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HORTIS Attilio

13 maggio 1850 - 23 febbraio 1926 Nominato il 24 febbraio 1919 per la categoria 20 - Coloro che con servizi o meriti eminenti avranno illustrata la Patria provenienza Friuli-Venezia Giulia

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Tommaso Tittoni, Presidente

Onorevoli senatori,
colleghi carissimi abbiamo avuto il dolore di perdere durante l'intervallo dei lavori.
Da Trieste nobilissima una ferale notizia ha il 23 febbraio percosso il cuore di tutti gli italiani: Attilio Hortis non era più.
Al lutto della città di san Giusto, che ancora non sa persuadersi dell'amarissima perdita, risponde l'accorato dolore di tutta la nazione: poiché una grande anima di patriota si è spenta.
Il 13 maggio 1850 era egli nato in Trieste: dal padre Arrigo, valente avvocato e giureconsulto, capo del partito nazionale, e dalla madre, aveva avuto un'educazione severa e attinto un indomito amore all'Italia. Precoce di ingegno, dotato di prodigiosa memoria e di straordinario fervore per lo studio, acquistò ancor fanciullo una vasta coltura scientifica e classica e si dedicò con profonda passione, pur tra mille ostacoli, allo studio della lingua e della letteratura nostre, soprattutto quando, istituito nel 1863 dal Comune di Trieste il primo ginnasio italiano, poté egli frequentarlo, avendovi l'insegnamento d'illustri maestri e acquistando straordinaria purezza di lingua. A sedici anni dovè seguire il padre, bandito da Trieste a causa del suo inviso patriottismo, ed a Padova si iscrisse alla Facoltà di legge e insieme a quella di lettere, conseguendo poi a 21 anni la laurea in entrambe. Ottenne anche all'Università di Graz la laurea in legge per poter esercitare l'avvocatura in Trieste, ma preferì invece dedicarsi tutto agli studi letterari e storici, che prediligeva, e a tal fine vinse a 23 anni il concorso al posto di Bibliotecario civico di Trieste: carica che tenne poi, può dirsi, per tutta la vita, arricchendo quello istituto di preziose raccolte, fra cui la sezione Petrarchesca, la più completa che esista, e riordinandolo sì da farne uno dei migliori di Europa.
La sua mirabile erudizione e insieme la sua grande sagacia di critica e di ricerca, cominciarono subito a dare i loro frutti: e i suoi studi numerosi e importantissimi sul Petrarca ebbero ben presto lode dai nostri più insigni critici, quali il D'Ancona e il Carducci, cui parve mirabile e commovente il fatto che un così profondo studioso della nostra storia letteraria e un così puro scrittore fosse della città adriatica che gemeva sotto il giogo straniero. e insieme agli studi sul Petrarca uscivano i suoi scritti mirabili sul Boccaccio, che gli valsero d'esser chiamato a 29 anni a tenere il discorso per l'inaugurazione del monumento in Certaldo: in quell'anno stesso pubblicava il suo maggior lavoro, cioè gli studi sulle opere latine del Boccaccio. Il suo riconosciuto valore e l'alta fama procacciatasi gli avrebbero aperto ben facilmente l'adito a più alti voli: ma non volle e rifiutò anzi lusinghiere offerte pur di non muoversi dalla sua città, per seguirne la vita, per mantenerne alta la fede, per tutelarne e proclamarne i diritti nazionali, minacciati e conculcati sempre più aspramente. Egli quindi divenne presto il simbolo, il rappresentante ideale della sua città e delle sue aspirazioni non pure verso l'Austria, ma di fronte alla cultura e alla politica europea, e nel 1897, nonostante la sorda lotta delle autorità austriache, egli fu eletto deputato della quinta curia, cioè del popolo minuto, di Trieste al Parlamento di Vienna. E vi andò ad assolvere un penoso, ma santo compito, a sostenere, sia pur tra le irrisioni e le ostilità, le ragioni della sua città, e a lottarvi strenuamente in favore dell'irredentismo, sia col lavoro silenzioso e tenace di organizzazione, sia con discorsi memorabili, come quelli per l'Università italiana in Trieste, contro la slavizzazione della Venezia Giulia e per l'autonomia del trentino.
