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FOGAZZARO Antonio

25 marzo 1842 - 07 marzo 1911 Nominato il 14 giugno 1900 per la categoria 21 - Le persone che da tre anni pagano tremila lire d'imposizione diretta in ragione dei loro beni o della loro industria provenienza Veneto

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Giuseppe Manfredi, Presidente

Onorevoli colleghi! [...]
E non finisce ancora oggi il nostro duolo. Altro preclaro dei nostro è scomparso; Antonio Fogazzaro non è più; passato essendo oggi di questa vita alle 5.20. Vicenza, prima a piangerlo, ha il vanto de' suoi natali, che furono il 25 marzo 1842; lo acquistò il Senato nel giugno 1900. La sua morte è perdita nostra e delle italiane lettere. Laureato nelle leggi a Torino nel 1861, alla letteratura dedicò mente e cuore. Dello scrittore illustre, poeta, romanziere e conferenziere applaudito, il tempo non mi concede, né tengo la voglia di parlare. Dirò con il detto d'altri, che tutte le sue pubblicazioni in prosa ed in versi sono ammirevoli per la potenza del sentimento della natura e della vita e per l'eleganza della forma. Suo ideale fu tutto ciò che è più puro e nobile, elevato e grande; sua mira raggiungere l'alta cima dello spirito, lottando contro il mondo e le cose, contro l'orgoglio ed il dubbio. Nel fermento delle grandi idee, nell'affanno verso le altezze fatali dello spirito, volle operando servire alle nobili cause. Anima pura di Antonio Fogazzaro, quella celebrità, che ti fu data in vita, acquisterà maggior splendore dopo la tomba, e molte pagine auree si aggiungeranno alle già pubblicate a tuo encomio: ma niun pensiero sarà più vicino a te del nostro, che or ti segue nelle alte sfere, che vivo nelle tue credenze contemplasti, ed ove ti possiamo immaginare trapassato fra gli eletti, per dare a te pure il nostro vale. (Vivissime approvazioni). [...]
BARZELLOTTI. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BARZELLOTTI. Permetta il Senato che dopo la eloquente commemorazione di Antonio Fogazzaro, fatta dal nostro illustre Presidente, dica alcune parole anche io, senza la minima pretesa di volere, non dico giudicare, ma nemmeno delineare qui nel suo complesso la ricca figura morale ed intellettuale dello scrittore vicentino; di un uomo, in cui il valore e il contenuto dell'animo era così largo e così profondo. Dirò poche parole, stretto com'ero a lui da antica, viva e calorosa amicizia, da comunanza di alcune idee, da simpatia d'intenti e da viva ammirazione per lo scrittore e per l'uomo. In Antonio Fogazzaro si è spenta una delle maggiori luci del nostro cielo letterario, non troppo oggi fittamente stellato; una delle luci maggiori, tra le pochissime nostre visibili e chiare anche al di là delle Alpi; ed una, la sola, io credo, il cui splendore scendeva come di lampada domestica fra le pareti di molte famiglie italiane, in tutti i ceti della nostra cittadinanza, fra credenti e fra non credenti, e - gloria grandissima per uno scrittore - scendeva, a consolarle, a illuminarle, nell'anima di molte donne. E questo splendore parlava anche all'animo dei popolani. Antonio Fogazzaro era, nel più alto e migliore senso della parola, uno dei nostri scrittori più popolari; direi anzi, era oggi, fra i romanzieri, l'unico veramente popolare; e soprattutto nel Vicentino e nei luoghi che egli soleva più frequentare, e che ha così mirabilmente descritti da grande pittore paesista.
Mi ricordo che questa estate, avendo io domandato, in un luogo prossimo al lago di Lugano ove fosse ad Oria la casa del Fogazzaro, parecchi popolani mi vennero subito intorno e me l'accennarono. E la ragione, o signori, secondo me, sta in ciò: in Antonio Fogazzaro scrittore vi era un uomo. Di lui si può dire quello che non si può dire purtroppo di moltissimi scrittori nostri viventi, quello che non si può dire purtroppo di una grandissima parte anche dei nostri scrittori classici, dopo Dante. In lui dietro il letterato, dietro lo scrittore, dietro il valente lavoratore dello stile, dietro il fino conoscitore delle forme dell'arte, vi era un animo umano largo, vivo, aperto soprattutto ai problemi più ardui e più penosi dello spirito moderno.
Egli è stato uno dei pochissimi - non so se debbo dire il solo dei nostri scrittori - che dopo Alessandro Manzoni, abbia fatto parlare al romanzo italiano un linguaggio umano, un linguaggio non solo comprensibile a tutti, ma che si dirigesse all'animo nostro, alla nostra società presente, ai problemi nostri, a quello che agita la nostra vita. Egli veniva, per l'abate Zanella suo maestro, dalla scuola del Manzoni, dalla vera scuola di Alessandro Manzoni, non dalla scuola (ed io, toscano, credo di poterlo dire), a cui hanno appartenuto anche parecchi toscani o toscaneggianti, i quali dalla fama, dalla gloria del grandissimo lombardo hanno tratto argomento a volersi appartare dalla tradizione classica della letteratura italiana. Egli veniva dalla scuola di Alessandro Manzoni, intesa nel suo più alto e vero senso; da quella scuola, a cui egli ha appreso l'arte di osservare e di rendere col senso e col tatto del vero l'immediata realtà della vita e degli affetti umani e delle cose di tutti i giorni; l'arte del dipingere con sincerità viva i caratteri e le forme dei vari ambienti e gruppi sociali e dei costumi popolari e provinciali.
Con Mirandaegli diede un primo saggio giovanile di produzione romantica, dalla quale si vide quanta forza di sensitività (non direi di sensiblerie) e di affetto fosse in questo scrittore, che commosse col suo piccolo romanzo in versi gran parte della gioventù italiana. Nell'animo di molti che lo lessero, giovani, quel piccolo libro è restato come un avvenimento, un'epoca della loro vita.
Ma quello era uno dei prodotti ultimi del nostro romanticismo. Poi con Malombra e altri scritti egli palesò, rivelò quello che era uno dei segreti della sua natura, qualcosa di problematico che era in lui, qualcosa di esotico, di nordico, che viveva nella sua natura di italiano settentrionale.
Poi i romanzi del gruppo che gli guadagnarono più fama: Daniele Cortis, Il mistero del poeta, Piccolo mondo antico, Piccolo mondo moderno, Il Santo, Leila.
Non ne parlerò a parte a parte, poiché voi tutti li conoscete. Osservo solo che egli in questi romanzi - ecco, secondo me, il suo più alto merito, qualunque siano i giudizi che si possano pronunziare intorno alle sue opinioni e alle sue convinzioni morali e religiose e che mi sembra non abbiano nulla che fare con la sostanza dell'arte sua - egli, in questi romanzi, osò affrontare direttamente i più intimi e ardui problemi morali della vita italiana. Domando, senza far confronti di persone, senza espormi a giudizi temerari, domando: qual è lo scrittore italiano vivente, quanti e quali sono gli scrittori italiani recenti e moderni, che abbiano affrontato direttamente nel romanzo i problemi della vita italiana? Ed uno di questi problemi, e tra i maggiori, affrontò egli nel Santo. Il soggetto, lo sento, incedit per ignes, né io vorrò trasportarvi su questi fuochi.
Antonio Fogazzaro era un credente, ma con l'animo aperto a tutti i motivi e alle ragioni del libero esame moderno e della filosofia moderna.
Egli però aveva veduto quello che parecchi pretesi educatori e guidatori, sopra tutti poi parecchi agitatori della società italiana, non hanno compreso o non vogliono comprendere.
Con la ferma dirittura della tradizione della mente italiana egli aveva veduto che questo grande fatto che si chiama la religione, qualunque sia il concetto filosofico che se ne abbia, deve essere considerato e valutato con serietà di pensiero, deve essere oggetto di profonda e rispettosa considerazione, e non è lecito ad uno scrittore, ad un filosofo, che meriti questo nome, e molto meno poi ad un educatore, di spregiare e pretendere di gettar via, come cosa che abbia passato il suo tempo, come cosa civilmente e socialmente trascurabile, ciò che per secoli, per millenni ha consolato e consola ancora milioni d'anime umane e n'è l'unica guida e sostegno morale.
Questo ha sentito e pensato Antonio Fogazzaro, e credo che non abbia avuto torto.
Lo scrittore del Santo ha portato nel problema religioso odierno, con sentimento di credente, l'abito mentale del senno civile italiano. Egli, pur nella profonda diversità di criteri storici e politici, che lo divideva dal grande segretario fiorentino, è rimasto, in sostanza nella stessa linea tradizionale, in cui era anche la mente di Nicolò Machiavelli, il quale riconosceva il grande valore sociale, civile e umano della religione.
Egli ha compreso che il problema religioso, il quale ora sorge anche fra noi e per noi, non si può risolvere con oziose e irose negazioni, col pretendere di togliere via affatto ogni contenuto e ogni forma di religiosità dalla vita italiana, ma che bisogna, è urgente tentare, anche sotto questo aspetto, anzi più in specie da questo aspetto, un rinnovamento della vita della nazione; poiché egli era un pensatore audace e un osservatore penetrante e voleva, io credo, che il rinnovamento religioso da tentarsi andasse, oltre le forme, e scendesse nell'intimo della coscienza morale del paese.
A parer suo, essa ha bisogno di esser ricondotta a quell'intima efficacia del sentimento del divino e del bene, la quale, più che in dottrine e in teorie e in dogmi, si traduce in santità e purezza di vita e in sacro fervore di opere buone.
Il Santo ha questo grande merito, di affrontare un tale e tanto problema, di accogliere in sé questo largo contenuto morale. Ed ecco come, a parer mio, si spiega il valore che il libro ha avuto, e l'effetto che ha prodotto in molti animi, anche al di là delle Alpi, specialmente in Inghilterra e agli Stati Uniti.
Se il libro avesse mancato di questo contenuto, se non fosse stato che una più o meno ben fatta sceneggiatura retorica di motivi religiosi, non avrebbe avuto l'effetto che ha prodotto. Esso è assai più che un libro di polemica religiosa messa in azione; e, tenuto conto della enorme difficoltà del cimento, a cui si è posta l'arte dello scrittore col voler creare e trasportare la figura di un santo in mezzo alla vita della società presente, bisogna riconoscere che il romanzo ha grandi bellezze e penetra nel vivo dell'anima del lettore.
Io comprendo bene, onorevoli colleghi, quanto sia difficile dare un giudizio adeguato dell'opera di questo scrittore, ch'era, come uomo, una natura così ricca e complicata, di quelle che Volfango Goethe avrebbe con un'espressione sua chiamato problematiche.
Certo le opere dello scrittore vicentino, guardate sotto l'aspetto dell'arte, porgono, da più parti, il fianco alla critica. Il romanzo del Fogazzaro difetta spesso nell'arte della composizione, della proporzione delle parti col tutto. Ogni sua produzione letteraria, prose e versi, romanzi e liriche, può, per più aspetti provocare il giudizio severo di un fine ed esperto conoscitore della purezza del materiale e delle forme della nostra lingua.
Ma dopo che il critico ha tenuto conto di tutti questi elementi, che entrano nel giudizio da dare intorno al Fogazzaro come artista e come romanziere, quello che ci resta innanzi è ancora lo scrittore il più significativo e il più denso di contenuto che abbia la letteratura del romanzo italiano contemporaneo. Alcune sue figure, specialmente di donne, io credo rimarranno vive.
La complicazione stessa della sua natura pensosa e meditativa, della forma intima del suo ingegno, mostra quanto fosse ricca la sua mente, l'anima sua, quali e quante poderose energie di pensiero abbia dovuto avere in sé questo spirito penetrante e spesso dubbioso, questo debole (così lo chiamano oggi alcuni suoi critici), questo credente che era pur liberissimo nel fondo del suo pensiero, per potere, in mezzo alle incertezze e alle lotte morali de' suoi tempi, dare concretezza e solidità di arte all'opera sua. E se questa è pur piaciuta a molti, un tal fatto ha un grande significato. È ch'egli, appunto coi suoi dubbi, con le sue incertezze, con le sue titubanze e le sue delicate intimità morali, ha rappresentato in sé gran parte dell'anima nostra, dei suoi problemi, delle sue lotte, delle sue preoccupazioni, dei suoi cimenti intellettuali, morali, sociali, politici. E detto questo, io domando di nuovo: chi è tra i nostri scrittori viventi che abbia fatto lo stesso, e che, facendolo, abbia ottenuto, in mezzo a molte inevitabili opposizioni, una simile eco larga ed intensa di consentimento e di simpatia?
