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FERRARA Francesco

07 dicembre 1810 - 22 gennaio 1900 Nominato il 12 giugno 1881 per la categoria 03 - I deputati dopo tre legislature o sei anni di esercizio provenienza Sicilia

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Giuseppe Saracco, Presidente

Signori senatori! Altri cinque colleghi, oltre il sesto ricordato ieri con particolare reverenza, dal 30 dicembre in poi, sono scesi nel sepolcro! Il commendatore De Filpo, il conte Finocchietti, il generale Cucchiari, il professore Ferrara ed Isacco Artom. [...]
Una perdita altrettanto dolorosa nel campo della scienza era riserbata in questi ultimi giorni al Senato del Regno. Francesco Ferrara, uno dei più insigni cultori delle dottrine economiche, quegli che i dotti soleano chiamare il maestro, cessava di vivere il 22 del corrente gennaio in Venezia, dove da parecchi anni dirigeva la Scuola superiore di commercio.
Francesco Ferrara era nato in Palermo nel giorno 7 dicembre 1810, ed era perciò entrato nel novantesimo anno di vita, quando fu colpito da morte pressoché repentina.
Nato e cresciuto nella città dei Vespri, il nostro Ferrara doveva essere e fu realmente uno fra i più ardenti e sinceri patrioti del suo tempo, destinato pertanto a soffrire il carcere e le persecuzioni borboniche; ma investito per ciò stesso della fiducia de' suoi concittadini, che lo inviarono a Torino insieme ad altri valorosi, con l'incarico di offrire la corona dell'Isola al duca di Genova, il valoroso soldato di Casa Savoia. Fu grande ventura per lui, e per la scienza, perocché bandito dall'isola nativa, fu chiamato di un tratto per i meriti scientifici che già gli aveano procacciata fama di valente economista, a professare nell'ateneo torinese fra il plauso di numerosa scolaresca, che doveva anch'essa salire più tardi agli onori della cattedra e del foro, e primeggiare nella vita pubblica italiana.
Francesco Ferrara fu principalmente un grande economista. Giovanetto ancora, era già a capo dell'ufficio siciliano di statistica, ma fu particolarmente in quel lungo periodo di tempo che resse la Cattedra di economia politica nell'Università di Torino, che si svolse il brillante ingegno di quell'uomo, acclamato nel mondo dei dotti come uno dei più stimati economisti del suo tempo. Non è certamente di lui, e delle opere sue, che Adolfo Thiers avrebbe osato profferire quel giudizio assai poco lusinghiero che gli piacque lanciare contro gli scritti degli economisti.
Ragion voleva pertanto che le porte del Parlamento si aprissero innanzi a questo ingegno veramente originale, e starei per dire meraviglioso. Noi lo troviamo eletto a rappresentare il collegio politico di Caccamo durante la legislatura ottava, e nominato contemporaneamente dai collegi politici di Andria, Sala Consilina e Caccamo nella legislatura decima; finalmente nelle tre legislature successive, dal collegio I di Palermo, fino a che nel 12 giugno 1881 fu nominato senatore del Regno.
Nel 1867, Francesco Ferrara era consigliere della Corte dei conti, quando fu chiamato da Urbano Rattazzi a reggere il dicastero delle finanze, ma erano scorsi men che tre mesi allorché egli si dimise dall'ufficio per divergenza di pareri in una delle grandi questioni che in quel tempo si agitavano in paese, onde preferì fare ritorno a' suoi studi prediletti. Più tardi, fu chiamato a reggere la Scuola superiore di commercio di Venezia, e con qual cuore, e con quanta fortuna l'illustre uomo abbia retto l'ufficio per lungo volgere di anni potrebbero dire soltanto, con verità e giustizia, quei molti che più di ogni altro, lamentano la perdita del venerato maestro, e ne raccolsero i preziosi insegnamenti.
Sventuratamente, il Ferrara non era più da alcuni che un semplice spettatore, e nel nostro Senato non fece udire la sua voce autorevolissima, ma non è men vero, che con lui si è spenta una delle più fulgide glorie d'Italia. L'illustre uomo aveva già eretto un monumento a se stesso con numerosi scritti, particolarmente con l'Economia politica presso gli antichi, e con l'Importanza dell'economia politica,e sì ancora con le splendide lezioni impartite per molti anni nell'Università di Torino; ma se noi non andiamo errati, l'opera magistrale e la più proficua che rimarrà principalmente di lui, si troverà nelle sue mirabili prefazioni alla Biblioteca degli Economisti che a giudizio dei dotti furono chiamate, e sono realmente "un esempio meraviglioso di chiarezza e di larghezza di idee, di dottrina soda, di critica che si ravviva nello studio diretto delle necessità politiche e sociali".
Ond'è che di Francesco Ferrara si è giustamente scritto, e da questo banco mi è grato ripetere e confermare, che tutta una generazione si abbeverò alle fonti limpide della sua dottrina e la sua produzione scientifica, così ricca e varia e forte dovrà essere studiata da chiunque voglia tutti conoscere i segreti dell'economia politica.
Io non saprei dir meglio, né più, perché già non si debba intendere, che con la morte di Francesco Ferrara l'Italia ha perduto un meraviglioso ingegno ed un benemerito educatore; il Senato una delle sue più grandi illustrazioni scientifiche. (Approvazioni). [...]
