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DURANDO Giacomo

04 febbraio 1807 - 21 agosto 1894 Nominato il 01 aprile 1855 per la categoria 03 - I deputati dopo tre legislature o sei anni di esercizio e per la categoria 04 - I ministri di Stato e per la categoria 14 - Gli ufficiali generali di terra e di mare. Tuttavia i maggiori generali e i contrammiragli dovranno avere da cinque anni quel grado in attività provenienza Piemonte

Commemorazione

 

Domenico Farini, Presidente
Signori Senatori!
Dal giorno ventitre del mese di luglio ad oggi noi avemmo a lamentare la morte dei senatori [...] Durando.[...]
Il generale Giacomo Durando fu soldato altrettanto valoroso quanto illustre statista.
Ultimo sopravvissuto del Senato Subalpino, audacemente partecipò ai fatti che prepararono il risveglio del 1848 e divenne di poi uno dei più autorevoli nel Parlamento, nell'esercito, nel Governo.
Già capo venerato di quest'Assemblea e fino agli ultimi giorni suoi qui frequente e da tutti amorevole, la nobile sua persona rammentava d'un tratto dure vicende, fatti gloriosi, vita immacolata.
D'ingegno ferace ed agile al pari dei grandi del rinascimento, i fondatori dell'odierna Italia ebbero da natura attitudini varie. Versati nelle leggi, nelle arti e nelle lettere, oratori e scrittori, trattarono le armi ed i pubblici negozi con uguale valentia. Pensatori ad un tempo e uomini di azione li suscitò caldezza di sentire; ma, maestra d'esperienza ebbero per guida il giusto criterio, naturale dono degli uomini di Stato.
E uomo di Stato, scrittore, soldato fu Giacomo Durando. (Bene).
Dalla nativa Mondovì al collegio di Savona, dalla insofferenza della ferula fratesca ai baldi convegni dell'Università torinese, ingegno pronto, ardore di novità lo accontarono coi più risoluti e sciolti.
Dottore in legge, più dei codici, lo appassionarono le lettere; dai classici, i sommi educatori della sua generazione, attinse esempio e propositi.
Non fu lento ai sacrifizi!
Un indirizzo al Re, da lui scritto, segno d'una cospirazione che voleva l'indipendenza e la costituzione, scosse il Piemonte dopo un decenne silenzio. Correva l'anno 1831. I moti dell'Italia centrale repressi, la congiura piemontese sventata, cacciavano in bando i vinti ed i sospetti. I più animosi d'ogni provincia, novelli cavalieri di nobilissima causa in patria sconfitta, per l'indipendenza e la libertà del Belgio, del Portogallo, della Spagna impugnavano le armi: «primo fra i prodi sta Giacomo Durando».
Anversa ne ammira il valore; gli spalti di Oporto, i campi di Asseiceira e di Chiva rosseggiano del sangue suo, parlano delle sue prodezze, lo fregiano di onori e di gradi: è colonnello nel 1838 per merito di guerra. Al cessare della quale essendo licenziati i volontari, ora dimora in Portogallo, ora a Madrid, travolto nelle lotte intestine dei due Stati e sbalzato infine a nuovo esiglio in Francia.
Dieci anni di avventure, di guerra, di tribolazioni non lo hanno fiaccato. Le miserrime condizioni d'Italia non si sono mai dipartite dalla sua mente; il ponderoso problema della gran madre ne ha sempre martellato il cervello. O si aggirasse fra le imboscate delle guerriglie od impavido in campo combattesse, ha meditato, divisato l'assetto, sognato la resurrezione della patria.
Torino e Mondovì nel 1844 rivede per breve. Non ha appena ringuainata la spada che dà di piglio alla penna anelante l'ora d'una battaglia italiana e pensa, studia, scrive un libro: il saggio politico e militare della nazionalità. (Approvazioni).