Lasciata dopo dieci anni la deputazione e tornato ai suoi prediletti studi, non cessò per questo dall'adoprarsi per la causa nazionale, fino a recarsi in missione segreta a Parigi e a Londra per portare il grido di dolore e di speranza della sua Trieste. E quest'opera di rappresentanza ideale, ei la compì anche attraverso la letteratura: poiché la sua città lo inviava, ambasciatore spirituale, ovunque fosse da celebrare uno degli eroi dello spirito patrio o delle patrie lettere: com'era già stato alle feste centenarie di Boccaccio a Certaldo, fu a quelle di Petrarca in Arezzo, di Alfieri ad Asti, di Enea Silvio Piccolomini a Pienza: ei rappresentò Trieste ai funerali di Revere a Roma e di Carducci a Bologna e recò l'ampolla votiva di Trieste alla tomba di Dante a Ravenna. Nei suoi numerosissimi viaggi all'estero per ricerche letterarie o per ragioni politiche, come nei lavori delle numerose accademie italiane e straniere cui apparteneva, non obliò mai il suo costante ideale, non lasciò sfuggirsi occasione propizia per dire alte le ragioni storiche ed etniche dell'irredentismo. Nei lunghi, spasmodici anni di attesa dolorosa, non venne mai meno in lui la fede che un giorno Trieste sarebbe tornata italiana e tale fede ei dichiarava a illustri stranieri anche avversi alla causa nazionale, come Mommsen, o a uomini di governo stranieri e italiani. E intanto lavorava indefessamente a raccogliere il materiale per una storia completa di Trieste, che doveva documentarne l'indiscutibile italianità e mostrarne il lungo travaglio.
Scoppiata la grande guerra, Hortis venne in Italia e perorò ardentemente l'intervento, a coronare l'opera del risorgimento; e durante la guerra nostra predicò sempre la concordia e incitò alla speranza, anche nei momenti più tragici. Ed ebbe il premio ambito e meritato colla vittoria che doveva distruggere l'Impero austro-ungarico e liberare la sua Trieste.
Il 24 febbraio 1919, per la 20ª categoria, veniva nominato senatore e nel dicembre di quell'anno, relatore della Commissione per l'indirizzo di risposta al discorso della Corona, espresse con mirabili parole l'esultanza per la vittoria e per la redenzione delle Venezia Giulia e tridentina.
Dall'11 dicembre 1919, per tutta la 25ª legislatura, fu nostro Vicepresidente e tale carica tenne con grande dignità e zelo. Poi la malferma salute lo costrinse a restare sempre più a lungo lontano da noi.
Attilio Hortis fu veramente il sacerdote del dovere; in tutti gli atti della sua vita, come in tutte le sue manifestazioni intellettuali, non ammise mai alcuna transazione colla sua coscienza o colla verità, ricercata sempre collo scrupolo più grande. egli era veramente una figura di gentiluomo degna d'altri tempi, di una modestia che toccava l'umiltà, d'animo così generoso e benevolo verso tutti da non potere avere nemici, da conquistarsi anzi l'amore e la venerazione di chiunque avesse la fortuna di avvicinarlo.
Non solo Trieste, ma l'Italia tutta lo piange, come cittadino insigne, come ardente patriota, come letterato principe, qualità elette ch'ei tutte converse sempre ad un unico fine, ad esaltare di fronte allo straniero il nome, la dignità, il diritto della stirpe italiana. Sia il suo nome ricordato e venerato nei secoli! Il Senato unanime invia un mestissimo saluto alla sua memoria e porge alla desolata sorella sua e alla città di Trieste le sue più commosse condoglianze. (Approvazioni).
FEDELE, ministro della pubblica istruzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FEDELE, ministro della pubblica istruzione.Alle parole di rimpianto che l'illustre Presidente di questa Assemblea ha pronunziato per la morte dei senatori [...], il Governo si associa. Essi nei vari campo ove si svolse la loro opera, hanno bene meritato della patria che innanzi alle oro tombe s'inchina memore e grata. Ma più alta commozione han destato le parole che il Presidente dell'Assemblea ha detto di Attilio Hortis, rinnovando nell'animo nostro quegli stessi sentimenti che provammo, quando si sparse la notizia della sua morte. Si era spenta una luce che per mezzo secolo aveva brillato, illuminando, negli anni del servaggio e d'incerta coscienza nazionale, le anime pavide od irretite da interessi materiali. Quando la realtà pareva opporsi insuperabilmente ad ideali politici che sembravano folli, Attilio Hortis aveva contro tutto e contro tutti affermato sempre la sua fede con una passione e con una sicurezza che si comunicava agli altri, e li confortava anche nei momenti più oscuri e più tristi della nostra vita nazionale.
