditore agli studi della provincia natia, illustrandone nel 1861 le antiche e nuove istituzioni scolastiche; sia dibattendo le condizioni fatte da queste ai maestri municipali; sia oppugnando la proposta di affidarla alle regioni; concetto, in sua sentenza, pericoloso, perché o il clero presto l'avrebbe tutta nelle mani, o cadrebbe in quelle d'insegnanti incapaci; dannoso per giunta, come tentazione alla federazione. Ma poiché la capitale fu trasferita a Firenze, lui, come già della cessione di Nizza e Savoia, aspro oppugnatore, la sua presenza in Senato si fece rara ed ancora più rari divennero i discorsi. Anzi questi si ridussero a combattere con insolita foga il trasporto della capitale a Roma, dove sempre meno intervenne e non parlò se non quando gli parvero offese le ragioni della libertà, manomessi i diritti della Chiesa.
Vecchio e fedele soldato di libertà (come egli si qualificò), sia nelle assemblee, sia dettando di politica, di storia, di filosofia, di fisiologia, di mitologia, di fisica, d'elettricità, di magnetismo non cedette al fascino del successo: professò a viso aperto quello che vero sembravagli, stimando che il fedele e lungo servizio gli consentisse l'ardito opinare, gli assicurasse indulgenza.
Natura gli era stata matrigna dal dì natale, privandolo quasi del lume degli occhi; fallace sorriso di felicità, di gloria, brevi gioie lo allietarono; si crucciò che gli fosse negato di servire più e meglio la patria. Il che non gli tolse di consacrarle, fin presso all'ora estrema, la libera penna; invocando a salvezza dei fondamenti medesimi del vivere sociale, dotti ed indotti, esortando tutti di qualsiasi opinione e credenza a difendere la famiglia; ultimo palladio della civile comunanza. Coglievalo la morte alle ore otto e mezzo del giorno 17 settembre in Parma. Morte dolorosa ai concittadini fra i quali fu altrettanto benefico quanto chiaro nelle lettere, nelle scienze, nella politica; dolorosa a noi di cui, quinto in ordine di nomina, il defunto era collega anziano, spettabile. (Benissimo).

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 21 novembre 1895.