CANNIZZARO. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CANNIZZARO. Signori senatori. Per onorare la memoria del mio antico collega, maestro ed amico Francesco Ferrara, la ma voce sarebbe superflua dopo l'eloquente commemorazione fattane dal nostro Presidente. Ma essendo io tra i pochi, tre o quattro, superstiti del Parlamento siciliano del 1848, credo mio dovere di aggiungere la mia testimonianza intorno alla grande ed efficace azione esercitata da! Ferrara nel preparare la rivoluzione siciliana del 1848 e nell'avviarla a quella meta compiuta solamente nel 1860, meta che il venerando Ruggero Settimo scolpiva in quella eloquente invocazione a Dio con cui chiudeva il suo discorso di apertura del Parlamento siciliano, invocazione che piacemi, o signori, leggere, perché è la vera, sincera espressione dei concetti che diressero i promotori del movimento siciliano, tra i quali il Ferrara, intimo consigliere di Ruggero Settimo.
Quella solenne invocazione fu inoltre il primo anello d'una catena che collegò il '48 al 1860, nel quale ultimo anno si compirono felicemente le aspirazioni di quel primo moto.
Ecco le parole di quella invocazione fatta dentro il tempio di S. Domenico da Ruggero Settimo:
"Che Iddio benedica e inspiri i voti del Parlamento indirizzati a questo santo scopo, che egli riguardi benignamente la terra di Sicilia e la congiunga ai grandi destini della nazione italiana libera, indipendente ed unita".
Signori, gli storici sogliono accordare una grande importanza agli avvenimenti rumorosi come le sommosse e lo guerre, ma spesso non investigano con eguale diligenza le vere cause profonde, qualche volta remote, di quelli avvenimenti, quali sono l'azione continua esercitata sulle popolazioni dai pensatori e dagli scrittori, cioè gli effetti della lunga e premeditata propaganda.
In Sicilia, difatti, Michele Amari colla sua Storia dei Vespriaveva risvegliato il sentimento della resistenza alla tirannide; immediatamente un gruppo di cultori di scienze sociali e di illustri scrittori si accinsero a compir l'opera preparando, coltivando, direi disciplinando, questi sentimenti di resistenza alla tirannide, e armonizzandoli con tutte le nuove tendenze e i nuovi fatti che si venivano manifestando nella penisola.
Di questo gruppo il più operoso fu Francesco Ferrara, erede dei sentimenti del suo padre.
Con delle pubblicazioni di carattere puramente scientifico come quelle che si facevano nel suo pregevole giornale di statistica, colle discussioni che si facevano nel reale Istituto d'incoraggiamento di Sicilia di argomenti economici, egli trovava modo di tener vivo il sentimento patriottico, e il desiderio di un rinnovamento politico.
Ed egli con quelle continue e svariate pubblicazioni mirava sempre a tenere le popolazioni siciliane in comunicazione ed al corrente del movimento morale ed intellettuale che si veniva maturando nella penisola.
In questo momento, o signori, mi ritornano vive alla memoria tutte le discussioni alle quali, io giovanissimo, assistette come corrispondente dell'Istituto d'incoraggiamento, ed ora rapidamente fo nella mia mente la rassegna delle cognizioni di scienze che io non coltivavo e dei giudizi politici assennati che attinsi in quel corpo scientifico di cui faceva parte Emetico Amari, Ondes e Francesco Ferrara.
Simile fu l'azione esercitata sopra tutti i miei coetanei, i quali figurarono ancora giovani nel movimento rivoluzionario del 1848 animati, o signori, da nobili sentimenti verso la patria italiana.
Ma il Ferrara non si limitò a quest'azione palese; egli attivissimo studiò tutto il modo di porsi in comunicazione direttamente e per intermedi con uomini politici autorevoli in Italia e fuori. Egli amava poco stabilire relazioni od attinenze colle sette: cercò sempre coi suoi scritti di attirare l'attenzione di tutti i governi civili non solo sulle popolazioni siciliane ma sul movimento italiano in generate. Fa parte degli scritti rivolti all'opinione pubblica straniera ed italiana (scritti e ricordi che spero si raccoglieranno nei nostri archivi), quella famosa lettera di Malta, eloquentissimo programma di rivoluzione di un partito liberale moderato e monarchico, e nello stesso tempo un appello a tutta l'Europa contro la tirannide dei Borboni.
Era naturale che appena l'effervescenza del movimento insurrezionale si manifestò in Sicilia il Governo borbonico abbia messo le mani su coloro che giudicava i capi del movimento, tra i quali il Ferrara.
Nella notte dal 9 al 10 gennaio fu arrestato insieme ad Emerico Amari ed altri e chiuso nel castello, donde assistette a tutti i combattimenti che vi avvennero in quei giorni. Il Governo borbonico si ingannò, credendo che imprigionando quei cittadini si disorganizzasse la prevista insurrezione togliendone i capi: quella insurrezione scoppiò spontaneamente senza nessun vero concerto antecedente.
Fu l'effetto di quella lunga preparazione morale delle popolazioni, alla quale quei cittadini aveano tanto contribuito. Il loro arresto non distrusse gli effetti permanenti della loro propaganda i quali furono compressi ma non distrutti dalla reazione dal 1849 al 1860, e furono la vera cagione che rese agevole la seconda riscossa vittoriosa.
Per queste ragioni, o signori, io non esito a dichiarare che Francesco Ferrara deve essere considerato come uno degli uomini politici più meritevoli di essere ricordato nella storia del primo periodo del risorgimento italiano. (Bene).

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni,27 gennaio 1900.