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DALLOLIO Alfredo

21 giugno 1853 - 20 settembre 1952 Nominato il 23 febbraio 1917 per la categoria 14 - Gli ufficiali generali di terra e di mare. Tuttavia i maggiori generali e i contrammiragli dovranno avere da cinque anni quel grado in attività provenienza Emilia-Romagna

Commemorazione

 

Giuseppe Paratore, Presidente

[...]
BERGAMINI. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BERGAMINI. Signor Presidente, consenta la cortesia sua e degli onorevoli colleghi, che io mandi un saluto, il mio intimo saluto di affetto e rimpianto, al generale Alfredo Dallolio, recentemente scomparso, che per tanti anni ho visto in quest'Aula al banco del Governo negli ansiosi giorni della guerra 1915-18 o al suo posto ch'era lassù (l'oratore indica l'estrema sinistra) vicino al compianto senatore Ruffini, suo intrinseco amico. Più in alto ero io: a sinistra, allora.
Parlo anche a nome dei colleghi provenienti dalle Forze armate - secondo l'incarico avuto, che mi onora - e di altri, per esempio, l'onorevole Conci, l'onorevole Casati, l'onorevole Ricci Federico, che qui impararono a conoscere, ad amare e a stimare sempre più il generale Dallolio. Ogni giorno di più. Era di quegli uomini che sempre mostrano qualche virtù nuova ignorata o non bene conosciuta e che quindi sempre crescono nella estimazione che li circonda.
Vorrei anche dire il saluto della comune terra bolognese a me cara non meno che a lui e che spesso tornava nei nostri ricordi. Ma parleranno altri senatori rappresentanti di Bologna.
Giustamente, l'illustre Capo dello Stato, il Presidente Einaudi, nel suo telegramma di condoglianze alla famiglia ha detto: "La Patria serberà, grata e riconoscente, la memoria di Alfredo Dallolio". E l'esimio nostro Presidente, l'onorevole Paratore, nel suo telegramma, ha detto: "Figura nobilissima di intemerato soldato che tanti e cospicui servizi ha reso alla Patria".
Significativo il concorde omaggio delle due eminenti personalità, concorde nel pensiero, perfino nelle parole onoranti l'alta passione patriottica del generale Dallolio. E ben meritato omaggio, giacché egli ha molto amato la Patria, su tutto, innanzi a tutto, e l'ha servita fedelmente, lungamente, con devozione.
All'inizio della suddetta guerra egli fu Ministro delle armi e mostrò la sua perizia di antico Ispettore della artiglieria, il suo acume, il suo spirito operoso. Le sue doti migliori rifulsero - non è una frase retorica che offenderebbe la semplicità e la schiettezza di lui - dopo la nostra disavventura di Caporetto. Allora egli compì un prodigio. Non si perdette di animo nella diffusa depressione: pur consapevole, anche per il suo ufficio, del rovinoso dolente disastro, ebbe chiaro l'intuito, pronta la visione e la volontà del rimedio. Urgeva rifare ab imo gli attrezzi e gli strumenti dalla guerra travolti, sperduti nella rotta di Caporetto. I rappresentanti dei nostri alleati erano precipitati in Italia per rendersi conto del nostro infortunio: nello storico convegno di Peschiera ove fu stabilito di continuare la guerra ad oltranza. Il maresciallo francese Foch e il Premier inglese Lloyd George ci offrirono aiuto di armi. Mi narrava l'onorevole Sonnino, ministro degli esteri, che il generale Dallolio, chiesta la parola, dichiarò: "Nulla ci occorre: l'Italia farà da sé, con la sua industria e le sue maestranze". Così disse: ed era uomo cauto, prudente, lontano da ogni euforia e vana superbia.
Per intensificare, per moltiplicare la produzione, fece un caldo appello agli industriali e agli operai: comunicò ad essi il suo ardore, il suo spirito creativo, la sua fede: operai e industriali ascoltarono quella forte voce incitatrice, compresero, ubbidirono: con lo slancio bello, vigoroso, concorde di questo nostro popolo dalle molte vite, che nelle ore ardue ritrova le sue virtù native. Il generale Dallolio andò in giro per i vari stabilimenti a sospingere il lavoro: in breve tempo l'esercito fu rifornito di cannoni, fucili, proiettili; fu in piena efficienza, riarmato, ansioso di rivendicare la patita avversità.
