senato.it | archivio storico

DE CESARE Raffaele

12 novembre 1845 - 29 novembre 1918 Nominato il 26 gennaio 1910 per la categoria 03 - I deputati dopo tre legislature o sei anni di esercizio provenienza Puglia

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Adeodato Bonasi, Presidente

Signori senatori! Ancora un lutto, e dolorosissimo, ha colpito il Senato nei brevi giorni corsi dall'ultima sua adunanza.
All'alba del 29 novembre per l'improvviso aggravarsi di un'insidiosa malattia, che da tempo ne minava la robusta fibra, quasi repentinamente si spegneva in Roma l'illustre ed amato nostro collega Raffaele De Cesare.
Egli, che tutta la sua vita spese nelle logoranti lotte della penna e delle parola, per fare degli italiani un popolo degno degli alti destini cui aspirava, pieno di entusiasmo per i meravigliosi successi che paiono miracolo e che dalle Alpi nevose all'ardente Lilibeo hanno dopo secoli ricongiunto tutti gli italiani in un unica indissolubile famiglia, assisteva radioso all'ultima solenne nostra adunanza che consacrava il grande avvenimento storico. Degno premio e suprema consolazione riservata al benemerito cittadino che tanto aveva operato, ed anche sofferto, per la sospirata redenzione della patria, cui aveva dedicate tutte le forze del potente suo intelletto e del suo animo generoso.
Raffaele De Cesare sortì i natali in Spinazzola di Bari nel 1845 da famiglia nella quale era tradizionale l'elevata cultura, la nobiltà della vita e l'amore al proprio paese, al quale, imperante il triste Governo borbonico, aveva sacrificato anche parte del non cospicuo patrimonio avito.
Mortogli il padre giovanissimo mentre il nostro Raffaele era ancora fanciullo, dalla madre Teresa Mandoi, donna di tenace volere e di viva intelligenza, appena raggiunti i 12 anni, per disciplinarne la irrefrenabile vivacità, fu chiuso nel seminario di Molfetta, uno dei migliori istituti scolastici che in tempi esosi al sapere aveva nelle provincie meridionali gelosamente custodite le tradizioni di non servo insegnamento.
Passato all'Università di Napoli col corredo di una solida cultura classica, nel periodo in cui appena compiutasi la grande epopea garibaldina le discussioni politiche erano più ardenti, non tardò per l'indole sua vivace e battagliera ad appassionarvisi.
Perciò il De Cesare si dedicò con particolare amore allo studio del diritto pubblico come avviamento alla vita politica cui si sentì subito irresistibilmente tratto.
Non aveva ancora lasciati i banchi della scuola che cominciò a scrivere articoli nei maggiori giornali, non tardando a farsi notare per la forma vivace e l'equilibrio dei giudizi.
Conseguita la laurea in giurisprudenza, si consacrò poi intieramente al giornalismo collaborando nei principali organi della pubblica opinione e stringendo vincoli di devota amicizia coi più illustri campioni del partito liberale moderato quali Silvio Spaventa, Ruggero Bonghi, Giovanni Barracco Ottavio Serena, Torelli-Viollier e Bruno Chimirri, per non accennare che ai più eminenti, e successivamente con Minghetti, Luzzatti, Peruzzi, Sella, Visconti-Venosta e Costantino Nigra, mantenendosi poi sino alla fine costantemente fedele alla vecchia onorata bandiera, senza mai piegare né pencolare.
Divenuta Roma capitale d'Italia, Raffaele De Cesare qui si trasferiva e pur continuando a collaborare attivamente nelle più autorevoli effemeridi d'Italia, sentì di potere aspirare a più alta e stabile fama, e, nella sua inesauribile attività, si accinse a scrivere meditati libri di storia, di politica e di economia sociale.
Notevoli tra i primi sono i volumi Roma e lo stato del Papa, Una famiglia di patrioti, La fine di un Regno, Il conclave di Leone XIII, Un futuro conclave; libri che ebbero grande e meritato successo in Italia e fuori ed assicurano al suo nome un posto distinto nella nostra storica letteratura.
Ma il De Cesare, profondamente convinto che un alto sentimento religioso, diffuso in tutte le classi, costituisca una forza morale di propulsione ed un freno per ogni civile società che nessun organismo statale, per quanto perfetto, possa efficacemente sostituire, si fece caldo propugnatore di una politica ecclesiastica di conciliazione ad impedire che il perpetuarsi del conflitto fra chiesa e stato avesse per effetto di affievolire e di annullare l'energia di questo possente elaterio.
Per il De Cesare, però, allievo e seguace della scuola napoletana che in fatto di politica ecclesiastica nel gran ministro Tanucci riconosceva uno de' suoi più illustri rappresentanti, conciliazione non significava rinunzia per parte dello stato a nessuno de' suoi sovrani attributi, ma un assetto nel quale ciascuno dei due poteri civile e religioso avesse a trovare nella cerchia della propria competenza una pace sicura senza contrasti, come, con piena soddisfazione di tutti, si pratica appunto negli Stati Uniti d'America.
Di questa sua liberale concezione fanno fede le numerose sue pubblicazioni ed i molti suoi discorsi nelle aule parlamentari dei quali è ancora qui viva l'eco.
Per due legislature, la ventunesima e la ventiduesima, il De Cesare fu dal collegio di Manduria eletto a proprio rappresentante alla Camera dei deputati, ove subito si segnalò con brillanti discorsi e per singolare attività come membro di importanti commissioni e quale relatore di non pochi disegni di legge di rilevante interesse, tra i quali meritevoli di particolare menzione quello per l'acquedotto della sua Puglia e l'altro per l'acquisto da parte dello stato della celebre Galleria Borghese.
Nominato senatore nel 1910, anche nella nostra Assemblea prese subito posto distinto. Noi tutti ricordiamo come qui non si sia discusso argomento di importanza sociale o provvedimenti a favore delle classi più umili che non abbiano trovato in lui un efficace caldo propugnatore.
Per accennare solo ai più recenti, di cui sentiamo ancora la commozione provata nell'udirli, rammenterò la sua perorazione, vibrante di patriottica riconoscenza, perché ai dimenticati veterani del 1848 e 1849, non compresi nelle leggi precedenti, venisse esteso il benefizio della modesta pensione accordata ai combattenti delle altre guerre della indipendenza nazionale, ed il suo eloquente serrato discorso per invocare dal Governo che non venisse più oltre ritardato l'atto di giustizia della completa esecuzione della legge per l'aumento delle congrue dei parroci, che costituiva un impegno d'onore per il Parlamento, voto che indarno da lui più volte ripetuto, ebbe poi finalmente la grande soddisfazione di vedere accolto poco prima di scendere nella tomba.
Né tanta somma di lavoro bastò ad esaurire le esuberanti energie di questo insigne meridionale che non cercava riposo, come di sé affermava il grande Lodovico Muratori, che nel cambiar fatica e che avrebbe potuto assumere per sua impresa il motto: nil actum si quid agendum.
Nato in una terra nella quale fonte della maggior ricchezza è la pingue feracità del suolo per i molteplici svariati suoi prodotti, non si tenne mai estraneo alle questioni che interessavano i progressi dell'agricoltura, e a tutte le altre connesse riguardanti il regime doganale, i trasporti, il commercio e le industrie, come ne fanno fede le numerose sue pubblicazioni in materia, la serie de' suoi discorsi parlamentari, improntati sempre ad una positiva praticità di intenti, e le sue ardite iniziative. Per questi titoli di indiscussa competenza fu autorevole membro dei giuri delle Esposizioni internazionali di Vienna, di Parigi, di Anversa e delle nazionali di Milano e di Torino e di innumerevoli altre provinciali, spesso assumendosi la parte di relatore in resoconti che hanno l'importanza di vere e proprie monografie da potere sempre essere utilmente consultate.
Per molti anni fece parte anche del Consiglio superiore di agricoltura e della Commissione doganale.
Troppo resterebbe ancora a dire per dare conveniente rilievo alla complessa figura di Raffaele de Cesare, che male si presta ad essere rinserrata nella stretta cornice, che il tempo e il luogo qui consentono di dargli. Questi brevi accenni, appena sbozzati, bastano però a fare sentire la immensità della perdita fatta dal Senato; dolorosissima poi per i numerosi amici che contava fra noi i quali sapevano come nell'uomo eminente la bontà del suo gran cuore, aperto sempre ad ogni nobile sentimento e ad ogni gentile affetto, fosse pari all'altezza della mente eletta. (Benissimo). [...]
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il senatore Levi Ulderico.
LEVI ULDERICO. Non posso né voglio astenermi dal rendere pubblico tributo alla cara memoria dell'amico e collega, del compianto senatore Raffaele De Cesare, al quale mi legavano sentimenti di grande stima, di grande affetto.
Non mi dilungherò a dire tutto ciò che sarebbe richiesto dalle grandi qualità che adornavano il defunto. Ripeterei male ciò che il nostro illustre Presidente sui meriti dell'amico De Cesare, sulla bontà, sul suo patriottismo, sulla sua intelligente operosità. Mi associo quindi alle nobili parole pronunziate dall'illustre nostro Presidente e propongo che alla famiglia desolata vengano inviate le condoglianze del Senato. (Approvazioni).
SPIRITO. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SPIRITO. Onorevoli senatori, dopo la degna commemorazione fatta dall'illustre nostro Presidente del collega Raffaele De Cesare, io non parlerò di lui né come pubblicista, né come storico, né come uomo politico; ma cinquant'anni di cordialità di rapporti di amicizia mi danno il diritto ed il dovere di ricordare al Senato la virtù del carattere del collega estinto, che non mutò, non piegò mai.
Conobbi adolescente Raffaele De Cesare; egli, non ancora trentenne, apparteneva a quella falange ardimentosa e pugnace che a Napoli seguendo i principi del conte di Cavour e di Marco Minghetti, raccolta intorno a Pisanelli, a Silvio Spaventa, a Ruggero Bonghi combatteva fortemente contro quella che si disse la Sinistra storica. Perché il Senato non avrà dimenticato come quelli che condussero alla caduta del Ministero Minghetti ed al famoso 18 marzo 1876, avevano la loro sede principale in Napoli, nel Municipio di Napoli, in quello che fu detto il Parlamentino, in cui erano raccolti i capi della Sinistra stessa, che affilavano le armi e che raggiunsero lo scopo di abbattere il partito di Destra. Contro la Sinistra storica circa il 1870, e successivamente, con giornali come la patria, la Nuova patria, e poi l'Unità nazionale, fu irreconciliabile combattente Raffaele de Cesare.
A quella falange di ardimentosi appartenevano Rodolfo D'Afflitto, Guglielmo Capitelli, Pasquale Turiello, Vittorio Imbriani, e, permettetemi di dirlo, vi apparteneva anche persona a me cara, Francesco Spirito. Tutti costoro, che onorarono il Parlamento, o la cattedra, o le scienze, sono scomparsi; l'ultimo a scomparire è stato Raffaele De Cesare, ed io prego il Senato di mandare alla memoria di lui un caldo saluto, che è il saluto della patria, alla quale egli rese eminenti servizi, ed è il saluto del Senato, di cui egli fu lustro e decoro. (Bene, bravo).
BALENZANO. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BALENZANO. Consenta il Senato che a nome della terra di Bari, che si onora di aver dato i natali a Raffaele De Cesare, aggiunga la espressione del rimpianto dei suoi concittadini per la perdita di lui. Non ripeterò quello che si è detto di Raffaele De Cesare dal nostro illustre Presidente, e dagli altri onorevoli colleghi. Mi basti il dire che Raffaele De Cesare fu discepolo in letteratura di Francesco De Santis, discepolo in politica di Silvia Spaventa. Come quelli del suo maestro i suoi scritti sono piani, facili, elegantissimi e sono di un Regno che riassume la fine dei Borboni, che in quella ”Roma Papale” dei ”Conclavi” che rappresentano il suo spirito fedele al principio della conciliazione dello Stato con la Chiesa. Raffaele De Cesare ebbe fin dal principio che fu nella vita politica o come giornalista, o come deputato e senatore, la fede schietta di liberale conservatore, fede che non seppe mutare anche quando per tenacia dei suoi principi gli fu con violenza strappato il seggo alla Camera dei deputati, non ostante i servizi resi all'Italia e alla sua terra.
Laborioso sempre e cultore di scienze politiche e storiche egli è morto sulla breccia. Benché da circa due anni quasi cieco ed accasciato nella salute, gli stava ora completando il suo lavoro sui plebisciti; e alla vigilia della sua morte egli aveva mandato alla stampa l'ultima parte di altro importante lavoro che riassume un secolo di vita, secolo che vive il nostro illustre venerando collega Giuseppe Greppi, lavoro che completa l'opera storica di Raffaele De Cesare.
Dinanzi a questa vita il Senato non vorrà non essere con me nel compiangerne la perdita e nell'esprimere il suo rammarico alla famiglia e alla provincia natia del compianto ed illustre collega. (Approvazioni).
PALUMMO. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PALUMMO. Sia consentito anche a me, pugliese, di associarmi alle elevate e commoventi parole del nostro venerato Presidente e da altri autorevoli senatori in memoria del compianto senatore De Cesare.
Aggiungerò soltanto che da oltre mezzo secolo ero a lui legato da sincera amicizia, fin da quando, giovinetti entrambi, fummo compagni di scuola nel miglior Convitto di quel tempo in terra di Bari, e da cui salutammo insieme i radiosi giorni del risorgimento italiano.
Da quella scuola egli dette i primi segni della sua mente eletta e del suo ingegno acuto, onde veniva additato come esempio ai suoi condiscepoli.
Addottoratosi poi, fu pubblicista, scrittore e conferenziere gioviale e forbito, sempre apprezzato anche da coloro i quali dissentivano da lui nelle idee e nelle convinzioni.
Fu egli costante propugnatore degli interessi della nostra Puglia, che ora piange la perdita di tanto illustre e benemerito figlio; sia onore alla sua memoria e vada il compianto del Senato alla desolata famiglia. (Benissimo).
SACCHI, ministro di grazia, giustizia e dei culti. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SACCHI, ministro di grazia, giustizia e dei culti. Sento il dovere e il bisogno d'inviare un riverente, affettuoso saluto alla memoria di Raffaele De Cesare che inesorabile morbo di recente ha rapito all'affetto e alla venerazione di quanti nell'uno e nell'altro ramo del Parlamento, di quanti nella palestra letteraria e scientifica di cui fu strenuo campione ebbe ammiratori, di quanti nel conversare e nel trattare con lui poterono apprezzarne i tesori dell'intelletto, del cuore e del carattere.
Raffaele De Cesare entrò nella vita politica preceduto da chiarissima fama conquistata dapprima nel giornalismo con brillanti, sagaci, apprezzabilissimi articoli, poscia con lavori poderosi e perspicui in cui rifulse per il brillante ingegno, per la soda cultura, per la profondità pari all'acume, per elevatezza di concetti, per la forma agile ed attraente di cui li rivesti, e per un senso squisito di equilibrio e di misura che era caratteristico in lui.
Assiduo ai lavori dell'Assemblea politica, fu parlatore sobrio ma chiaro ed efficace, e si rivelò erudito ed esperto cultore delle discipline economiche come pure di quelle agricole ed industriali. Ma la materia che esercitò su di lui la maggiore attrattiva e in cui principalmente versò fu la politica ecclesiastica e un argomento a cui dedicò una parte notevole della sua attività illuminata, fu quello dell'amministrazione del Fondo per il culto di cui temette la corsa verso una rapida e malinconica liquidazione.
Il Conclave di Leone XIII, Il futuro Conclave, Roma e lo Stato papale, Le Cronache vaticane sono scritti che stanno ad attestare la sua rara competenza nelle discipline ecclesiastiche, e il contributo perspicuo da lui portato all'arduo e delicato tema delle relazioni tra la Chiesa e lo Stato.
Conoscitore profondo delle condizioni e dei bisogni del diletto suo Mezzogiorno, rivolse con intelletto d'amore assidue cure al benessere materiale e alla rigenerazione morale di quella nobile regione.
Spirito libero, esempio raro di coerenza e di dirittura civile e politica, le sue divise furono così nella vita pubblica come in quella privata, fede ed onestà. Cittadino esemplare, amò la patria di fervido, intenso affetto, ed ebbe la sorte di vedere, prima che gli occhi suoi si chiudessero al sonno eterno, coronati nel fatidico avvento della grande vittoria, gli ardenti voti della patria colla redenzione totale del sacro suolo che fino a ieri barbaro piede calpestava. Così al celebrato autore della Fine di un Regno fu dato di assistere alla vertiginosa caduta di un esecrato impero che fu secolare negazione del diritto e della libertà dei popoli.
Il compianto unanime, sincero, profondo che ha seguito la scomparsa di Raffaele De Cesare forma il migliore elogio della sua vita luminosamente fattiva ed intemerata. Onore alla sua memoria. (Vivissime approvazioni).
PRESIDENTE. Sarà mio dovere dare esecuzione alle varie proposte, nelle quali il Senato è certo consenziente.

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni 12 dicembre 1918.