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GUI Antonio

20 febbraio 1843 - 16 febbraio 1919 Nominato il 17 marzo 1912 per la categoria 08 - I primi presidenti e presidenti del Magistrato di cassazione e della Camera dei conti provenienza Lazio

Commemorazione

 

Atti parlamentari - Commemorazioni
Adeodato Bonasi, Presidente

Onorevoli colleghi.
È fatale che ogni ripresa delle nostre adunanze abbia ad essere funestata dall'annunzio della perdita di qualcuno dei nostri cari colleghi. Questa volta la sorte inesorabile è stata ancor più crudele, avendoci rapito nel giro di poche settimane sei benemeriti senatori, che tutti, a titoli diversi, altamente onoravano la nostra assemblea.
[...]
Altra perdita recentissima, non meno grave, che accomuna di nuovo nel dolore il Senato e la magistratura, è quella del compianto senatore Antonio Gui, che sino a pochi mesi or sono tenne con altissimo onore la Presidenza della sezione penale della Suprema Corte di Cassazione di Roma.
Recatosi da pochi giorni in Terracina presso amici fidati per cercare in quell'aria mite e nelle queta solitudine del luogo deserto un ristoro al malessere indefinito da cui si sentiva preso, quasi appena giuntovi, colto da un fiero attacco cardiaco, ne rimaneva vittima nel mattino del 16 dello scorso mese.
La triste notizia fu portata in Senato come una voce vaga, e dai molti colleghi qui raccolti, che quasi alla vigilia lo avevano veduto di aspetto florido, sorridente in viso, coll'espressione bonaria che tanta simpatia irradiava attorno a sè, non si voleva prestarvi fede; ma purtroppo la conferma ufficiale giunse subito a troncare ogni speranza, e le manifestazioni di dolore furono grandi tra noi, e generale la commozione anche in città, ove egli era universalmente stimato ed amato, come uno dei suoi figli prediletti che più la onoravano.
Il Gui era nato in Roma il 20 febbraio 1843 da distinta famiglia romana, che non eccelleva per censo, ma, ciò che più monta, per tradizionale operosità, alta cultura, e proverbiale probità di vita, di cui egli non si mostrò degenere.
Dal padre, che fu uno dei più rinomati avvocati concistoriali, ereditò l'inclinazione allo studio del diritto, e, laureatosi in giurisprudenza, tostò si dedicò alla professione forense, nella quale, ancora giovanissimo, in breve acquistò così egregia fama che il Governo pontificio lo volle al proprio servizio, e con atto sovrano del gennaio 1868 venne chiamato a far parte dell'avvocatura dei poveri presso i tribunali criminali, che era uno degli uffici allora più ambiti.
Divenuta Roma capitale del regno italiano, il Gui, noto non soltanto per il suo non comune valore, ma altresì per i suoi sentimenti liberali nei quali era stato educato in famiglia in tempi esosi alla libertà, dal Governo d'Italia venne nel 1871 nominato prima reggente sostituto procuratore del re in Viterbo, e poco dopo promosso effettivo, e l'anno appresso applicato in tale qualità al tribunale di Roma. Da questo momento la sua ascensione ai gradi superiori, passando dalla magistratura requirente alla giudicante, si fa sempre più rapida in ragione diretta della crescente autorità che via via andava acquistandosi il suo nome in tutti i luoghi di destinazione e in tutti i più elevati uffici, riconoscendosi universalmente che nel Gui l'alta sapienza dell'eminente giureconsulto andava mirabilmente congiunta all'austerità e integrità del magistrato, ovunque ammirato e profondamente rispettato.
Allorchè poi, giunto ormai all'apice della carriera, fu richiamato in Roma a prendere posto nel supremo areopago giudiziario, fu una vera festa per la magistratura, per il Foro e per i suoi concittadini, i quali nella di lui persona videro un omaggio reso alla loro città, culla e maestra del diritto; come, all'inverso, comune fu il rammarico, e commoventi le dimostrazioni, quando più tardi dovè lasciare l'altissima funzione per la legge fatale dei limiti di età.
La bella rinomanza acquistatasi dal Gui per le sue virtù d'animo e d'intelletto, invogliò gli elettori di Anagni di averlo loro rappresentante nel Parlamento e per due legislature gli confermarono con entusiasmo il mandato. Ma prima ancora che la seconda giungesse al suo termine, volle restituire il mandato ai suoi elettori, non sentendosi, egli che aveva così alto ed austero il culto della giustizia, vocazione per la politica parlamentare, che dell'opportunismo fa spesso una legge.
