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DE FERRARI Raffaele

06 luglio 1803 - 23 novembre 1876 Nominato il 18 novembre 1858 per la categoria 21 - Le persone che da tre anni pagano tremila lire d'imposizione diretta in ragione dei loro beni o della loro industria provenienza Liguria

Commemorazione

 

Sebastiano Tecchio, Presidente
Vuole la pietosa consuetudine del Senato che il Presidente si faccia in assemblea pubblica a commemorare il nome e i meriti di quei Colleghi che, tolti recentemente alla vita di quaggiù, son volati a dormire nella pace che non ha fine.[....]
Raffaele Luigi De Ferrari, dell'ordine de' patrizî, nato a Genova il 6 luglio 1803. L'avo suo Raffaele Agostino era stato Doge della repubblica nel biennio che terminò il 4 luglio 1789, quando le novità francesi faceano sentire il loro contraccolpo nella Liguria.
Larghissimo censo ei redava dal padre, Andrea; e il seppe crescere a molti doppî, talché alla fin fine le sue facoltà, meglio che di privato signore, han potuto sembrare regali.
Nel 1837 comperò dal principe Oscarre, che fu poi re di Svezia, e dalla moglie di lui (figliuola di Eugenio Beauharnais), tutti i possedimenti de' quali Napoleone nel 1812, acquistandoli dal conte Aldini, aveva costituito il ducato di Galliera. Di che Re Carlo Alberto colle patenti del 18 luglio 1843 gli diede licenza di assumere il titolo di Duca.
Visse lungamente a Parigi: e quivi strinse intime relazioni coi più eccelsi uomini del tempo di Luigi Filippo. Gli fu proferto il grado di Pari di Francia: ma, per accettarlo, gli sarebbe bisognato di conseguire Lettere di naturalità in quello Stato; ed egli, tuttoché allora l'Italia quasi più non paresse che una memoria, preferì mantenere il nativo carattere di cittadino italiano.
Non saprei dirvi, o Signori, con quali imprese e per quali accorgimenti il Duca di Galliera abbia raggiunto la sterminata ricchezza alla quale io accennava pur dianzi. Certamente, prudenza e ardire, congiunti in uno, debbono aver cospirato a suscitare i concepimenti e informar gli atti suoi.
Era Senatore dal 18 dicembre 1849.
Corre voce che, inoltrandosi negli anni, siasi messo a studiare gli arcani e i pericoli della questione sociale; e ne abbia arguito che le borie orgogliose e le pompe scialacquatrici irritano il povero popolo, forse più delle ignobili spilorcerie; e che le beneficenze dei doviziosi saviamente ordinate, non che giovare a cui le riceve e cattivar gratitudine a chi le dispensa, esercitano una influenza proteggitrice sovra essa stessa la società. Né per queste od altrettali considerazioni gli fu mestieri di cambiar tenore di vita. Non s'era mostrato mai né largo ai dispendi, né gretto; e spesse volte era stato scampo o riparo di altrui sciagure.
Intanto maturava nell'animo propositi generosissimi. Tesaurizzava (così parlò in una delle tornate pubbliche del 1875 al Consiglio Municipale della sua Genova) tesaurizzava, perché volea resultarne abbastanza ricco da poter poi destinare somme non piccole ad una qualche opera, vantaggiosa davvero alla patria e di presente e nello avvenire.
Già l'anno prima aveva consentito e plaudito alla splendida donazione del monumentale Palazzo Rosso (che fu dei Marchesi Brignole-Sale), divisata dalla moglie sua e dal figliuolo a testimonianza del loro amore per la città di Genova. Ed egli fondò, parimente in Genova, le case operaie, e le organava così che le abitazioni non abbiano ad essere allogate tutto per grazia, ma sì per lievi mercedi; ottima previsione, onde eccitare nelle classi lavoratrici la desiderata abitudine del risparmio.
Senonché la munificenza del Duca di Galliera volea correre altro campo, e più vasto.
Le mutate condizioni del commercio marittimo rendevano necessario di riordinare e aggrandire il porto di Genova. Ma all'uopo stimavasi indispensabile un ponderoso dispendio; al quale l'erario pubblico e il municipio genovese, da soli, non vedeano modo di sopperire. Or ecco il Duca di Galliera offrire del proprio allo Stato, affinchè si sobbarchi all'impresa, nientemeno che venti milioni delle nostre lire.
Quinci, stipulata la convenzione fra il Governo del Re e il liberalissimo donatore, fu nel giugno 1876 stanziata la legge che, indette la norme per l'ampliamento e la sistemazione del porto, e tenuto conto dei venti milioni, ha predisposta l'allibrazione delle somme che occorrono ne'bilanci de'lavori pubblici dal 1876 al novantuno.
L'opera designata da tanta legge non mira al bene soltanto di Genova, ma sommamente importa alle sorti economiche della nazione. Le due Camere del Parlamento decretarono al Duca di Galliera solennissime azioni di grazie: il Re ne scrisse il nome nell'Albo de'suoi cugini, i Cavalieri del supremo Ordine dell'Annunziata, e gli aggiunse eziandio il predicato di Principe di Lucedio. Godi o Genova, se un dì ti appellarono la Superba: oh perché non avrebbe da superbire la madre di un sì magnanimo cittadino! e perché a noi non sarà dato augurare che nella restante Italia surga qualcuno a farglisi (e fosse pure in discreti termini) imitatore !
A turbare la gioia dell'evento singolarissimo, sopravvenne verso il chiudere del novembre l'annunzio che fiero malore avea di repente assalito il Duca di Galliera e tratti a pericolo i giorni suoi. I Genovesi ne furono amarissimamente percossi; le lagrime loro e le preci, ancoraché impotenti a stornare il pericolo, fecero più che mai manifesta la riconoscenza e l'affetto ond'erano legati- al morente. Rimarrà lunga pezza nella dolente memoria degli Italiani che l'anima del Duca di Galliera trapassò all'altra vita il 26 novembre dell'anno 1876.
[...] Signori: tempo è che io suggelli codesti cenni funerei.
Concedetemi di sperare che non mi tocchi più di venirvi dicendo, che qualcuno de' nostri Colleghi s'è da noi dipartito.
(Segni generali d'approvazione).

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 27 dicembre 1876.