Così il valore dei nostri soldati poté resistere sul Piave e sbaragliare l'offensiva del 18 giugno, il che decise la sorte ultima della guerra. E se l'Italia riuscì a redimersi dal rovescio di Caporetto - a quel modo e con quel fausto epilogo - fu merito, per molta parte, di Alfredo Dallolio: come affermarono due anni or sono, nella luce del Campidoglio, l'onorevole Orlando e l'onorevole Gasparotto, rievocanti la nostra vittoria: l'onorevole Orlando, che aveva veduto da vicino e incorata l'opera del suo alacre e sagace Ministro e l'onorevole Gasparotto che di quell'opera aveva osservato al fronte i grandi risultati. Va anche segnalata la intelligenza strategica lungimirante del Cadorna che aveva eseguito la ritirata sul Piave, cioè su una posizione che fu la nostra salvezza.
Nel 1920 fu sciolto il Ministero delle armi e munizioni, ma - con insistenti esortazioni - trattenuto in servizio il generale Dallolio, nonostante la tarda età, a dirigere il Commissariato per la mobilitazione civile: la sua alta competenza tecnica e l'inflessibile dirittura morale lo indicavano al nuovo ufficio affine a quello precedente. Aveva 70 anni: consentì a servire ancora la Patria altri 16 anni lucenti di singolare vitalità, fervidi di perseverante, instancabile lavoro: esempio a tutti, che ancora si ricorda, nel Ministero di via XX Settembre, esempio a quelli «che furo che sono che saranno», tramandato di generazione in generazione come un onore dell'Esercito che oggi, non meno di ieri, s'inchina con fierezza e reverenza al suo insigne generale.
Nel 1939 egli avvertì che maturava la seconda guerra, giudicata da lui un errore esiziale: era ad essa contrario per convinzione profonda irriducibile. Sentì il disagio della sua coscienza per l'ufficio che aveva e si dimise un anno prima della nostra entrata dal fatale cimento. Se ne andò con fermezza di meditato proposito, silenzioso, senza destare scalpore, schivo come era di ogni pubblicità. E attese gli eventi trepidando e soffrendo a mano a mano che essi confermavano, purtroppo, le sue previsioni. E infinito fu il suo dolore di soldato e di italiano per la guerra perduta.
Veniva spesso al Senato per lunga e cara consuetudine, e nei consueti colloqui con gli amici diletti, traspariva la sua tristezza che non sapeva nascondere.
Più tardi fu "epurato" come senatore. Io non ho mai capito questa epurazione: non era inscritto al partito fascista, non aveva mai voluto la tessera offertagli più volte, sempre declinata. Soleva dire che egli era un soldato d'Italia al di sopra, al di fuori dei contrasti politici ed aveva sempre pensato precipuamente al suo dovere, alla sua missione di soldato. Né questo, né le alte benemerenze valsero ad evitare l'ingiusta, assurda epurazione di lui. Ne fu dolente senza fare recriminazioni.
Un giorno non si vide più al palazzo Madama. Insieme con gli anni, ormai vicini a 100, erano sopraggiunte alcune infermità che lo obbligarono a rimanere in casa. Conservava una mente lucida, una memoria precisa, sicura, minuta, delle date, dei nomi, dei fatti più remoti, delle molte letture anche giovanili. Andavo spesso a trovarlo e sempre, uscendo dalla sua abitazione, ripensavo al suo limpido conversare, a quella singolare freschezza di mente, a quel suo vivace pensiero.
Discutevamo un giorno di un importante discorso alla Camera francese, durante la guerra, relativo all'Italia. Il generale Dallolio attribuiva quel discorso a Clemenceau: osai dire che mi pareva di Briand. "No", disse il generale: e si alzò e subito prese un volume scelto fra altri parlamentari e, ad apertura di pagina, trovò il discorso e la data. Mi meravigliò non tanto che avesse ragione lui quanto che trovasse con tanta rapidità il volume e la pagina: aveva 98 anni superati. Ma il suo vigore fisico affievolìva. Lentamente, inesorabilmente il generale Dallolio si spegneva. Tramonto quanto mai sereno: e la grande serenità gli veniva dalla pura certezza del compiuto dovere in tutta la sua vita, nonché dalla sua intima e profonda filosofia. Sapeva di aver sempre avuto di mira, nei suoi alti e delicati uffici, non l'interesse proprio, ma quello dello Stato; di aver maneggiato miliardi, serbando terse le mani.
Il giorno che consegnò all'Archivio del Risorgimento, bene ordinati e chiariti con varie note interessanti, i molteplici documenti militari della sua laboriosa carriera, e quelli diplomatici relativi alle missioni all'estero, tutti preziosi per la storia di un agitato periodo, mi disse: "Ora sono tranquillo, aspetto in pace la mia fine, che non tarderà". Pareva un savio ormai distaccato dalla terra, assurto ad una sfera superiore.
Andai a salutarlo anche il giorno che cominciava il suo centesimo anno: gli erano giunti telegrammi augurali da ogni parte d'Italia e li scorreva uno ad uno e rispose a tutti, direttamente, personalmente, con la sua calligrafia ferma, agile e chiarissima.
Io gli avevo recato un fascicolo del "Ponte", la bella e colta Rivista mensile dell'onorevole Calamandrei, ove era un articolo di Gaetano Salvemini lusinghiero per il senatore Dallolio. Diceva: "Il generale Dallolio entrato nel centunesimo anno alcune settimane or sono, aveva diretto per parecchi anni, nel regime fascista, le produzioni di guerra come tecnico, senza occuparsi mai di politica. Nell'estate del 1939, vedendo che si andava verso l'intervento dell'Italia in una seconda guerra europea, dichiarò a Mussolini che l'Italia non era in grado di affrontare una crisi di quel genere dopo aver impiegato le sue forze in Etiopia e in Spagna, e si dimise dal suo ufficio tecnico, nel quale, data la politica governativa, non gli era più possibile servire con coscienza tranquilla".
Il generale lesse: il suo volto pallido e stanco si animò di compiacenza. In quel pallore, in quella stanchezza, brillavano due occhi scintillanti, buoni, e passò la luce di un sorriso. Ho la triste consolazione di aver suscitato quel sorriso, forse il suo ultimo.
Ora egli è spento: non mi sorriderà più. Ma non sarà da me (e da molti altri, credo) dimenticato. La sua natura fine, distinta, elevata, gentile, non si dimentica, si ama, si ammira, si riverisce, anche oltre la tomba. Et ultra! Le virtù di quella natura, cioè la passione per la Patria, la probità intemerata, il saldo carattere e la bella intelligenza, sono le virtù ideali, supreme. Che onorano un uomo e la Nazione dove egli è nato. (Vivi applausi. Congratulazioni).
SANNA RANDACCIO. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SANNA RANDACCIO. Onorevoli colleghi. Il legame di affettuosa amicizia che mi lega ai familiari del defunto senatore Dallolio mi induce a chiedervi di ascoltarmi perché io intendo aggiungere alle parole pronunciate dal senatore Bergamini poche altre parole per sottolineare quello che del grande Scomparso fu il giudizio della mia generazione, di quella generazione che adolescente si affacciò alla grande guerra e comprese, quando si passò dalla tragedia dei reticolati tagliati con i denti ai fulgori di una completa attrezzatura bellica che consentì di combattere e di vincere, quale fosse stato l'apporto che alla vittoria avesse dato l'opera di Alfredo Dallolio. Noi che abbiamo combattuto la grande guerra, veramente abbiamo imparato allora ad inciderci nell'animo riconoscente questo nome. Ma poi, quando in piena maturità vivemmo la tragedia della guerra del 1940, comprendemmo per quali ragioni Alfredo Dallolio, che pure aveva voluto servire la Patria fino all'ultimo, nel 1939 avesse voluto nettamente separare la propria responsabilità.
I servizi che il generale Dallolio ha reso alla Patria incominciano con la guerra di Tripoli quando, direttore generale d'artiglieria, dovette rapidamente attrezzare una spedizione di 200.000 uomini, mentre era stata prevista di 30.000. Egli seppe col suo genio organizzativo contribuire allora alla vittoria.
Il senatore Bergamini vi ha detto già quale fu la sua opera nella grande guerra e vi ha ricordato quello che a mio giudizio resta il gesto più grande di questo grande servitore della Patria, quando a Foch e Churchill, convinti che noi fossimo stremati, assicurò che l'Italia sarebbe risorta principalmente con le proprie risorse; veramente l'Italia seppe allora fronteggiare il tragico momento e Dallolio, che era Sottosegretario per le armi e le munizioni, seppe ridare alla vittoria le armi necessarie.