Nel 1912 fu nominato senatore, e nella nostra assemblea la parte che egli vi prese, si può dire con verità, non essere stata che una continuazione sino all'ultimo della sua opera ed attività di magistrato.
Nella Commissione permanente d'istruzione dell'Alta Corte di giustizia ha lasciato tale ricordo che il suo nome vi sarà sempre rammentato con reverenza pari alla gratitudine che gli è dovuta per l'alacrità e serenità con cui esercitò le delicate funzioni.
Alla memoria dunque dell'insigne venerato collega, del magistrato modello, dell'uomo supremamente giusto, vada il mesto riconoscente omaggio del Senato e l'espressione del suo sentito rammarico di averlo avuto per troppo breve tempo prezioso collaboratore. (Benissimo).
[...]
TIVARONI. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TIVARONI. Onorevoli colleghi, molto addolorato e commosso mi associo alle nobili parole dette dall'illustre Presidente per commemorare il senatore Pagano-Guarnaschelli.
Con lui scomparve una veneranda figura di magistrato.
Ed a me è concesso il mesto ufficio ed il grande onore di evocarla al vostro cospetto, avendomi egli tenuto al suo fianco sedici anni, dapprima alla Corte d'appello, poscia alla Cassazione di Roma.
Ebbi così la fortuna di avvicinare in cara consuetudine un insigne maestro, che lascia traccie durevoli di sapienza nelle discipline giuridiche e preclari esempi di virtù civili.
Esempi, insegnamenti che mi guidarono nella lunga ed aspra mia carriera come faro fiammeggiante di vivida luce.
Il collega Pagano fu di cuore soave, d'animo mite, di coscienza serena, di carattere austero, di mente eletta, geniale. Fu modesto e cortese.
Nell'esercizio delle sue mansioni preferì al rigore la clemenza e l'equità.
E verso di me si addimostrò un padre affettuoso, mi sovvenne de' suoi consigli, mi confortò nelle mie afflizioni, mi prodigò la sua benevolenza e ne ottenni l'elevazione al supremo grado della magistratura ed il laticlavio.
Nel senatore Pagano conobbi altresì un fervido patriotta.
Inciderò a caratteri d'oro nelle pagine più belle de' miei ricordi la data di un giorno faustissimo nel quale egli mi venne incontro sorridente congratulandosi meco per la redenzione di Zara, mia patria, dall'aborrito, secolare, dominio austriaco.
Ma ciò che nel senatore Pagano emerse sovra ogni cosa si è il culto del dovere che lo ispirò nell'amministrazione della giustizia, considerata un vero sacerdozio.
Per questo sublime ideale egli spese le migliori energie della sua vita, confortata da un profondo sentimento religioso e dalle cure vigili, dolci d'una sposa adorata e di tre figli diletti, a lui pari in ingegno e bontà, che avranno in retaggio la memoria dell'ineffabile amore e delle opere utili e sante del lacrimato scomparso. Mentre a me soccorrerà la visione del suo spirito immortale, che aleggia in quest'aula e si allieta della mia commemorazione, perché prova non essere ancora spenti negli uomini i sensi di gratitudine pei benefici ricevuti.
Prego il Senato di mandare le sue condoglianze alla famiglia del senatore Pagano ed alla città di Palermo, che gli diede i natali.
DE CUPIS. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DE CUPIS. Onorevoli colleghi. [...].
Di un altro magistrato oggi deploriamo la perdita, di Antonio Gui. E cade ben in acconcio di fare di lui ricordo insieme a quello di Pagano, sia perché Antonio Gui molti anni trascorse sotto la presidenza del Pagano, sia ancora per un fatto che egli rammentava con compiacenza negli ultimi giorni della vita sua; un fatto che non so se faccia più onore all'uno o all'altro: certo fa onore ad entrambi.
Egli raccontava cioè come, chiestagli dal Pagano ragione di denunciata condotta in un processo, la risposta che egli fece con romana fierezza, nonché trovare nel Pagano recriminazione, gli valse premio di lode che è rimasta in un documento scritto nel Ministero, e che, venuta sotto gli occhi di lui per caso, talmente lo commosse da fargli dire: se avessi potuto io stesso scrivere di me, non avrei saputo trovare più belle parole.