Antonio Fogazzaro - ecco dove sta, a parer mio, la sostanza del suo valore anche come poeta e come romanziere - ha reso sotto più aspetti il fondo dell'anima e della vita italiana contemporanea, con squisita finezza ed efficacia d'arte e con grande sincerità d'intenti e di sentimenti. Poiché egli è stato innanzi tutto uno spirito assetato di chiarezza morale di rettitudine, uno scrittore, in cui dietro alle forme dell'arte stava una coscienza sempre pronta a farle valere, a farle essere una forza della vita italiana. (Approvazioni).
COLLEONI. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
COLLEONI. Commosso all'annuncio della morte di Antonio Fogazzaro avvenuta stamane, io suo concittadino e vecchio amico, esprimo qui in Senato il più profondo rammarico.
Troppo sono turbato per potere con serenità commemorare l'illustre estinto. Lo hanno fatto già degnamente ora il nostro illustre Presidente e il senatore Barzellotti, ricordando il sommo letterato, il romanziere dalle alte idealità, il poeta gentile, l'uomo virtuoso, benefico. Io dico soltanto che non solo Vicenza e l'Italia piangono il figlio glorioso, ma lo si piangerà pure dovunque sia penetrato il riflesso della sua anima bella, del suo lucido intelletto.
Propongo che il Senato mandi alla famiglia ed alla patria Vicenza le sue condoglianze. (Bene). [...]
CREDARO, ministro della pubblica istruzione. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CREDARO, ministro della pubblica istruzione. Il Governo sente col Senato la gravità delle perdite qui annunziate con nobili parole dall'illustre Presidente: [...] Ma come può il Governo, come posso io che ho l'onore di reggere il dicastero della pubblica istruzione, trovare parole degne per esprimere il nostro dolo alla notizia della morte di Antonio Fogazzaro?
Ricordo l'emozione dei cinque anni or sono io provai trovandomi per la prima volta a colloquio con quest'uomo, che con la sua opera di scrittore tanto aveva giovato alla gioventù nostra, tanto aveva influito sull'animo mio!
Antonio Fogazzaro, profondamente religioso e fermamente liberale, portò nella vita convincimenti saldi e altissimi. Egli, mentre vivace e passionata ferveva la battaglia intorno all'opera sua, ad un amico che l'interrogava e lo spingeva a difendersi, rispose con una parola sola: Silentium.
Giacomo Zanella che gli fu amatissimo maestro, assomigliò la figura di Antonio Fogazzaro ad una bella statua greca, nella quale viveva il soffio di un'anima moderna. E nel leggere certe pagine sublimemente educatrici di Antonio Fogazzaro, io correva col pensiero ad alcune pagine di Platone, il quale ad Antonio Fogazzaro dette sicuramente suggerimenti e pensiero.
Negli scritti di Antonio Fogazzaro, si trovano riunite insieme e armonicamente contemperate poesia e storia, filosofia e fede, scienza e religione, natura ed arte. E tutti questi motivi dell'anima umana contribuivano a rinvigorire l'opera sua, ad elevare il suo pensiero, e mai in quella vita che pure ebbe tanti infortuni, che passò tra le battaglie per il pensiero, mai in quella vita noi troviamo un momento di debolezza, anche quando parve che ripiegasse.
Signori senatori, quando pare che in noi minacci di affievolirsi l'entusiasmo per l'educazione morale della gioventù italiana, l'opera di Antonio Fogazzaro, l'esempio della sua vita illibata, il suo idealismo forte, puro, classico e moderno ad un tempo, infonda nuova energia e nuovo coraggio. (Vivissime approvazioni).

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni,7 marzo 1911.