Il quale pubblicato a Parigi a mezzo il 1846, fra i sistemi, i consigli, gli espedienti messi innanzi ad indirizzare la pubblica opinione da una nuovissima letteratura politica, faceva parte da sé preconizzando la unificazione progressiva della nazione, chiamata "concentrazione di nazionalità" per opera della Monarchia rinnovellata e ringagliardita colla libertà. (Benissimo).
Nell'anno seguente giornalista a Torino batte e ribatte: si ridesti, si ecciti con ogni mezzo il sentimento nazionale per conquistare, con guerre di principi e popoli, l'indipendenza. Ed al sorgere del lusinghiero 1848 (7 gennaio), a viso aperto, e non senza coraggio, con Camillo Cavour e due altri, in nome di molti rinnova al Re la domanda della Costituzione, che diciotto anni innanzi per una arrischiata conventicola, con grave danno e maggior pericolo, aveva dettato.
Rotta la guerra, l'esercito piemontese lo accoglie col grado che le onorate imprese gli avevano meritato in Ispagna. Dal Governo di Lombardia fatto maggior generale è posto a guardia dell'estrema frontiera fra Brescia ed il Tirolo con sottile schiera. Erano meno che cinquemila volontari accasciati dagli stenti, dal sospetto irritati, sobillati da politici emissari. Ma tanta è l'arte, tanta la prudenza, così grande l'ascendente del nuovo capitano che rapidamente, in sufficiente assetto, sono attelati a battaglia e fronteggiano scaramucciando con fortuna a Monte Suelo, a Rocca d'Anfo, sulle sponde del Caffaro.
E quando disgraziate fazioni e più disgraziate mosse conducono dall'Adige a Milano l'esercito e un armistizio diventa fatale, egli, respingendo sdegnoso chi tenta strapparlo alle bandiere regie, abilmente manovrando e abilmente parlamentando col nemico che già l'avvolge, e fermamente rattenendo i balenanti, scende lento a Brescia, a Bergamo, a Monza ha il passo libero, ha gli onori della guerra, e tocca Oleggio dopo un mese d'incertezze e di travagli.
Così i soldati commessi all'animo ed alla fede di lui, scampano all'ignominia e sono serbati alla riscossa!
Investito di ogni podestà governò per breve in quello stesso autunno la tumultuante Genova, e col temporeggiare scongiurò guai peggiori. Aiutante di re Carlo Alberto nella giornata di Novara, che sprofondava tante speranze, ne raccolse i magnamini detti, ne ammirò la eroica intrepidezza; alla Bicocca, nel folto della mischia, supplice lo rattenne, reverente lo scampò da cercata morte. (Bene).
Aiutante di campo e ministro della guerra di Re Vittorio Emanuele quando ebbe incarico di succedere al conte di Cavour, dimessosi per una proposta sorta improvvisa in quest'Assemblea discutendosi la soppressione delle fraterie, col prudente consiglio e l'animo leale scampò lo Stato da dannose turbazioni. E declinando il mandato operò per guisa che l'indipendenza del potere civile ed il diritto pubblico della Monarchia rimanessero incolumi dalle usurpazioni del chiericato e non si troncasse od alterasse la politica intesa a far la Nazione.
Ne è men degno di ricordo l'essere egli allora rimasto all'azienda della guerra; l'avere ai combattenti in Oriente opportunamente provveduto e rassegnato da ultimo con rara abnegazione il supremo ufficio al suo predecessore reduce, con accresciuta riputazione e nuova aureola, dalla Crimea. Perché se il grado di tenente generale concedutogli nel giugno 1856 parve risarcirlo e premiarlo, egli non ebbe, né sul momento, né per un pezzo, incarichi al medesimo adeguati. Anzi da quei giorni non esercitò che il breve comando del dipartimento di Napoli durante l'ultima guerra d'indipendenza, e più tardi presiedette per oltre diciassette anni (1° settembre 1869, 2 dicembre 1886), il Tribunale supremo di guerra.