Del resto, mi conviene ancora dir qui: di lui come del magistrato voi tutti ben sapete; ed è perciò che della sua perdita tutti ci dogliamo: tanta era la riputazione di dottrina, di franco e sereno giudizio, di severa onestà, con cui portò adempimento delle delicate e difficili funzioni, in cui tanta parte di vita egli spese. E voi, che ben lo sapete, non potete tuttavia non consentire che di lui romano, io romano, con particolare compiacenza rammenti i meriti e le virtù. E di lui, di cui voi rammentate la virtuosa operosità, non rammentate ancora i meriti e le virtù della colleganza? Quanta bontà, quanta amabilità sempre dignitosa, e quanta modestia!
E non è vero che la modestia proceda da una meschina coscienza di sé, la modestia procede da tale alta concezione del dovere, da far parere che qualunque più vasta capacità sia insufficiente all'adempimento. Bella virtù la modestia, che tanto ci avvicina quanto l'orgoglio ci allontana!
Onorevoli colleghi, noi lamentiamo due nostri cari che ci son venuti a mancare, noi rammentiamo due veri valentuomini, due nobili figure, delle quali può menar vanto il Senato ancora non riformato.
Su la tomba di entrambi scriviamo il bel verso di Orazio: Vilius argentum est auro, virtutibus aurum! (Approvazioni).
[...]
PETRELLA. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PETRELLA. Onorevoli senatori! [...].
E poiché il collega senatore De Cupis ha parlato anche dell'ottimo amico e compagno Antonio Gui, sia anche a me permesso di dire una sola parola in memoria di lui. La notizia inattesa della sua morte quasi fulminea, è stata come un giorno di lutto per Roma, ove nacque e che egli amava teneramente, e di cui fu degno e nobile cittadino, probo ed onesto, e che ebbe sempre la considerazione di tutti quanti lo conobbero; fu giorno di lutto per la sua famiglia, che idolatrava, e che lo ricambiava di eguale tenero affetto; fu giorno di lutto per la magistratura, di cui egli arrivò agli ultimi gradi, perché egli veramente ne fu lustro e decoro, fu lutto pel Senato, che l'ebbe carissimo; fu giorno di lutto per gli amici, che in lui trovarono sempre la lealtà, la schiettezza, la bontà d'animo, la cortesia dei modi. (Vive approvazioni).
DE BLASIO. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DE BLASIO. Sia dato anche a me di adempiere ad un sacro dovere, quello di esprimere, in nome della Corte di Cassazione e della Procura generale di Roma, il grande, l'immenso dolore della magistratura italiana, per la perdita di Antonio Gui e di Giovanni Battista Pagano Guarnaschelli, che furono della magistratura onore e lume.
Antonio Gui apparteneva a quella elettissima schiera di giovani avvocati delle provincie ex-pontificie, che, quando Roma divenne la capitale del Regno, entrarono nelle fila della magistratura e ne accrebbero, col loro valore, l'autorità ed il prestigio.
Antonio Gui aveva già, fin d'allora, reso importanti servigi alla causa della giustizia, poiché, giovanissimo ancora, aveva dedicata, dirò meglio, consacrata tutta la sua attività professionale alla difesa dei poveri. Infatti, nel suo fascicolo personale si legge: «Con decreto sovrano è nominato aggiunto all'avvocatura dei poveri, con diritto a futura successione»; lo che vuol dire che il Gui era tenuto in alta considerazione dall'amministrazione della giustizia di quel tempo.
Nominato sostituto procuratore del Re, dimostrò subito di essere un valente rappresentante del pubblico ministero, e lo era infatti per l'eleganza schietta, semplice, precisa della parola; lo era, perché assai versato nelle discipline giuridiche. E perciò, anche ora, dopo tanti anni, si ricordano ancora con compiacenza le belle, brillanti requisitorie del giovane sostituto, dense di pensiero e di dottrina.
Fu poi chiamato alla direzione delle Regie procure. In quegli uffici tanto si distinse che i suoi superiori lo segnalarono al Ministero, ed il Guardasigilli del tempo lo chiamò a capo del suo gabinetto al Ministero di grazia e giustizia.
Fu poi presidente di tribunale ad Arezzo; poscia consigliere di appello ad Aquila ed a Roma; e così, come aveva mostrato grande valore nelle materie penali, si addimostrò valentissimo nelle civili. Il Gui aggiungeva alla dottrina l'intuito e quel senso pratico, che tanto sono necessari al magistrato nello studio e nella decisione delle cause. Fu per questo che le controversie più gravi, le più difficili ed astruse divenivano per lui semplici e facili; fu perciò che il suo voto era sempre illuminato ed accolto con grande deferenza, dai suoi colleghi.
