FINALI Gaspare
20 maggio 1829 - 08 novembre 1914 Nominato il 09 novembre 1872 per la categoria 03 - I deputati dopo tre legislature o sei anni di esercizio provenienza Emilia-RomagnaCommemorazione
Atti Parlamentari - Commemorazione
Giuseppe Manfredi, Presidente
Onorevoli colleghi! [.].
Giorno funestissimo fu l'8 novembre; nel mattino si spense il senatore Finali, a sera il senatore D'Ancona.
Gaspare Finali, senatore dal 9 novembre 1872, era il nostro decano venerato, ed uno de' superstiti di que' figli d'Italia, che, vedutala divisa e schiava, operarono per farla risorgere libera ed una. Nato in Cesena il 20 maggio 1829, vi cominciò gli studi, li continuò in Ancona, in Roma studiò giurisprudenza, prese laurea in Bologna nel 1850; ed in Bologna stessa contemporaneamente coltivò le belle lettere. Tornato in Cesena, diede alcuni saggi poetici giovanili. Volta la mente agli studi economici e del commercio, pubblicò nel 1855 il libro Memorie sul commercio e sulla viabilità tosco-romana. Essendo stato nel 1848 e 49 dell'Associazione democratica Italiana e segretario del Circolo popolare di Cesena, sospetto alla reazione pontificia, soffrì persecuzione e se ne sottrasse riparando in Toscana e dalla Toscana in Piemonte. In Torino egli agì con la Società nazionale italiana; e fu segretario del Comitato centrale dell'emigrazione Italiana. Insorte nel 1859 le Romagne, fu in Bologna segretario del governatore Cipriani; e quando, dopo la pace di Villafranca e le dittature di Modena e Parma, il Farini ebbe costituito il Governo dell'Emilia, il Finali andò al gabinetto del ministro dell'Interno Mayr. Più tardi, occupate le Marche, lo si vide consigliere a lato del commissario Valerio. All'Assemblea costituente delle Romagne fu il deputato di Cesena. Fatte le annessioni dell'Emilia e della Toscana al Regno di Vittorio Emanuele, l'elesse al Parlamento il collegio II di Cesena nella VII legislatura; ma non lo rappresentò che nella IX per l'incompatibilità del mandato politico con un impiego di Governo, che teneva; e tornò alla Camera per Belluno nella X. Più furono gli uffici ed incarichi amministrativi e politici che adempì, in istima e confidenza del Farini, del Minghetti, del Ricasoli, del Rattazzi e del Sella. Nell'amministrazione finanziaria pervenne alla Direzione generale del demanio e delle tasse nel 1867; e salì in tal considerazione, che nel 1869 entrò consigliere alla Corte dei conti, che l'ebbe poi lungamente presidente eccellentissimo.
Il suo sapere specialmente di materie finanziarie, commerciali ed economiche, come de' principali uomini di Stato, gli procacciò il favore della Camera elettiva, alla quale fu assiduo e sommamente operoso. Il merito patrio, il valore, il partito e le amicizie, particolarmente quella di Marco Minghetti, gli aprirono la via al potere; nel gabinetto Menabrea del 1868-69 fu segretario generale del ministro delle finanze, ministro Cambray-Digny; e vi rimase col Sella, collo Scialoja, col Depretis e col Ferrara. nel gabinetto Minghetti, ultimo dell'antica Destra, dal 1873 al 1876, fu ministro d'Agricoltura, industria e commercio; nel primo gabinetto Crispi dal 1889 al 1891, ministro dei Lavori pubblici; sulla fine del gabinetto saracco entrò ministro del Tesoro. Senatore, anche qui attrasse, come alla Camera, deferenza ed acquistò autorità. Quanta egli sempre ne godette non fa d'uopo ch'io dica. Era in tutto, che più importava al Senato; era in tutto, che più degnamente lo dovesse rappresentare. L'avemmo vicepresidente nella 2ª e 3ª sessione della XXª legislatura ed in tutta la XXIª. Per lungo tempo sentiremo grande mancanza, più non vedendolo. La Commissione di finanze ha perduto il presidente acclamato di più diecine d'anni. Quanta somma di merito verso la patria, verso lo Stato, se contiamo tutti gli uffici ed incarichi parlamentari e ministeriale, che adempì, tutte le commissioni, cui presiedette! Né mancò l'opera sua illuminata agli uffici amministrativi comunali di Cesena e di Roma.
Gli studi economici e finanziari non gli fecero mai abbandonare le lettere e perdere l'amore ai classici ed il gusto della latinità dimostrato nella traduzione di Plauto. Rimangono di lui scritti letterari e politici, di storia ed arte, in opuscoli e riviste. Tenne conferenze; e più d'ogni altra fu applaudita quella commemorativa di Marco Minghetti in Bologna nel 1888. Bologna nel cinquantesimo anniversario della sua liberazione onorò di medaglia d'oro l'illustre patriotto romagnolo, ministro di Stato, accademico ai Lincei, cavaliere dell'Ordine del merito civile di Savoia e del Supremo della SS. Annunziata. Il suo culto ai ricordi del patrio risorgimento, che consacrò negli scritti, lo faceva entusiastico del monumento a Vittorio Emanuele, ed indefesso nella Commissione esecutiva, della quale era presidente. Fu esaudito il suo voto di vederlo inaugurato. A Gaspare Finali sopra gli altri onori è serbato quello di figurare nel Museo del risorgimento nella mole sacra collocato. (Benissimo). [...]
SALANDRA, presidente del Consiglio, ministro dell'interno.Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SALANDRA, presidente del Consiglio, ministro dell'interno.Con animo commosso e reverente il Governo si associa alle nobili parole pronunciate dal Presidente del Senato per onorare la memoria degli eminenti uomini che il Senato ha perduto.
Il meritato compianto del paese ha accompagnato all'ultima dimora Emilio Visconti-Venosta e Gaspare Finali. I loro nomi rimarranno scritti nel libro d'oro del risorgimento italiano.
La tarda età li aveva esclusi ormai dagli uffici attivi; ma risplendeva diritta e lucente, come sempre, la fiamma della loro mente, alimentata dal più puro, dal più nobile patriottismo.
Prezioso sarebbe stato il loro consiglio nell'ora storica che attraversiamo; ci sorregga l'esempio della loro vita, consacrata gloriosamente tutta al servizio della patria. (Approvazioni generali).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il senatore Tittoni, primo iscritto.
TITTONI. Poche volte la parola mesta e solenne del Presidente ha annunciato al Senato perdite così gravi per la patria.
Innanzi alla pleiade di uomini insigni che scompare, torna alla mente il pensiero malinconico di un uomo di Stato, il quale, vedendo morire in breve spazio di tempo molti contemporanei suoi di grandissimo valore, ebbe ad esclamare: "Sembra quasi che la morte abbia dei momenti nei quali, con speciale cura, vada alla ricerca delle personalità più elette!".
Io mi sentirei tratto a parlare di ciascuno di essi, poiché nei pubblici uffici ebbi l'onore di trovarmi a collaborare con Emilio Visconti-Venosta, con Gaspare Finali, con Antonino Di San Giuliano, con Giorgio Arcoleo. Né vorrei tacere di Alessandro D'Ancona. Ma per tutti potrei ripetere la frase di Cicerone, il quale assicurava un posto speciale agli Elisi omnibus qui patriam conservarint, adiuverint, auxerint. [...]
Due dei colleghi che commemoriamo, Visconti-Venosta e Finali, appartenevano a quella generazione che iniziò l'unità d'Italia e della quale il nostro Presidente Manfredi rimane uno dei pochi e gloriosi superstiti. (Approvazioni - Vivissimi applausi).Insieme a lui siedono ancora in Senato alcuni valorosi combattenti delle prime battaglie dell'indipendenza nazionale, circondati tutti dal nostro affetto e dalla nostra venerazione. (Benissimo).Gli uomini di quella generazione consacrarono alla patria tutta la loro esistenza e forse mai come oggi sarà stato opportuno ricordarne e celebrarne le virtù, i sacrifici, lo spirito di concordia e di abnegazione.
Inspiriamoci dunque, carissimi colleghi, a quei grandi esempi e confidiamo che, nella grave ora presente, sappiano e vogliano dar prova di concordia e di abnegazione le diverse parti politiche, le quali, mentre perseguono fini di partito, non devono dimenticare che c'è qualche cosa al disopra di esse, al disopra di tutti, al disopra di tutto: l'Italia! (Applausi vivissimi).[...]
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole senatore Chimirri.
CHIMIRRI. Furono parecchie e gravi le perdite fatte dal Senato durante le vacanze.
Di tutte disse parole degne e commoventi l'onorevole nostro Presidente. Mi sia concesso di recare un tributo di sincero rimpianto alla cara memoria del marchese Emilio Visconti Venosta, di Gaspare Finali e del marchese Di San Giuliano, coi quali ebbi maggiore consuetudine, comunanza di idee e solidarietà di azione nelle lotte della politica.
Nella vita operosa di quei sommi si riepiloga e rispecchia larga parte delle vicende avventurose che contribuirono all'unificazione della patria. [...]
Gaspare Finali, in giovinezza, fu anch'egli un ribelle, e rimase sempre un avanzo simpatico e geniale delle coraggiose cospirazioni romagnole del buon tempo antico quando si cospirava per fare l'Italia non per disfarla. (Benissimo).
Visconti e Finali, anime ardenti di patrioti e di artisti, innamorati degli stessi ideali, devoti alla medesima causa, si incontrarono nel 1859 a Torino, l'uno profugo da Milano, l'altro da Cesena.
Quivi conobbero il conte di Cavour e Luigi Carlo Farini, guadagnandone la stima e la fiducia, e vennero fin d'allora adoperati in incarichi ed uffici delicatissimi, che furono scala alla magnifica e rapida ascensione, cui erano destinati.
Entrambi, dopo il 1860, collaborarono, secondo la loro speciale competenza, con Minghetti, Sella e con gli altri maggiori uomini della Destra, a comporre gli organi amministrativi, politici e finanziari del nuovo Regno. [...]
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole senatore Faldella.
FALDELLA. Onorevoli colleghi! Contrassi intrinseca amicizia con Gaspare Finali nella villa di un altro nostro compianto ed eminente collega, Tullo Massarani, il quale si compiaceva convitare in settembre, a Verano di Brianza, numerati amici; e tra essi, oltre ad insigni personaggi e gentili rappresentanti di storiche patriottiche famiglie, comprendeva democraticamente modeste persone come me e come il direttore della tipografia del Senato, l'arguto cavaliere Clemente Bobbio, testé anch'esso mancato ai vivi. Ci vorrebbe, o signori, lo stile classico dei dialogisti greci e latini e del nostro cinquecento per riferire quelle conversazioni amene ed illustri. Tullo Massarani, patriota d'animo universale, commentando il "Sant'Ambrogio" del Giusti, notava come il poeta satirico e sentimentale vi avesse dal patriottismo preconizzato, quasi estratto, l'amore umano delle varie genti; annotazione purtroppo di attualità negativa nell'orrendo strazio della guerra presente. Gaspare Finali osservava essere certi concetti poetici del Giusti quali ciliegie nello spirito. Egli, Finali, con nuova attrattiva di colori descriveva la presentazione, già riferita in un pubblico discorso, che Luigi Carlo Farini aveva fatto di lui a Camillo Cavour. Si rinfrescavano gli epigrammi parlamentari del Prati e del Giorgini. Clemente Bobbio rifaceva il verso di oratori caratteristici del Parlamento subalpino. Allora appunto Gaspare Finali combinava la pubblicazione di tutte e venti le commedie di Plauto da lui tradotte con mirabile lucidità, ed io troppo fiduciosamente disegnava uno studio sul sale plautino e sui suoi derivati, da Marco Plauto a Marco Twain, quasi pretesa appendice all'ampia storia dell'umorismo dataci da Tullo Massarani. La conversazione settembrina si protraeva poi in annuale carteggio; ed io serbo preziose lettere anche del Finali, il quale una volta in confidente e largo abbandono tra il serio ed il faceto mi scriveva: "Tu, che a paragone mio sei un giovinetto, farai in Senato la mia orazione funebre".
Ma non solo per il titolo di amicizia che voi, maggiori di me, avete maggiore, io chiesi licenza di discorrervi di Gaspare Finali. Si è sopra tutto per mandare alla sua alta e cara memoria un saluto a nome della mia terra natia che egli ha singolarmente onorata. La vita intera di Gaspare Finali è passata nel nobile epicedio letto dal nostro Presidente; è passata nelle parole eloquenti del presidente dei ministri e in quelle pure toccanti degli altri onorevoli oratori, e passerà con un particolare tocco di commozione nell'omaggio del mio vicino, onorevole Saladini suo concittadino di Cesena. Ma lasciatemi, vi prego, considerare alquanto Gaspare Finali nel mio Piemonte.
Cospirando nella sua Romagna per la redenzione italiana, egli tra gli ardenti spiriti repubblicani precorse a Daniele Manin, nel promettersi alla monarchia piemontese, se questa assumesse l'impresa dell'unità e della libertà italiana. Minacciato nel capo dalla tirannia papalina-austriaca, egli per amore della patria grande, riparò nel piccolo Piemonte (1).
Quivi non volle pane, che non fosse guadagnato con un lavoro onesto, fosse pur umile. Oh! gli esempi sublimi di quella patriottica virtuosa emigrazione!
Il Finali per la sua primazia negli studi classici, già desiderato sulle vie d'una eccelsa prelatura, già avvocato di polso, e pubblicista di grido, domandò una Cattedra di maestro elementare a Tronzano, modesto comune dell'agro mio vercellese, e la ottenne per poco tempo a Carmagnola. Così Francesco Crispi aveva aspirato al posto di segretario comunale a Verolengo, borgo vicino alla mia nativa Saluggia. Così Luigi Carlo Farina già viceministro a Roma del papa di italiane liberali speranze e già ministro del Re Galantuomo a Torino, aiutava il mio povero padre medico, durante una fiera pestilenza, a curare i colerosi nella stessa Saluggia.
Si pubblicò dell'avvocato Finali divenuto segretario degli omnibus in piazza Castello a Torino. Andò ragioniere per una società forestale in Sardegna; e quella carica di contabile boschivo gli fu lontano preludio alla presidenza della Corte dei conti del Regno d'Italia.
Egli, col suo lavoro, provvedeva pure al fratello Amilcare, cantore di Re Carlo Alberto, poeta soldato e soldato infermiere, da lui detto cuore d'eroe, che cessò troppo presto dal battere.
Ma era scoccata in Piemonte l'ora della liberazione italiana. E riecco Gaspare Finali a Torino, in comitato con Luigi Carlo Farini e Terenzio Mamiani, a ricevere fraternamente i numerosi volontari romagnoli accorrenti ad ingrossare le fila dell'esercito liberatore. Smaniava anche Gaspare Finali di farsi soldato, come furono i valorosi fratelli suoi Amilcare e Francesco; ma Cavour, sentita la incompetenza di lui a comandare pur ad un plotone, lo volle più efficacemente applicare ad importanti uffici politici.
Pertanto anch'egli, come Emilio Visconti Venosta, poté cooperare a quella dittatura dell'Emilia, che dopo l'arresto di Villafranca, temuto come una fatale irrimediabile stroncatura, fu la maggiore rivalidazione del moto per la libertà e l'unità italiana, dittatura dell'Emilia tenuta potentemente da Luigi Carlo Farini, del quale il precipuo cooperatore e coadiutore è stato il nostro attuale venerando Presidente, Giuseppe Manfredi, con l'abnegazione, l'intelletto e il nerbo del suo patriottismo sempre provvido e giovanile. (Vivissime approvazioni).
A Pratolino, il Finali perorò utilmente, affinché non si rompesse la lega militare tra l'Emilia risorta e la Toscana liberatasi. Accompagnò, come ben ricordava il nostro venerato Presidente, accompagnò quale segretario e consigliere a latere,il democratico piemontese Lorenzo Valerio, nel Governo civile delle Marche, mentre l'esercito del Re liberatore si avanzava a debellare gli stranieri crociati del potere temporale.
Accompagnò il plebiscito dei marchigiani portato in Napoli al monarca, che per la nuova Italia saldava l'anello tra il valore secolare della sua stirpe ed i miracoli della recente epopea garibaldina.
Il libro di Ricordanze delle Marcheè forse il migliore dei libri di Gaspare Finali; e ad esso con modestia gentile egli premise non il proprio ritratto, ma quello del R. Commissario Lorenzo Valerio suo capo subalpino, a cui rassomigliava nelle fattezze erculee. Gli è soprattutto di queste gentilezze onorifiche pel Piemonte, che intendo attestare grazie alla sua cara ed alta memoria. Scrittore di energia e semplicità classica, che padroneggiava i soggetti e gli argomenti sviscerandoli con sicurezza latina, egli nel suddetto libro delle Marchee nella Vita politica d'illustri contemporanei,diede ritratti e quadri preziosi alla storia della redenzione italiana. Ma se egli penetrò col suo stile nelle vene marmoree, granitiche di quell'anima di porfido che fu il barone Bettino Ricasoli, se scolpì magnificamente la figura splendida di Luigi Carlo Farini, duumviro con il Ricasoli nella liberazione e nella salvezza dell'Italia centrale; se investì erese tutte le virili eleganze di Terenzio Mamiani e di Marco Minghetti, egli patriottico Plutarco accarezzò di particolare ammirazione i grandi patrioti piemontesi. Egli segnalò nel Rinnovamentodel sommo filosofo subalpino Vincenzo Gioberti le fondamenta dell'Italia attuale.