Ma dove veramente rifulse la tempra di questo uomo amante della Patria, ma incorruttibile sotto ogni profilo, fu allorché il fascismo volle attirarlo nelle sue file e Dallolio, anche allora servendo la Patria, seppe comprendere quale era il suo posto e se cercò di rafforzare l'organizzazione militare, rifiutò tessere e distintivi e rimase al suo posto finché comprese che ormai non poteva più l'opera di un uomo contrastare il cammino tracciato dallo strapotere di un dittatore che aveva perso il senso di ogni misura.
Questi i lineamenti più salienti di questa grande figura d'italiano. Chiudendo ieri, onorevoli colleghi, il breve elogio funebre di Carlo Sforza, io dissi che di lui si poteva dire: ha servito la Patria. Anche di Alfredo Dallolio si può pronunciare questo che è il sommo elogio! Veramente, quando qui usciti dal contrasto della passione politica, placati, diventiamo più buoni gli uni con gli altri e capaci di comprenderci, comprendiamo veramente come talvolta la Patria si serva con visioni diverse, ma Dallolio fu un uomo che sovrastò anche le competizioni di una lotta politica: egli vide al di sopra di ogni concetto di fazione il vero volto della Patria. Per questa Patria è vissuto e nel suo nome è morto. Noi giustamente oggi l'onoriamo. (Vivi applausi).
OTTANI. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
OTTANI. Il generale Alfredo Dallolio, mancato ai vivi il 20 settembre di questo anno, quando pochi mesi mancavano a che egli compisse il secolo di vita, doveva essere ricordato in questa Aula, non solo perché fino dal 1917 egli fece parte del Senato del Regno, sempre con onore e con dignità, ma anche per le altissime benemerenze che nella sua lunga carriera aveva acquisite.
Di pochissimi uomini, che abbiano dovuto assumere posti di grande responsabilità, può dirsi, come di lui, che abbiano riunito in sé doti preclare di intelligenza, di onestà e di indipendenza di carattere.
Altri ha già detto, e con espressioni veramente alte e nobili, quanto ha saputo compiere il generale Dallolio a servizio della Patria, e la sua commemorazione non avrebbe bisogno di nessuna appendice.
Ma io prego l'onorevole Presidente e gli onorevoli colleghi di volere consentire a chi ha l'onore di rappresentare Bologna, la città che è orgogliosa di avergli dato i natali, di portare qui la eco del sentimento di dolore e di cordoglio che hanno provato tutti i cittadini bolognesi, i quali con reverenza e commozione pochi giorni or sono hanno fatto ala al corteo che accompagnava verso l'ultima dimora la salma dell'illustre concittadino.
Nella lunga carriera del generale Alfredo Dallolio io amo ricordare soltanto alcuni punti salienti: nella prima guerra mondiale del 1914-1918 egli seppe organizzare la produzione delle armi e munizioni delle nostre industrie nazionali, ottenendo risultati che superavano ogni previsione.
Dopo le nefaste giornate di Caporetto, quando tutto l'Esercito sembrava doversi sfasciare sotto l'ondata della vittoriosa offensiva nemica e del disfattismo interno, ed era rimasto pressoché senza armamento, perduto nella frettolosa ritirata, il generale Dallolio, dopo avere contribuito nello storico incontro di Peschiera a far accettare dagli alleati la linea del Piave come punto di arresto della offensiva austro-ungarica, fu pronto a ricominciare da capo, ed in pochi mesi l'Esercito italiano riebbe un armamento più efficiente di quello che aveva perduto ed un munizionamento più abbondante. In quell'occasione il generale Dallolio mostrò veramente la sua capacità eccezionale, e ottenne dagli alleati il riconoscimento che l'Italia aveva saputo con tutte le proprie energie provvedere alla difesa del territorio nazionale.
Ed in quell'anno il generale Dallolio non si limitò ad assolvere il compito prettamente tecnico e militare che gli era stato affidato, ma in diverse occasioni, essendo Ministro per le armi e le munizioni, andò nelle più importanti città italiane a portare la sua parola che sollevava gli animi, rincuorava i dubbiosi, e persuadeva tutte le categorie dei cittadini a compiere i necessari sacrifici finanziari per dare al Governo i mezzi necessari alla ricostituzione dell'armamento per la suprema difesa, prima, e poi per la riconquista del sacro suolo della Patria.
Anche i bolognesi di quel tempo ricordano che nei primi del 1918 il generale Dallolio parlò, assieme all'onorevole Francesco Saverio Nitti, al popolo di Bologna in una grandiosa adunata per incitare i cittadini a sottoscrivere al Prestito nazionale, e a dare con generosità e con spontaneità. Egli parlò con tanta sincerità e con tanta passione di amore patrio, che non solo ottenne il risultato che il Ministro del tesoro desiderava, ma suscitò anche una grande dimostrazione di italianità e di patriottismo.