Ma l'ufficio, nel quale superlativamente si distinse Antonio Gui, fu quello di Presidente di Assise. Egli fu insuperabile nella direzione dei dibattimenti penali; vi acquistò tanta rinomanza, che tutti lo stimavano uno dei più valenti presidenti d'assise del Regno.
In quell'agone, ove talvolta infuriano le più basse passioni, i più feroci istinti della delinquenza, occorre che il presidente abbia le più elette virtù della mente e del cuore, che accoppii all'acume dell'intelletto un profondo sentimento di giustizia, temperato dal senso gentile della equanimità; che abbia modi cortesi parola cortese e persuasiva, forme garbate, e, dire quasi, carezzevoli; ma che sia, pure dotato della più forte energia, per impedire, con la sua autorità, ogni trasmodanza ed eccesso.
Antonio Gui aveva tutti questi requisiti, tutte queste virtù, e perciò poté presiedere ai più difficili ed importanti dibattimenti senza che mai alcuno osasse ribellarsi a lui; e non mai, nello svolgersi di quei procedimenti, avvenne alcuno di quegli incidenti scandalosi, che spesso leggiamo nelle cronache dei giornali, e che, in cuore nostro, profondamente deploriamo. Nessuno, lui presidente, osò mai opporsi al suo volere, che era sempre ispirato a giustizia ed equità; nessuno osò menomare l'alta sua dignità presidenziale, od offendere la santità del luogo, o mancar di rispetto alla maestà della giustizia.
Quei clamorosi incidenti, i quali, il più delle volte, dipendono dagli eccessi della difesa, talvolta dalla intemperanza dell'accusa, ma sempre dalla fiacchezza e dal difetto di energia in chi presiede, il Gui poteva facilmente impedire, poiché tutti, riponendo in lui piena fiducia, tutti volendogli un grandissimo bene, si sottoponevano volentieri alle sue direttive e circondavano la sua nobile figura di grande stima, di alto riguardo e della maggiore deferenza.
Onore sia, dunque, all'illustre magistrato, che seppe tener alto il prestigio della giustizia e dare ai dibattimenti di assise rapido e sicuro svolgimento.
Per questi suoi pregi e per la simpatia che destava intorno a sé, gli elettori di Anagni (in quella stessa circoscrizione ove egli teneva le assise), gli conferirono il mandato legislativo; per queste sue virtù egli ascese ai posti altissimi di consigliere e poi di presidente di sezione della Cassazione romana. E non giunse al vertice della carriera, perché, per le sue condizioni di famiglia, non poté abbandonare la capitale e dovette aspettare la sua promozione, per turno di anzianità.
Di lui altro non dirò, perché, venuto qui in Senato, voi che lo circondaste di altissima considerazione e ne desideraste l'amicizia, poteste più che altri apprezzarne l'altezza della mente e la bontà del cuore.
Ora questo egregio è passato: di lui non resta che il ricordo delle sue virtù, la memoria del plauso e degli onori che gli furono resi; e questo ricordo non si cancellerà mai dai nostri cuori.
Honos nomenque suum laudesque manebunt. (Approvazioni).
[...]
FACTA, ministro di grazia, giustizia e dei culti. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FACTA, ministro di grazia, giustizia e dei culti. [...]
Accanto a lui un'altra figura buona di magistrato sento di dover ricordare, quella d'Antonio Gui. Io sento più profondo in me il dolore della sua perdita, poiché sono pochi giorni che avevo avuto il piacere di conversare con lui e di sentire con quanta passione egli parlava di lavorare, sentivo quale energia d'animo e di mente palpitava ancora in quell'uomo mobilissimo: non avrei mai supposto che pochi giorni dopo avrei dovuto parlare di lui spento. Antonio Gui ebbe la bontà che lo ispirò in ogni atto della sua vita. Lo ricordò un precedente oratore: forse il fatto per il quale in principio della sua carriera egli fu indicato ad essere l'avvocato dei poveri è una specie di preconizzazione che tutte le virtù sue più belle si sarebbero svolte in quest'opera santa della tutela dei poveri, opera in cui egli prodigò tutto il fremito generoso del suo cuore.
A questi due magistrati mando un saluto, con l'augurio che la giovine magistratura italiana si ispiri a questi grande esempi; e si può esser sicuri che ciò facendo stamperà anch'essa le più nobili pagine nella storia nostra gloriosa. (Vivissime approvazioni. Applausi).

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 1° marzo 1919.