Egli aggiunse luce alla geometria cristallina del biellese Quintino Sella. Egli fece rifulgere l'immagine del torinese Camillo Cavour ai giovani della sua Cesena, mostrandolo come il fattore principale, più pratico e luminoso della libertà e dell'unità d'Italia, dalle labbra del quale egli aveva raccolta la dichiarazione che la libertà era il suo diritto divino per la causa italiana.
E che stupendi quadri storici egli ci diede di Vittorio Emanuele II, mostrandosi ben degno di curare qui a Roma la erezione del sovrano monumento al Re padre della patria! Ad esempio, il quadro che rappresenta la cavalcata del biondo e robusto Re di Sardegna a Torino nella festa dello Statuto, la cui osservanza leale e coraggiosa gli procurerà la corona d'Italia; ed il quadro che raffigura l'accompagnamento del Re liberatore alla Sacra casa di Loreto. Nel Finali, come nella maggiore parte degli eccellenti patrioti da lui ritratti, e specialmente in Bettino Ricasoli, era degna l'attenzione al sentimento religioso per la patria e per la civiltà umana. Onde il nostro romagnolo, che aveva giocata la propria testa ad abbattere il potere temporale dei papi, lodò storicamente in Pio IX, al pari della primigenia benedizione data all'Italia, l'ultimo passaporto spirituale concesso al gran Re pel Paradiso.
E quando Leone XIII fu chiamato arbitro da due grandi potenze nella contesa di isole lontane, Gaspare Finali disse a Tullo Massarani: "Grazie all'abolizione del potere temporale, questo papa è proprio divenuto la prima persona morale del mondo". Pensieri alti, pensieri straordinari, come i grandi scomparsi!
Elogiando Marco Minghetti nella sua Bologna, l'anno dopo la sua morte, il Finali asserì: "I grandi uomini vincono presto la tristezza della morte e della tomba e rifulgono di vita nuova e più bella nella immortalità".
Ritornando alla realtà passata, lasciatemi ancora ricordare che Gaspare Finali frequentò fin da giovane la mia Saluggia a cagione dei Farini. Ed il mio paese nativo deve essergli particolarmente riconoscente, perché egli scrisse le nobili vite dei suoi due più illustri consiglieri comunali, che furono appunto Luigi Carlo e Domenico Farini, pure marziale Presidente del nostro Senato. Egli aveva posto pur degnamente affetto e stima al mio povero padre, medico e sindaco del paese, ed il tratto delle preziose lettere da lui direttemi, più commovente è stato certo, quando mi ritrasse, come se la rivedesse, la figura onesta e modesta del mio povero padre sull'uscio della nostra modesta casetta, donde si recava a visitare gli ammalati, ad amministrare il municipio e ad affratellarsi con gli amici patrioti, emigrati da altre parti d'Italia.
Mi ritorna infine una visione che ebbi fanciullo. Ricordo che alla stazione ferroviaria di Saluggia una volta scesero due giovani alti, l'uno biondo, radioso, l'altro bruno ed atletico. Domandarono l'indicazione della casa del cavaliere Farini, che allora era il fulcro degli emigrati patrioti forti ed intellettuali, compreso Alessandro D'Ancona, di cui oggi pure piangiamo la dipartita. Di quei due giovani che si recavano ad indettarsi col futuro dittatore dell'Emilia, l'uno Emilio Visconti Venosta, già cospiratore con l'apostolo Mazzini, diventò milite di Garibaldi, commissario di Cavour ed uno dei più elevati diplomatici di Europa per il bene della patria; l'altro, Gaspare Finali, uscendo pur egli dalle più focose aspirazioni repubblicane, divenne inclito ministro dei tre primi Re dell'Italia libera ed unita.
Possa la visione di così esemplari altezze passare dal Senato alla odierna gioventù d'Italia! (Approvazioni vivissimi applausi). [...]
PEESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole Saladini.
SALADINI. Signori senatori. Dopo tanto pregio di autorevoli commemorazioni, e specialmente dopo il geniale, aneddotico ed eloquentissimo discorso col quale l'egregio nostro collega Faldella ha voluto commemorare Gaspare Finali, io non avrei ragione di parlare, se non mi chiamasse a farlo un sentimento di sacro dovere e di sacro affetto che ho sempre avuto per lui, se non sentissi questo dovere anche perché ebbi comunanza di natali con l'illustre uomo nella stessa terra romagnola.