Si ritirò dalla carriera militare alla vigilia della seconda guerra mondiale, spontaneamente, con un gesto di grande fierezza e dignità che costituisce un altro titolo di onore.
Egli che aveva opposto una inflessibile resistenza agli allettamenti del regime, e che aveva rifiutato un giuramento, che riteneva incompatibile con la sua coscienza e col suo onore di ufficiale, non volle assumersi la responsabilità di cooperare, come Commissario alle fabbricazioni di guerra, ad una guerra che riteneva disastrosa e rovinosa per l'Italia e, dopo avere inutilmente documentato che mancavano i mezzi richiesti da una grande impresa bellica, si dimise dall'alto ufficio esprimendone francamente i motivi.
Questo servitore della Nazione ebbe anche la altissima e rara virtù della modestia; rifuggì sempre dal mettersi in vista e dal fare parlare di sé, e di questo ci è prova anche l'ultimo suo atto: egli ha voluto che fossero consegnati all'archivio storico del Risorgimento italiano i documenti, le lettere ed i memoriali che si riferivano alla sua opera di Capo militare e di membro del Governo. Bene egli avrebbe potuto scrivere cose del massimo interesse, come hanno fatto molti altri Capi militari, ma ciò era contrario alla modestia del suo carattere: a lui ripugnava di mettere in evidenza i propri meriti e la propria opera, come pure di accusare e censurare anche se giustamente l'opera di altri; egli voleva semplicemente che la verità storica potesse venire ristabilita, a suo tempo, e per questo egli ha disposto che un periodo non breve di tempo debba trascorrere prima che il materiale prezioso che egli ha consegnato all'archivio venga utilizzato e divulgato; allora le passioni si saranno sedate, le fazioni saranno calmate, e l'Italia sarà uscita da questo tormentoso periodo e avrà consolidato la sua posizione di vera grandezza civile, aliena da avventure belliciste. Quod est in votis. Allora gli storici potranno dire una parola serena, obbiettiva ed esprimere un giudizio definitivo su quel periodo di 50 anni di storia italiana ed europea nel quale si è svolta la vita del generale Alfredo Dallolio .
Noi collochiamo idealmente la figura del generale Alfredo Dallolio nel Pantheon della Patria, tra quei grandi che hanno avuto nel cuore soprattutto l'Italia e tutto hanno dato all'Italia. (Vivi applausi).
ZANARDI. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ZANARDI. Onorevoli colleghi, con animo veramente commosso commemoro la figura del generale Dallolio con il quale ebbi lunghi ed affettuosi rapporti. Nel 1914, nominato sindaco di Bologna, mi rivolsi a Lui per avere saggio consiglio. Ricordo benissimo quest'uomo che, pur differendo dalle mie idee, aveva un'onestà, una forma di galantomismo, adesso esclusa dalla vita politica italiana. Andai dal generale Dallolio per la difesa di Bologna: egli fu per me come un padre e mi diede utili consigli; ecco perché rendo omaggio a quest'uomo ed auguro che il Senato voglia rendere gli onori dovuti ad un così grande italiano, che fu cittadino anche di Bologna, che lo ricorda fra i suoi figli migliori. (Vivi applausi).
CONTI. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CONTI. Onorevoli colleghi, da questa parte dell'Assemblea e cioè dai repubblicani, deve dirsi una sola parola: auguriamo alla Repubblica italiana soldati come Dallolio! (Vivi applausi).
PERSICO. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PERSICO. Onorevoli colleghi, la parte politica alla quale ho l'onore di appartenere si inchina reverente dinnanzi alla salma di Alfredo Dallolio, grande cittadino, soldato esemplare, fedele servitore della Patria. Auguriamoci che uomini simili siano sempre presenti nel momento del bisogno, come egli lo è stato durante la guerra 1915-18. (Vivi applausi).
CERICA. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CERICA. Prendo la parola a nome del Gruppo democratico cristiano al quale ho l'onore di appartenere per associarmi alla commemorazione dell'alta figura di soldato e di italiano del generale Dallolio. Voglio ricordare particolarmente tre momenti della vita di questo illustre generale italiano; tre momenti che caratterizzano e sintetizzano le grandi benemerenze di quest'uomo insigne verso l'Italia.