Però se questi furono e qui finirono i servizi militari di Giacomo Durando, non finì né fu questo tutto il suo benemeritare della cosa pubblica.
Per Mondovì e Ceva nelle prime cinque legislature sedendo fra i deputati ed in questa Alta Camera dal primo dell'aprile 1855; di questa vice-presidente per due, di quella per una Sessione; nostro presidente per due altre, egli ebbe notevolissima parte nei lavori di ambedue.
Molti ne sono i documenti; ma in Senato tutti avanza quello poco sopra rammentato e nell'altra Camera l'eloquente difesa del trattato di alleanza con le potenze occidentali, per quella che egli diceva "guerra d'indipendenza e di libertà". E vaticinio furono gli avvenimenti coi quali sconsigliava la politica di neutralità, da opposti lati patrocinata, come quella che quando pure lasciasse vita placida ai disputanti, ne dannerebbe i figli a morte inonorata, seppellendo con essi ai piedi delle Alpi le ultime speranze d'Italia.
Vaticinio, trionfo oratorio che la storia raccolse: patrimonio di sapienza, rimasto in retaggio alla nazione! (Bene).
Inviato straordinario e ministro plenipotenziario a Costantinopoli, gli dolse di non combattere la guerra dell'anno grande e fatidico, ad apparecchiare la quale poteva senza millanteria compiacersi di avere anche egli contribuito. Sulle rive del Bosforo la causa delle nazionalità aiutò efficacemente, o si trattasse dei principati danubiani che eleggendo uno stesso capo, con esempio a noi fecondo, iniziarono il nuovo Stato rumeno, o sorgesse il regno d'Italia.
Il riconoscimento del quale per parte della Turchia nell'estate del 1861, fu suggello della diplomatica sua abilità e ad un tempo della missione durata più di cinque anni (settembre 1856, gennaio 1862).
Parimente ammiranda fu la dignitosa fierezza con cui ministro degli affari esteri, la domane del lutto di Aspromonte, rivendicò dirimpetto all'Europa il diritto d‘Italia con parola incalzante, imperiosa. Energia, entusiasmo, fede indomita, delle quali, spente oramai le passioni onde furono tassate d'inconsulta iattanza, è equo ed opportuno dargli merito in questa Roma dove a lungo abitò, donde nell'ultimo suo vivere non volle mai allontanarsi, dove chiuse gli occhi nella tarda età di anni ottantasette, sei mesi e diciassette giorni, il 21 dello scorso agosto.
Qualunque ufficio ricoprisse, in qualsiasi condizione di vita o di fortuna, Giacomo Durando non scordò, non ismentì mai l'uomo antico.
A difesa della libertà minacciata dalla licenza, ragione di Stato lo schierò coi difensori dell'ordine; stette coi popolari ogniqualvolta, pretesto l'ordine, gli parve scorgere il subdolo armeggiare dell reazione.
Squisito senso della dignità, dei doveri, dei diritti del Governo lo guidò nelle più difficili contingenze.
Ad esso si ispirò tenendo per poco la Prefettura di Napoli nel 1867; da esso attinse il giudizio, il consiglio le molte volte in che il Capo dello Stato a lui si rivolse.
La suprema onorificenza nazionale fu segno dell'altissimo favore del Re, verso chi durante tre regni servì la dinastia e la patria con lealtà e devozione. (Bravo).
Per due Sessioni nostro illustre presidente, le eccelse doti di Giacomo Durando non hanno mestieri di esser qui con più lungo discorso celebrate.
L'animo inchinevole, atteggiato anzi a costante indulgenza, il cuore aveva benefico.
Nessun germe, nessun lievito d'amarezza vi avevano posto i contrasti e le traversie, come se non l'avessero mai sbattuto, le bufere della vita, come se mai non avessero ruggito attorno alla sua nobile testa. Eppure, patriota generoso e soldato imperterrito, per la libertà di quattro nazioni aveva a lungo ramingato, combattuto e penato. Eppure sulla via aspra del sacrificio nulla lo aveva arrestato; non il rischio della vita, non l'inopia. Persino le insegne del valore, a prezzo di sangue acquistate, mise in servizio della causa tenacemente propugnata il giorno in cui reputò che dalla diffusione del libro sulla nazionalità la pubblica opinione riceverebbe utile avviamento. Ma d'altro canto la coerenza e la rigidezza dell'operato senza oscitanze e senza resipiscenze, faceva sì che ove si fosse volto a rimirare il lungo, diritto cammino percorso egli non vi avrebbe ravvisato pur ombra di nebbia. Era la coscienza del luminoso solco impresso nella storia contemporanea che lo circonfondeva di sereno godimento; sicché bontà e dolcezza spiravano dal volto dignitoso e si diffondevano e si irraggiavano tutto intorno a lui.
Per quanto vivesse tardi non fu sorpassato dai tempi. Non lo abbacinarono la federazione, non la repubblica, non l'egemonia del papato: le tre illusioni, le tre discordie, i tre errori del 1848. Non pauroso della libertà, inculcò esser dessa mezzo e strumento d'indipendenza: al contrario di chi questa, in ordine di tempo, anteponendo dava sospetto di non volere quella e di più caldi del vivere libero alienava dal Monarcato, come se la dilazione fosse pretesto e si chiarisse ancora una volta impossibile congiungere principato e libertà. Tutto sommato egli che nel 1846 scriveva: "la forza che ci trascina all'unità, alla nazionalità essere irresistibile, ineluttabile", fu il più unitario degli scrittori politici monarchici che prelusero al moto italiano. (Vive approvazioni).
Due volte capo di provincie, due volte ministro; nella milizia per sessant'anni, nel Parlamento per quarantasei, si affaticò e splendette.
Gloria a Giacomo Durando, il patriota che fu vivida stella della pleiade de'precursori; onore in lui alla strenua generazione che con lui passa.
(Vivissime approvazioni-applausi generali e prolungati).
[...]
PRESIDENTE: Ha facoltà di parlare in signor senatore Canonico.
Senatore CANONICO. Stretto a Giacomo Durando da vincoli carissimi di famiglia e d'intima amicizia, non può tacere il mio labbro mentre parla sì viva la sua memoria nel mio cuore.
Chi, non lo conoscendo, l'avesse veduto nell'angolo della nostra buvettefumare silenzioso sul consueto seggiolone la modesta pipa, non avrebbe certo immaginato in quel vecchio di modi così semplici una delle più splendide figure del nostro risogimento nazionale.
Della vita politica di Giacomo Durando nulla dirò dopo il mirabile quadro che venne pur ora tratteggiando con nitida e sentita parola il nostro egregio presidente. Una sola circostanza mi sia permesso di qui ricordare.
Allorché si trattò di decidere o no l'esercito sardo prendere parte alla guerra di Crimea, il discorso che fece allora il Durando alla Camera dei deputati fu di peso non piccolo per far traboccare la bilancia in favore dell'affermativa. In quel memorabile discorso egli fece il confronto fra la poticia della fredda ragione e la politica del sentimento; e, con parola che trascinava gli animi, mostrò che la politica del sentimento fu sempre quella che elevò i popoli a grandi altezze nei momenti di direzione.
Alfonso Lamarmora,allora ministro gli disse: "Chi ha fatto un tale discorso deve andarlo a sostenere con la spada". Ma invece fu Lamarmora che andò in Crimea e Durando entrò al Ministero.
La spedizione di fece: e, sotto l'assisa del soldato piemontese, si vide per la prima volta balenare a fianco di due grandi potenze l'Italia futura.
Della vita privata di Giacomo Durando, modesto al pari di quella, debb'essere il ricordo.
Essa si riassume in due parole: Coi parenti, cogli amici, egli fu inesauribilmente affettuoso; coi poveri inesauribilmente benefico.
Come la quercia annosa solitaria testimone di altri tempi, egli si vide scomparire poco a poco quasi tutti i suoi amici, i suoi fratelli d'armi.o
Non di meno la sua fibra robusta e resistente ce lo avrebbe ancora potuto conservare qualche anno, se non fossero stati i domestici dolori, onde il sensibile animo suo fu contristato in questi ultimi tempi.
Ma, non un lamento uscì mai dal suo labbro; sempre, fino all'estremo respiro, egli serbossi equanime e sereno. Cavaliere senza macchia e senza paura: vero carattere di soldato: sl campo di battaglia, nelle lotte della vita politica, in quella della vita sociale, nei giorni della sventura e del dolore.
Onore a Giacomo Durando! (Bene, bravo!).
Si stringe il cuore al vederci cadere dintorno l'uno dopo l'altro, come le foglie in autunno, gli uomini più venerandi che cooperarono al nostro edificio nazionale.
Benché vecchio, io non sono un querulus laudator temporis acti. Come (ad onta delle difficoltà presenti) io non diffido dell'avvenire d'Italia, così non diffido della gioventù italiana. Ma auguro alla mia patria che l'esempio di quei magnanimi, i quali come Giacomo Durando sì validamente contribuirono a ricostituire il corpo della nazione, sia di stimolo ai giovani ai quali incombe la missione ancor più nobile di ricostituirne lo spirito, di risollevarlo dal fango in cui è caduto all'altezza di quei principi onde trasse il suo movimento iniziale
(Applausi vivissimi), di mostrare al paese che si può essere credenti senza essere clericali, di purgarne ed elevarne, con la virtù del sacrificio, la vita privata e la pubblica.(Approvazioni vivissime).
Senatore BASTERIS. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
Senatore BASTERIS.Di Giacomo Durando, delle sue peregrine virtù, delle sue benemerenze ci disse già con verità ed eloquenza insuperabile l'illustre nostro presidente: ci disse pure con affetto di parente ed amico l'onorevole nostro collega, il senatore Canonico. A me, compatriota di lui, in nome della sua città natale, della quale fu sempre pura e splendida gloria, sia lecito esprimere i sensi del più profondo cordoglio per la scomparsa dell'illustre suo concittadino, sia lecito mandare allo spirito eccelso di lui un estremo tributo di compianto, di affetto, di ammirazione.
Di Giacomo Durando, la storia del risorgimento italiano ha già scritto il nome glorioso nelle sue pagine immortali.
Egli era uno dei pochi superstiti della immortale falange dei valorosi che col senno e colla mano cotanto operarono per redimere la nostra patria dal dispotismo nostrano e dalla servitù straniera e per darle grado e dignità di nazione.
Giacomo Durando, congiurato, esule, soldato, scrittore, diplomatico, uomo di Stato, presidente di questa alta Assemblea, fu uno di quella schiatta privilegiata che nell'epoca del rinascimento diede all'Italia i genii di Michelangelo e Leonardo e nei tempi più vicini la nobile figura del cavaliere Massimo d'Azeglio.
Nella mente e nell'animo, due nobili, due alti ideali: la indipendenza e la libertà dell'Italia; e il sentimento del dovere.
A questi alti ideali fi costantemente informata la sua vita, lungamente e virtuosamente vissuta.
Schivo del fasto: abborrente dalle pompe: non inebriato dagli onori e dalla dignità, egli visse mirabilmente modesto: non cercò l'aura del volgo, non levò mai rumore attorno a sé: compié ogni suo dovere con semplicità, e colla serena energia che è propria di un forte carattere e di una coscienza onesta.
Giacomo Durando amò sovranamente Roma: in Roma, quasi una seconda patria prese stabile dimora: in Roma volle morire, forse perché anche negli anni suoi più baldi il sogno di Roma capitale d'Italia una, al giovane congiurato era parso troppo audace: sogno per altro che l'età sua più matura ebbe la gioia ineffabile di vedere realizzato per virtù di principe e di popolo e per un mirabile concorso di propizi avvenimenti.
E tutta Roma, conscia di ciò, lo pianse amaramente coll'immenso concorso ai solenni funerali: lo pianse la sua diletta Mondovì: lo pianse colà i poverelli, ai quali egli celatamente secondo la sua indole e largamente sovvenne. Finché nei popoli civili saranno in onore la virtù, l'ingegno e l'amore della patria, alla memoria venerata di Giacomo Durando non verrà mai meno il rimpianto, l'ammirazione e la gratitudine di tutti gli Italiani. (Benissimo - Approvazioni generali). [...]
BLANC, ministro degli affari esteri. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha coltà di parlare.
BLANC, ministro degli affari esteri. Il Governo si associa alle onoranze rese dal presidente nostro e dai precedenti oratori ai compianti colleghi, ed è preciso e speciale dovere di chi ha l'onore di reggere il Ministero degli esteri, di tributare un riverente omaggio al nome glorioso di Giacomo Durando, il quale lasciò in quel Ministero incancellabili tradizioni ed imperituri ricordi. (Bene).
Senatore SPROVIERI F. Io proporrei, se all'onorevole presidente e al Senato piacerà, di inviare le nostre condoglianze alle famiglie degli estinti e specialmente a quella del Durando, il quale è stato gloria d'Italia.
PRESIDENTE. Il signor senatore Sprovieri Francesco propone di far pervenire le condoglianze del Senato alle famiglie degli estinti testé commemorati.
Chi approva questa proposta è pregato di alzarsi.
(Approvato).[...]
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onor. senatore Ferraris.
Senatore FERRARIS. Dei pochissimi anche in quest'Aula, e credo anche fuori in paese, che abbiano seduto nella prima legislatura nella prima legislatura italiana - e la dico italiana sebbene fosse puramente subalpina - di Giacomo Durando ho taciuto, e credevo di dover tacere nulla aggiungendo alle lodi che vennero fatte nella commemorazione delle sue virtù politiche e delle sue virtù private.
Ma avrei un fatto da ricordare, e voi me lo permetterete, giacché si tratta di cosa molto antica.
Nel 1831, prima che il Durando desse prova de' suoi sentimenti liberali e del suo coraggio fuori dell'Italia, egli ebbe quello più singolare in quel tempo di rappresentare al principe che allora reggeva le nostre sorti subalpine, la necessità di migliorare le condizioni politiche del paese.
Egli fu in allora aiutato da un altro, pure congiunto del nostro collega senatore Canonico, da Giuseppe Pomba, il quale, non dimenticando l'antica sua professione di compositore-tipografo, ebbe il coraggio di comporre egli medesimo, e quindi di stampare quella rappresentanza, che fece una grande impressione nel nostro paese.
Voi mi permetterete poi di completare ed ampliare la proposta che venne già fatta dal senatore Canonico.
Il senatore Durando fu per lungo tempo nostro presidente.
Egli cedette l'alto ufficio per l'età, ma non deve meno restare in noi un ricordo della sua presidenza e delle sue virtù di imparzialità con cui egli resse le nostre discussioni: quindi io propongo, e credo che l'egregio nostro presidente sarà per concorrere nella mia opinione, di abbrunare per otto giorni il banco della Presidenza e quello dei Ministri affinché si ricordi con questo atto esteriore il sentimento che ci ha tutti animati nel commemorare le virtù cittadine e politiche di Giacomo Durando (Benissimo).
PRESIDENTE. Il signor senatore Ferraris propone, come il Senato ha udito, che in segno di lutto per la morte del senatore Durando, si vesta di gramaglia il banco della Presidenza e dei Ministri per otto giorni.
Chi approva questa proposta è pregato di alzarsi.
(Approvato).

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 5 dicembre 1894.