Il silenzio sarebbe più corrispondente all'ora presente e allo stato dell'animo mio, ma per conciliare l'un sentimento con l'altro, sarò brevissimo.
Da lungo tempo (lungo perché contristato spaventosamente da grandi stragi guerresche) in questo vecchio mondo si devastano, si sopprimono tesori di vite, di energie, di ricchezza, oltraggiando natura, arte, umanità, cosicché viviamo in un'affannosa angoscia.
Eppur tuttavia oggi più ancora dolorosa è la nostra commozione per la morte, per la perdita di cittadini così preclari, di colleghi così illustri e gloriosi, come ci ha ricordato con commossa parola il nostro illustre Presidente.
Perché noi, dinanzi alla morte e alla perdita di questi illustri cittadini sentiamo tanto dolore?
Perché in essi, con l'uomo, scompare dalla vita del paese un simbolo che era decoro, orgoglio e presidio nostro; si allontana dal paese una luce che aveva cominciato a splendere nei primordi dell'italico risorgimento, e fino a questi ultimi giorni aveva continuato serena, fulgida, a scorgere, illuminare, le vie più rette e sicure per raggiungere l'agognata meta di una completa grandezza nazionale.
E sentiamo che la patria in questo momento, colpita da gravi preoccupazioni, poteva da tali uomini, come ben disse il presidente del Consiglio testé, avere ancora preziosi consigli.
Ma ci conforti il pensiero che le loro memorie ci saranno tutelari, ci conforti il pensiero che i nostri reggitori attuali onorano, custodiscono quelle memorie e ne saranno degni illustratori, continuando, completando, con non minore senno, con non minore patriottismo, l'opera di quei grandi.
E lasciate che, richiamando dopo la maggior patria quella minore, che pur fu tanto cara a Gaspare Finali, la Romagna, io ricordi come fino dall'età più giovanile egli avesse ardimento e fortuna di vessillifero delle liberali aspirazioni romagnole; poscia, per tutta l'operosa sua vita, con altezza di intelletto e di cultura, con genialità e nobiltà di costume semplice, integro, veramente democratico, con la tempra dell'antico romagnolo, abbia sempre lavorato indefesso, costante per la fede politica giurata, per la civiltà, per il diritto, per il progresso razionale delle istituzioni e del popolo, per la salute d'Italia, (Approvazioni).[...]
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole senatore Tami.
TAMI. [...] Giacché ho la parola, compio anche il dovere di rivolgere un mesto e devoto omaggio alla memoria di Gaspare Finali che ebbi l'onore di avere a presidente nel supremo magistrato contabile. (Approvazioni).[...]
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole senatore Ponti.
PONTI. [...] E gli amici milanesi si associano pure ai fratelli d'Italia, nel porgere tributo di compianto e di onore alla memoria di Gaspare Finali, il venerato patriota e parlamentare insigne, alla memoria del marchese Di San Giuliano, di cui saranno mai sempre ricordate e lodate l'importanza dei servigi resi allo Stato, e l'impronta ovunque lasciata della fervida genialità nativa, l'alta idealità di italica religione, la stoica fortezza tra i lunghi patimenti e di fronte alla morte. (Approvazioni vivissime).
BLASERNA. Domando di parlare.
PEESIDENTE. Ne ha facoltà.
BLASERNA, vicepresidente della Commissione di finanze.A nome della Commissione permanente di finanze, che in questo momento ho l'onore di rappresentare, mando alla memoria di Gaspare Finali un reverente ricordo. Finali fu per molti anni il nostro illustre Presidente, il quale con mano maestra ci ha guidati attraverso i meandri dei bilanci ed ha tenuta alta la bandiera del controllo profondo ed indipendente.
Gaspare Finali fu socio dell'Accademia dei Lincei. Egli vi si trovava bene in mezzo ai suoi colleghi, per la ragione che egli sentiva quanto era amato.
Al grande maestro della Commissione di finanze, all'illustre linceo i miei riverenti saluti. Propongo di inviare condoglianze all'illustre vedova. (Vive approvazioni).[...]
PRESIDENTE. Mi farò un dovere di adempiere a tutti i desideri espressi dagli onorevoli senatori.
(1) V. La fuga di una testa calda,narrazione della esimia scrittrice signora Caterina Pigorini-Beri nella Gazzetta del Popolo della Domenica,n. 35, Torino, 28 agosto 1898.
Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 3 dicembre 1914.