Ancora negli anni della mia lontana giovinezza, quando ero ancora subalterno al mio reggimento, all'inizio della mia carriera militare, ho avuto l'onore di vedere l'allora colonnello Dallolio percorrere le montagne della nostra frontiera orientale, la infelice frontiera uscita dalla pace di Villafranca del 1866, la frontiera aperta che poneva l'Italia disarmata alla mercé della prepotenza e della violenza austriaca, esposta al capriccio del militarismo austriaco. Ricordo di aver visto il generale, allora colonnello di artiglieria, portarsi infaticabilmente sulle posizioni che si stavano rafforzando per chiudere le porte d'Italia all'imperialismo austriaco. Egli era stato allora un veggente: in tempi nei quali il Paese si illudeva di poter vivere una pace eterna, comprese il dovere suo di soldato e di tecnico, di additare agli italiani, alle autorità responsabili il pericolo incombente sotto il quale vivevano. La chiusura della frontiera italiana, che permise durante la prima guerra mondiale di poter tenere le posizioni montane relativamente con poche forze, fu dovuta all'intelligenza e alla tecnica operosa e modesta di questo illustre generale e soprattutto alla sua opera di ideatore e di apostolo. Durante la prima guerra europea l'Italia, povera di attrezzature industriali e di materie prime, riuscì a tenere degnamente il posto che aveva preso nella coalizione di cui faceva parte in una durissima guerra perché l'alacre, insonne fatica del generale Dallolio, seppe provvedere ai combattenti italiani i mezzi per poter sostenere la guerra e dopo Caporetto a riparare alla paurosa carenza di armi e artiglierie che quel disastro improvvisamente aveva causato.
Chiamato ancora, durante il regime fascista, ad assumere la carica di organizzatore della produzione di guerra, quando vide che, nonostante tutte le manchevolezze che avevamo e che egli aveva documentate, si voleva ciecamente correre l'avventura di una guerra senza speranza, compì il dovere di cittadino e di soLdato di dimettersi dalla carica. Egli non pose la sua firma d'avallo, come tecnico, ad una politica che non poteva condividere. Il soldato non può e non deve rifiutarsi di eseguire gli ordini, ma quando è giunto ad altissimi posti di responsabilità deve far tutto il possibile perché ordini sbagliati non siano dati. Il generale Dallolio fu in quel suo gesto ottimo cittadino ed ottimo soldato, dando agli italiani un chiaro e purtroppo raro esempio di carattere e di onestà. Ed anche al momento culminante della sua vita alla soglia del centesimo anno, poco prima di morire, quando, raccolti tutti i documenti che aveva, avrebbe potuto scrivere libri di memorie o diari redditizi, ignorò la cronaca che ha talvolta infestato con troppe pubblicazioni il nostro Paese. Sempre ottimo cittadino ed ottimo soldato egli sentì il dovere, in momenti in cui si vive ancora di cronaca e non di storia, di affidare i suoi documenti alla vera storia d'Italia, quella che soltanto i posteri sono in grado di scrivere, sottraendoli alle passioni ed ai sentimenti e risentimenti delle fazioni e degli individui viventi. Per questo la figura del generale Alfredo Dallolio è figura insigne di soldato e di cittadino. A questa alta figura io, come senatore democristiano e come vecchio soldato, inchino reverente la mia fronte. (Vivissimi applausi da tutti i settori).
MOLE' ENRICO. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MOLE' ENRICO. Onorevoli colleghi, associandomi alla commemorazione di questo grande cittadino e grande soldato, ritengo di dover esprimere a nome di questa parte del Senato quale è il nostro sentimento. Il Senato della Repubblica, sensibile alle virtù civili e agli alti valori dello spirito, non può non inchinarsi - senza distinzione di partiti - alla memoria di questo grande, prode servitore del Paese. (Vivi applausi).
ZOLI, Ministro di grazia e giustizia. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ZOLI. Ministro di grazia e giustizia. Il Governo si associa reverente all'omaggio unanime che il Senato ha oggi reso alla memoria del generale Alfredo Dallolio che resterà nella storia del nostro Paese esempio non superabile di alte virtù civili e militari, di patriottismo e di rettitudine. (Vivi applausi).
PRESIDENTE. Il Senato si associa alla commossa rievocazione della vita e delle opere del generale Alfredo Dallolio, che fu grande soldato, uomo di preclare virtù e fedele servitore della Patria. (Vivi applausi).

Senato della Repubblica, Atti parlamentari. Resoconti stenografici,1° ottobre 1952.