senato.it | archivio storico

D'OVIDIO Francesco

05 dicembre 1849 - 24 novembre 1925 Nominato il 03 dicembre 1905 per la categoria 18 - I membri della Regia accademia delle scienze dopo sette anni di nomina provenienza Molise

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Vittorio Zupelli, Vicepresidente

Onorevoli colleghi. La morte inesorabile altri amati colleghi ci ha strappato nel breve intervallo delle nostre sedute. [...]
Un alto spirito, un ingegno sovrano sono venuti a mancare all'Italia colla morte di Francesco D'Ovidio, spentosi in Napoli il 24 novembre, dopo lunga atroce infermità sopportata con fermezza degna di un antico stoico.
Campobasso gli aveva dato i natali il 5 dicembre 1849: a venti anni conseguiva il dottorato in filologia a Pisa, dov'era stato uno dei discepoli prediletti del D'Ancona, della cui scuola doveva essere degno continuatore; e l'anno seguente, nel 1870, iniziava la sua mirabile feconda attività d'insegnante. Impartì prima per quattro anni l'insegnamento di lettere latine e greche al Liceo di Bologna e poi per un anno al Liceo Parini di Milano, rivelandosi fin d'allora vero innovatore, sia nelle ricerche filologiche come nel metodo didattico. Salito presto in fama per i lavori e gli articoli letterari che veniva allora pubblicando su giornali politici, con quello stile agile e limpido che ne fece uno degli scrittori più simpatici, si meritò l'amicizia di quel raro conoscitore di uomini che fu Ruggero Bonghi, il quale nel dicembre 1875 gli affidò l'incarico della Cattedra di lingue e letterature neo-latine nell'Università di Roma e il mese successivo lo inviò a Napoli a fondare la Cattedra di storia comparata delle letterature neo-latine. E da allora per 47 anni ininterrotti, e da quella cattedra e dall'altre, che tenne degnissimamente per incarico, di grammatica greca e latina e di letteratura dantesca, egli diffuse tanta luce di dottrina e di pensiero da poter essere considerato come un capo-scuola. Già da molti anni tormentato dalla terribile malattia che doveva ucciderlo, volle con ammirevole sacrifizio ed eroismo continuare ad impartire l'insegnamento finché gli fu possibile, cioè fino al 1923. Né tuttavia si dette per vinto, perché continuò dal suo letto di dolore a dettare saggi e articoli, anche recentemente pubblicati.
Dire adeguatamente dell'opera di Francesco D'Ovidio, non è a me qui possibile. Mi basti l'accennare che le sue geniali ricerche glottologiche hanno avuto importanza notevolissima per l'odierno indirizzo degli studi filologici; ma ch'egli fu soprattutto sommo letterato e critico e seppe porre mirabilmente a servizio di un acuto senso filologico, storico e filosofico, la sua straordinaria erudizione classica e moderna e lo squisito suo gusto. Dalla sua scuola letteraria uscirono illustri critici e letterati, come dal suo lavoro personale, che ha del prodigioso nella sua molteplicità e instancabilità, sgorgarono studi e scritti pregevolissimi che misero in nuova luce aspetti e problemi della nostra storia letteraria; dall'opera di Dante su cui scrisse volumi magistrali, a quelle degli altri nostri sommi poeti e prosatori, fino al Manzoni di cui fu critico ed esegeta entusiasta e da cui trasse la snellezza della forma, la garbata ironia dello stile. Sui Promessi Sposi, da lui ritenuto un capolavoro non pari ma paragonabile alla Divina Commedia, egli scrisse saggi di critica di grande pregio. Né è da meravigliarsi di questa sua profonda ammirazione per il Manzoni giacché, al pari di lui, egli credeva che fine ideale dell'arte fosse la ricerca della verità e l'educazione dell'animo: ed assegnava quindi ad essa un alto compito civile. E questo pensiero luminoso consacrava in un memorabile discorso tenuto il 4 giugno 1905 all'Accademia dei Lincei.
Quant'egli abbia fatto in pro dell'Università di Napoli e della cultura napoletana, lo dice il cordoglio di tutta la cittadinanza della nobile città: per cinquanta anni egli fu una delle più eminenti figure della vita intellettuale partenopea: succeduto al De Sanctis nella presidenza del Circolo filologico, carica che ancora conservava, esplicò opera incessante ed entusiasta per la diffusione della cultura, ch'ei considerava strumento indispensabile per la grandezza e la prosperità della nazione.
Accademico della Crusca, cavaliere dell'ordine civile di Savoia, vicepresidente e poi per molti anni benemerito Presidente dei Lincei, fu nominato senatore il 3 dicembre 1905 e, fino a che il male non lo inchiodò sul letto, fu sempre assiduissimo ai nostri lavori. Nei primi anni fece assai spesso udire la sua alta e ascoltatissima parola sovratutto in materia di pubblica istruzione: poi si dovè limitare alla diligente assistenza alle sedute. Ancora è presente alla memoria di noi tutti, là, al suo posto, cogli occhi ormai semispenti, mentre seguiva con attenzione concentrata le nostre discussioni.
Francesco D'Ovidio, la tua insigne opera di maestro e di letterato sarà a lungo ricordata e fruttifera: la tua figura elettissima resterà venerata nei nostri cuori come in quelli degli innumeri tuoi discepoli. Giunga alla tua memoria il nostro mesto saluto, mentre inviamo alla desolata tua famiglia e al fratello tuo dilettissimo, Enrico, nostro amato collega, l'espressione del nostro vivissimo cordoglio: alla tua città natia e a Napoli che ti fu patria di elezione, inviamo le nostre più sincere condoglianze. (Approvazioni).
FEDELE, ministro della pubblica istruzione. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FEDELE, ministro della pubblica istruzione. