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GABBA Carlo Francesco

14 aprile 1838 - 19 febbraio 1920 Nominato il 14 giugno 1900 per la categoria 18 - I membri della Regia accademia delle scienze dopo sette anni di nomina provenienza Lombardia

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Tommaso Tittoni, Presidente

Onorevoli colleghi! Durante l'interruzione dei nostri lavori, gravi lutti hanno colpito il Senato.
Il 19 febbraio spegnevasi in Torino, che da poco tempo lo ospitava, il senatore Carlo Francesco Gabba.
Nato il 14 aprile 1835 a Lodi, di antica famiglia che già aveva dato insegnanti d'alto valore all'Università di Pavia, ancora giovanissimo rivelò eminenti attitudini agli studi giuridici. Nel 1858, a soli 20 anni, non ancora laureato, ebbe conferita una medaglia d'oro dell'Accademia reale di Bruxelles in seguito ad un concorso internazionale per una memoria dal titolo: "Essai sur la véritable origine du droit de succession". Ottenuta in quell'anno istesso la laurea presso l'Università pavese, iniziò nel 1861 l'insegnamento universitario quale supplente di filosofia del diritto nell'Ateneo pisano, conseguendo l'anno seguente il titolo di professore ordinario; nel 1867 fu incaricato d'insegnare il diritto civile: tenne anche per un anno la Cattedra di Pandette e fu per molto tempo incaricato del diritto internazionale.
Nel 1887 fu trasferito alla Cattedra di diritto civile, conservando l'incarico dell'insegnamento della filosofia del diritto.
Dal 1896 insegnò anche filosofia del diritto e sociologia al Regio istituto di scienze sociali in Firenze.
Per un invincibile attaccamento all'Ateneo pisano, volle restarvi, nonostante replicate offerte di trasferimento ad altre università, finché nel 1916 la grave età lo indusse a lasciare, fra l'universale rimpianto, la cattedra.
Altissimo ingegno di giurista, il Gabba ebbe famigliari, come dalla cattedra così nelle pubblicazioni dottrinali, molti campi del diritto e nei suoi numerosi scritti trattò con eguale perspicuità il diritto civile, la filosofia del diritto, il diritto internazionale, la sociologia ed anche il diritto penale.
La profondità del suo pensiero, le sue mirabili Facoltà di analisi e di sintesi giuridica, fecero sì che sempre i risultati delle sue speculazioni dottrinali rappresentassero, sia intorno a determinate questioni come intorno ad un complesso istituto giuridico, la più completa ed altra espressione del pensiero scientifico.
Particolarmente con la sua opera sistematica di vasta mole "La teoria della retroattività delle leggi", monumento di critica giuridica e di sapienza costruttiva, può ben dirsi aver egli dato un contributo gagliardo al rinnovamento del metodo negli studi giuridici. Importanti, fra le altre sue opere civilistiche sono sopratutto le "Questioni e le nuove questioni di diritto civile" che da sole basterebbero a giustificare la fama di uno scienziato, e gli scritti sulla "Condizione giuridica delle donne" e sul" Divorzio nella legislazione italiana" ch'è quanto di meglio sia stato scritto in sostegno della tesi antidivorzista.
Così nel campo della sociologia egli impresse vasta orma colla sua opera "Intorno ad alcuni più generali problemi della scienza sociale" e nel campo penale col suo scritto "Il pro e il contro nella questione della pena di morte".
Le sue mirabili doti si rivelarono anche, oltre che negli scritti minori, nelle numerose note a sentenze, molte delle quali costituiscono vere monografie ed hanno talora prodotto un cambiamento di direttiva nella giurisprudenza.
La genialità e la modernità delle sue vedute rendevano attraenti e fruttifere anche le parti più aride delle discipline da lui professate: onde le sue lezioni erano sempre affollatissime, come i suoi scritti ricercati e meditati. Il suo nome era notissimo non solo in Italia, ma anche all'estero dov'era onorato come uno dei più puri rappresentanti del pensiero giuridico italiano.
Al raro vigore dell'ingegno ed alla ricchissima sua cultura, corrispondeva una grande altezza d'animo che anche fisicamente gli conferiva una rara dignità. Per i suoi altissimi meriti era stato, fra l'altro insignito della croce di Cavaliere dell'Ordine civile di Savoia: era accademico dei Lincei, membro delle principali accademie scientifiche d'Italia, ed importanti istituti stranieri si erano onorati di averlo fra i loro soci.
Nominato senatore il 14 giugno 1900, anche nella nostra Assemblea spiegò una feconda attività, partecipando alla discussione d'importanti disegni di legge, sovratutto di carattere giuridico.
La sua perdita è un lutto grande per la scienza giuridica, non solo d'Italia, ma dell'Europa.
Alla sua memoria il Senato invia un mesto, reverente saluto. (Approvazioni). [...]
GAROFALO. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GAROFALO. Come socio dell'Accademia reale di scienze morali e politiche di Napoli, di cui Carlo Francesco Gabba fu illustre corrispondente, io, associandomi alle belle parole del nostro Presidente, m'inchino a quel nome che rappresenta, congiunte insieme, non comune elevatezza d'ingegno e nobiltà di carattere.
Carlo Francesco Gabba, per oltre un mezzo secolo, così nell'insegnamento universitario, come nei suoi scritti e discorsi e conferenze, e anche nelle discussioni di quest'Assemblea, tenne sempre alta la bandiera della scienza a cui aveva consacrato tutta la sua attività, disinteressatamente, per solo amore delle cose alte. Perché nei lunghi e profondi studi, egli non ebbe altro fine che il progresso del diritto, nell'interesse della società e della umanità; non ebbe altra ambizione che quella di far udire lontano la sua parola, per la verità e per la giustizia.
Noi non dobbiamo inchinarci soltanto al dotto, ma anche all'educatore; ed è questo forse un titolo più grande di onore. E come fu detto di un eroico guerriero del medio evo, si potrà dire di Carlo Francesco Gabba, che egli fu senza macchia e senza paura.
Infatti nella sua lunga operosa carriera, ogni sua parola, ogni suo gesto, fu costante espressione del suo carattere integro e forte. Nessuna concessione egli fece mai agli avversari di quei principii, che con sincera e profonda convinzione egli propugnava. Che cosa fosse l'opportunismo, egli non ha mai saputo.
Già furono qui ricordati i suoi libri più celebrati, alcuni dei quali sono divenuti classici Essi non saranno dimenticati, perché segnano un solco profondo, e rimarranno come un prezioso monumento della sapienza giuridica della passata generazione.
Ma io che ebbi anche frequenti occasioni di vedere quest'uomo nella intimità della sua vita, io ai fiori che si spargono sulla tomba del grande giurista e scrittore, ne aggiungerò uno all'indirizzo del cittadino virtuoso, del padre di famiglia esemplare. Ed ai suoi figli, dei quali egli aveva giusto motivo di essere fiero, io propongo che si mandino le condoglianze del Senato. (Vive approvazioni).[...]
SUPINO. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SUPINO. Onorevoli colleghi. rettore dell'Università illustrata da Carlo Francesco Gabba, discepolo, e poi collega di lui, verrei meno al mio dovere se non mi associassi alle nobilissime parole pronunciate testé dal nostro illustre Presidente e dal senatore Garofalo. Carlo Francesco Gabba merita di essere ricordato con onore, come uomo, come cittadino e come scienziato. Per oltre mezzo secolo egli dette tutto sé stesso all'insegnamento ed alla scienza, iniziando la carriera nel 1860 colla nomina a professore di economia e diritto commerciale nell'Istituto tecnico di Milano. Tuttavia già dal 1858, a soli 23 anni, aveva dato saggio del suo valore colla pubblicazione di una dotta memoria sulla vera origine del diritto di successione, memoria che fu premiata con medaglia d'oro dall'Accademia reale del Belgio.
Dall'Istituto tecnico di Milano il Gabba passò all'Università di Pisa nel 1861, dapprima come supplente di diritto naturale, poi come titolare di filosofia del diritto e da ultimo come titolare di diritto civile. Tenne pure per lunghi anni la Cattedra di diritto internazionale.
Nel professare rami così diversi del giure, egli dette saggio della profondità della sua dottrina e della sua maestria nell'insegnamento. Le sue lezioni, dettate in forma brillante e con accento di profonda convinzione, erano seguite con grande interesse dai giovani, non pochi dei quali rimasero legati a lui da affetto sincero anche dopo aver varcato le soglie dell'ateneo.
Ché se poi si volga lo sguardo all'opera scientifica di Carlo Francesco Gabba, essa apparisce non meno degna di considerazione, ed abbraccia i più gravi e svariati temi delle scienze giuridiche e politiche.
L'opera principale: Teoria della retroattività delle leggi,portò grande contributo al difficile argomento che tante incertezze presenta di fronte alla laconica disposizione dell'art. 2 del titolo preliminare del Codice civile, ed è particolarmente notevole per l'intimo nesso fra i principi giuridici e quelli filosofici e per l'esatta determinazione del concetto di diritto quesito.
Nell'altro lavoro Pro e contro la pena di mortel'Autore affronta il gravissimo problema, e da par suo lo esamina di fronte allo scopo e agli effetti della pena, alla natura dell'uomo, ed al diritto dello Stato verso l'individuo.
Ma il valore del Gabba, la vasta sua coltura e la profondità della dottrina, emergono particolarmente nelle conferenze Intorno ad alcuni più generali problemi della scienza sociale,e nelle Questioni di diritto civile.Le conferenze sono veramente notevoli, tanto più che nel tempo in cui furono lette gli studi sociologici, che secondo il Gabba non sono soltanto studi di osservazione ma anche speculativi, erano in Italia grandemente negletti. Bellissime tra siffatte conferenze quella sulla Origine e l'autorità della pubblica,opinione,e sull'Origine e le vicende dei partiti politici.Oggi pure si potrebbero trarre da esse utili ammaestramenti.
Le Questioni di diretto civilehanno carattere di originalità e servirono di base alla dottrina ed alla giurisprudenza dei tribunali per orientarsi intorno ad alcuni punti fra i più controversi, quali ad esempio quelli del danno incolpevole, e del danno morale.
Anche la condizione della donna e della famiglia richiamò l'attenzione di Carlo Francesco Gabba nei suoi lavori sulla Condizione giuridica della donna,sopra I due matrimoni civile e religioso,e sul divorzio. Si scorge in essi la preoccupazione continua di conciliare la dignità della donna col regolare adempimento dell'ufficio che essa ha nella famiglia, della quale vuole l'autore mantenere salda la compagine.
Fautore dapprima del divorzio, dopo nuovo studio della questione, lo combatté vigorosamente, a segno tale che un illustre e compianto giurista, Carlo Lessona, che pure professava in proposito opinione diversa da quella del Gabba, ebbe a scrivere che nessuno più del Gabba aveva trattato la tesi antidivorzista con maggior forza e con studio più intenso.
Tale fu dunque l'opera scientifica di Carlo Francesco Gabba, per la quale venne in fama di pensatore profondo e di scrittore geniale; ond'è che giuristi eminenti lo circondarono della massima considerazione, accademie illustri italiane e straniere lo iscrissero fra i soci, il Governo lo insignì di numerose onorificenze e lo chiamò a far parte di quest'alta Assemblea. Lo zelo col quale attendeva all'insegnamento, non gli impedì di prendere parte ai nostri lavori, né di prestare l'opera sua alla patria, disimpegnando anche altri importanti uffici. Fu infatti membro del Contenzioso diplomatico e del Consiglio superiore della pubblica istruzione e rappresentò l'Italia nelle conferenze di Bruxelles per la proprietà industriale.
Alle virtù di cittadino e di scienziato non erano inferiori quelle dell'uomo. Ebbe infatti il Gabba rettitudine senza pari e amore intenso della famiglia. Avvinto alla religione degli avi suoi, un'altra se ne era creata nel rigido adempimento del proprio dovere di insegnante, e l'adempì fino al 1917, quando gli acciacchi della vita lo costrinsero ad abbandonare l'ufficio. Ritiratosi poi nel paese natio, visse ancora melanconicamente finora pochi giorni or sono, seguendo in spirito parenti ed amici che vedeva scomparire, sorte dolorosa serbata a colui che il destino vuole a lungo su questa terra!
Carlo Francesco Gabba lascia dunque di sé grande rimpianto, ed è veramente degno del tributo di onore che oggi gli viene reso da quest'alta Assemblea. (Approvazioni).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole senatore Filomusi Guelfi.
FILOMUSI GUELFI. La comunanza degli studi con Carlo Francesco Gabba, poiché egli a Pisa ed io a Roma tenemmo l'insegnamento della filosofia del diritto, mi obbliga a dire poche parole; ed io prego il Senato di voler perdonare questo mio discorso, che non è altro se non l'adempimento di un dovere.
Ho conosciuto Carlo Francesco Gabba nell'ottobre del 1872 a Roma, e rimasi a lui devoto ed amico fino alla sua morte. Cultori ambedue della filosofia del diritto e del diritto civile, ci siamo spesso incontrati a trattare lo stesso tema, e sempre siamo stati d'accordo. Così io ed il Gabba nel 1876, scrivemmo nello stesso senso intorno alla necessità della precedenza del matrimonio civile su quello religioso.
Nel 1879 il Gabba, come presidente del Circolo giuridico di Firenze, m'invitò a tenere in quella città un discorso intorno alla ricerca della paternità, della quale egli, come me, era ardente fautore. Io allora tornavo da Milano dove, invitato dalla Lega femminile per la ricerca della paternità, avevo già fatto in quella città un discorso sullo stesso tema.
A Firenze, nella sala dei Georgofili ebbi, l'onore il 28 marzo 1879 di leggere un discorso sullo stesso argomento, alla presenza del Gabba e di molti studiosi fiorentini. Orbene in quel discorso, che fu poi pubblicato (1), io prospettai, d'accordo col Gabba, le ragioni fondamentali che ci avevano portati a propugnare questa riforma, riforma che ormai tende a trionfare, in quanto che nell'altro ramo del Parlamento si trovano progetti più o meno larghi nei quali l'applicazione di questo principio viene consacrata, e certamente quando questi progetti verranno in discussione dinanzi al Senato noi potremo far tesoro degli insegnamenti del Gabba e di quelli del compianto Gianturco.
Come fu già osservato dal senatore Garofalo, il Gabba frequentò anche le discussioni del Senato, non però così come egli desiderava; perché, da un lato le esigenze dell'insegnamento e le occupazioni scientifiche, dall'altro la sua non buona salute non gli consentirono di partecipare più attivamente ai nostri lavori Ma pure restano ricordi luminosi dell'opera sua in Senato. E a questo proposito mi sia permesso di rievocare la parte da lui presa, quando nel giugno del 1904 si discusse qui in Senato il progetto per la ratifica delle convenzioni firmate il 13 dicembre 1902 all'Aia tra l'Italia e altri Stati d'Europa. Egli allora parlò contro l'acquisto della cittadinanza straniera a scopo di divorzio, e nello stesso senso parlò anche il senatore Borgnini nella seduta del 12 stesso mese. Nella questione il Gabba tornò ad occuparsi nella "Introduzione al suo diritto civile internazionale italiano" o "diritto internazionale privato", giacché il Gabba voleva che invece di "diritto internazionale privato" si dicesse "diritto internazionale civile italiano". Il discorso fatto in Senato in quella occasione dal Gabba provocò l'importante dichiarazione del nostro illustre Presidente, allora ministro degli Affari esteri, il quale nella seduta del 12 aprile (2), rispondendo alle obbiezioni del senatore Borgnini (3), il quale sosteneva che forse le Convenzioni dell'Aia erano state la causa di questo errore, il nostro Presidente disse che egli, oltre a dichiararsi personalmente contrario all'istituto del divorzio, osservava che l'art. 4 delle Convenzioni dell'Aia costituiva piuttosto una disposizione restrittiva del divorzio, e soggiunse che le questioni particolari sollevate dal Borgnini erano piuttosto questioni interne a giudicar delle quali sono competenti i tribunali italiani.
Su questo punto deve anche notarsi che, in occasione della discussione del disegno di legge per le modificazioni all'art. 491 del Cod. di proc. civ., i senatori Bensa e Rolandi Ricci) (4) osservavano che forse da questa modificazione veniva di straforo riconosciuta la frode alla legge, a favore delle classi ricche. Ma anche allora il nostro illustre Presidente, senatore Tittoni, disse che le conferenze dell'Aia hanno meno colpa di quello che si crede per le frodi commesse contro la legge, e che, quando queste si verificassero in Italia, vi sono due mezzi, cioè quello del Consiglio di Stato, che può negare il suo assenso al nuovo acquisto, e quello della magistratura (5), e lamentò che la magistratura non sia stata sempre conforme nelle sue decisioni, dimenticando spesso i principi posti e nella discussione delle convenzioni e nella discussione parlamentare, e conchiuse: "La frode non può essere fondamento e ragione di diritto alcuno".
Carlo Francesco Gabba fu in politica conservatore, fu convinto monarchico, difensore della libertà, ma della vera libertà; della libertà entrò l'orbita della giustizia, libertà, ma non abuso alla libertà; né reazione né rivoluzione. .
Invocò il discentramento amministrativo, la tutela delle classi operaie, la tutela della proprietà e disse poi: l'Italia è cattolica; di un cattolicesimo che non va confuso con la superstizione devota né con la cieca ossequenza a ogni imperiosa pretensione clericale.
L'Italia ebbe col cattolicesimo le prime fondamenta di una morale che si eleva alle più sublimi altezze della virtù, e che col postulare una ultramondana giustizia infallibile fonde in bella armonia l'egoismo e l'altruismo; quieta l'anima e convince che val la pena di vivere, facendo del bene, e di morire sacrificandosi. Tutto ciò è scritto nel programma del partito conservatore riformista, e fu sottoscritto, oltre che dal Gabba, dal senatore di Revel, dal senatore Avarna Nicolò duca di Gualtieri, del quale ora compiangiamo pure la morte avvenuta in Napoli ieri l'altro, e pel quale mi associo alle parole dette per lui dal senatore Garofalo, dal senatore Bonamici, dal senatore Paolino Manassei, dal senatore Giovanni Rossi ed anche da me (6).
Nella vita, negli scritti e nell'insegnamento fu cattolico convinto e ne fece sempre pubblica e solenne professione.
Visse da cattolico, morì cattolico e per lui si potrebbe ripetere: "vale la pena di vivere facendo del bene, e di morire sacrificandosi" (7). (Vive approvazioni).[...]
DEL CARRETTO. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole Del Carretto.
DEL CARRETTO. [...]
E mi consenta poi il Senato, che con animo profondamente addolorato di amico devoto ricordi pure il principe di Sirignano che rappresentava a Napoli il polo verso cui volgevano tutte le tendenze e tutte le aspirazioni per tutto quanto potesse suonare decoro per la città e per la patria. Fu amministratore del comune, fu a capo di grandi iniziative industriali e fu vero mecenate degli artisti. Raccolse sempre in tutta la sua vita tutti i palpiti dell'anima meridionale, fu un'alta affermazione di sentimento e di mentalità proteiformi, vibranti sempre nobilmente per quanto suonasse omaggio alla patria e decoro alla città.
La città di Napoli ha perduto in questi giorni nei tre nostri colleghi, tre suoi amati ed illustri figli. Pregherei il Presidente ed il Senato di mandare alla città il compianto unanime, che parte dal Senato, in omaggio alle tre degne memorie di uomini che furono tutti e tre complete e nobili affermazioni del sentimento d'italianità più puro e di devozione illimitata alla patria. (Approvazioni).
MORTARA, ministro della giustizia e degli affari di culto. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MORTARA, ministro della giustizia e degli affari di culto.I nomi dei perduti che oggi sono stati commemorati in quest'alta Assemblea, ed il loro grande valore, conferiscono maggiore mestizia alla solennità che si celebra. Il Governo si associa con fervido sentimento agli elogi ed ai rimpianti che sono stati manifestati con tanta eloquenza e con tanta autorità dal Presidente e dagli onorevoli senatori che hanno finora parlato, in omaggio alla memoria di Carlo Francesco Gabba, di Tommaso Senise, Camillo Bozzolo, di Alfonso Barinetti, del principe di Sirignano e del duca Avarna di Gualtieri.
Le commemorazioni di questi illustri e rimpianti colleghi sono state così alte, così degne, che l'aggiungere parola sarebbe ormai ripetizione superflua della giusta affermazione dei loro meriti civili e patriottici, della dottrina, delle benemerenze di opere e di pensiero, abusando di un tempo che al Senato è prezioso.
Mi sia permesso, nondimeno, di dare sfogo alla commozione dell'animo rammentando l'affetto vivissimo e la stima incancellabile che mi legavano a due dei colleghi ora scomparsi, a Carlo Francesco Gabba e a Tommaso Senise dei quali fai collega nelle Università di Pisa e di Napoli. A Tommaso Senise fui pure collega nel Consiglio superiore dell'Istruzione. Con Carlo Francesco Gabba ebbi inoltre quasi trentennale comunanza di lavoro nella direzione della più grande rivista giudiziaria italiana. Di Tommaso Senise fu detto quanto impareggiabili fossero le doti di patriottismo, di bontà d'animo, di sapienza, di serena equanimità che lo rendevano da tutti amato e stimato. Di Carlo Francesco Gabba fu celebrata l'alta dottrina, oltre che dal nostro onorevole Presidente, da colleghi illustri, i quali ebbero con lui comunanza di studi e di insegnamento nell'Università di Pisa. Perciò io mi riporto alle degne manifestazioni di elogio che alla sua memoria furono tributate. Rammento anch'io che in Carlo Francesco Gabba furono sempre vive tre grandi idealità: la famiglia, lo studio, la cattedra. E mi piace rinnovare il ricordo dell'entusiasmo che egli professò per l'insegnamento. Carlo Francesco Gabba era nato veramente per essere insegnante; era il maestro nella più vera ed alta espressione. Giovanissimo egli salì agli onori della cattedra universitaria, e la tenne con entusiasmo sempre giovanile, sempre egualmente vivo e fervido dal primo giorno fino a quello in cui l'età, più che ottantenne gli suggerì d'abbandonarla; ciò rende veramente ammirabile la sua figura di maestro. Egli tenne la cattedra, ripeto, con fervore e con devozione impareggiabili. Fu professore di filosofia del diritto, di diritto civile, di diritto romano, di diritto internazionale, di sociologia. E in tutti questi insegnamenti portò eguale profondità di studio, eguale profondità di dottrina, eguale fervore di attività didattica.
La sua attività di maestro era insuperabile; ricordo che un anno a Pisa insegnò diritto civile, filosofia del diritto e diritto internazionale: contemporaneamente era insegnante all'Istituto di scienze sociali di Firenze, di diritto internazionale e di sociologia. Ebbene, questo pondo di lezioni, per altri gravissimo, era per lui lieve; egli non mancò mai a una sola delle lezioni che doveva fare a Pisa e che doveva fare a Firenze, e saliva la cattedra per ciascuna lezione come sarebbe andato a una festa, con la stessa giovanile freschezza, e faceva la lezione con lo stesso vigore come se quella fosse l'unica sua lezione. Cosi egli avvinceva al suo insegnamento l'ammirazione e l'affetto degli studenti che accorrevano a udire la sua parola di sapere con zelo instancabile pari a quello del maestro. Affezionato alla cattedra, quantunque la deliberazione del Consiglio superiore al raggiungimento del limite di età, l'avesse francato dal collocamento a riposo, egli dichiarò che avrebbe continuato nell'insegnamento, solamente finché le forze gli avessero permesso di mantenere le sue lezioni all'altezza raggiunta e conservata mirabilmente per circa mezzo secolo. .
Infatti, quando sentì affievolirsi la fibra, abbandonò volontariamente la cattedra, e premure di colleghi e discepoli non valsero a distoglierlo dal nobilmente maturato proposito. Ma lo affievolirsi delle forze fisiche non aveva spento in lui l'ardore per lo studio e l'energia del pensiero! Continuò infaticabile nel suo romitaggio di Lodi a studiare e a lavorare; nell'estate scorsa, quando il Senato discusse la legge sulla capacità giuridica della donna, egli mi scriveva lamentandosi che le sue condizioni fisiche non gli permettessero di partecipare ad una discussione nella quale, come giustamente rammentava, i suoi studi e le pubblicazioni sue gli avrebbero dato motivo di portare un contributo senza dubbio assai prezioso.
E ancora nelle ultime settimane della sua vita stava meditando la ristampa definitiva di quel l'opera magistrale che fu rammentata, "La teoria della retroattività delle leggi", opera rimasta testo fondamentale di dottrina in questo argomento così importante, che sta alla base del diritto privato come del diritto pubblico.
Alla memoria di tutti gli scomparsi senatori il Governo manda un tributo di omaggio e di venerazione, associandosi alle proposte per manifestare voti di condoglianza, che prego siano espressi anche in nome del Governo, alle famiglie degli estinti, e alle città che diedero loro i natali, o che si onorarono di avere come cittadini loro questi illustri nostri colleghi. (Approvazioni).
PRESIDENTE. Mi farò premura di dare esecuzione alle varie proposte che sono state fatte.

(1) Vedi in La Rassegna nazionale,1° maggio 1909.
(2) Vedi Atti del Senato,seduta 12 aprile 1905.
(3) Atti del Senato,loc. cit.
(4) Atti del Senato,seduta 11 dicembre 1916.
(5) Atti del Senato,citata seduta.
(6) Vedi in La Rassegna nazionale,1° luglio 1908. Il programma fu illustrato da me nel discorso letto nella sala del Circolo Savoia, 28 maggio 1908. Vedi La Rassegna nazionale,1° luglio 1908; e lo era stato già dal senatore Calisse il 16 aprile 1908. La Rassegna nazionale,16 aprile 1908.
(7) Così è scritto nel programma del partito riformista.
Delle varie opere del Gabba, e specialmente dal suo classico libro sulla Retroattività delle leggi,ho parlato nella commemorazione che di lui ho fatto nell'Accademia dei Lincei, e specialmente della sua attira propaganda contro il divorzio, nella seduta del 22 marzo. Alla Camera fu commemorato dall'onorevole Tangorra nella seduta del 22 marzo. Nel Senato fu anche in queste sedute commemorato degnamente dal Presidente Tittoni e dai senatori Garofalo e Supino.

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 23 marzo 1920.