Egli perciò, come è stato ben detto, era un simbolo. Il grido di viva Hortis, lanciato nelle vie di Trieste nelle memorande elezioni politiche del 1901, quando l'Austria con un connubio sloveno - socialista, al quale guardavano, consentendo e sorridendo a Roma alcuni socialisti nostri, s'illudeva d'infrangere la camarilla di Trieste,come la chiamavano a Vienna, quel grido era una sfida all'Austria, era la voce di Trieste che, inviando deputato al Parlamento di Vienna Attilio Hortis, affermava come in un solenne plebiscito, la sua volontà ferma e incrollabile di non acuetarsi mai, a niun patto, al dominio straniero. È noto come a Vienna in una magnifica orazione, difendendo il diritto di Trieste ad avere un suo istituto superiore, esaltasse con dottrina ed eloquenza la civiltà italiana di fronte alla civiltà del mondo. La voce di Attilio Hortis si perdette fra i lazzi e le risate ironiche dei parlamentari austriaci; ma si ripercosse in Italia, riaccendendo la fiamma degli entusiasmi e ridestando il desiderio della riscossa. Ad Innsbruck intanto - giova ricordarlo specialmente ora - la plebaglia veniva aizzata contro gli studenti italiani che erano malmenati, percossi, chiusi in prigione, minacciati di essere linciati.
La fiamma della patria era alimentata nell'Hortis dalla conoscenza che pochi avevano come lui, della nostra tradizione storica e letteraria. L'erudizione del resto era un'arma politica per la lotta che il Comune sosteneva contro il Governo straniero. Era la tradizione municipale e classica insieme che dagli avanzi romani del San Giusto sospingevano l'Hortis a ricercare le memorie di Trieste, a raccoglierne con amorosa pazienza i documenti ed insieme ad illustrare le opere latine dei grandi scrittori del trecento. I suoi studi sulle opere latine del Boccaccio, pubblicati nel 1879, restano pur dopo cinquant'anni di nuove ricerche, fondamentali per la storia della cultura del medio evo. E sono anche degni di essere ricordati, fra i numerosi suoi lavori, gli scritti inediti di Francesco Petrarca, con i quali celebrò il centenario della morte del poeta, con grande onore della sua città natale.
Trieste era la sua passione: e dovunque egli, come ben lo definì un membro illustre di questa Assemblea, ideale ambasciatore della sua città, faceva sentire ascoltata, nonostante i divieti della polizia la sua nobile voce.
Quando l'Hortis guidò Ravenna la deputazione adriatica dell'altra sponda che recava al sepolcro di Dante la lampada votiva, egli aveva suggerito vi si incidesse per motto: “oleum lucet, fovet ignem”. Queste parole sembrano riassumere la sua vita ed il compito che egli si propose adempì con incomparabile ardore e purezza di animo: Egli che nella primavera del 1915 era stato uno degli ultimi a lasciar Trieste, prima sottoscrivendo l'indirizzi al Re che dal nipote di Vittorio Emanuele II invocava l'adempimento del voto, vide il suo sogno effettuato; e quando dopo la liberazione egli rientrò in Trieste, i suoi concittadini lo accolsero con entusiasmo, poiché sapevano quanto si dovesse all'opera sua. Ancora una volta, mentre dopo la guerra pareva stranamente oscurarsi la coscienza nazionale, Attilio Hortis dette esempio di fede agli italiani, salutando nel movimento redentore del fascismo le nuove fortune d'Italia.
Grande e nobile figura la sua che rimarrà scolpita nella memoria di quanti intendono la vita come una missione che si deve compiere col lavoro e col sacrifizio, per la patria, e che, anche oltre la tomba, proseguirà con gli scritti e con l'esempio che non si disperde, ad educare le nuove generazioni ai più alti e generosi sentimenti.

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 9 marzo 1926.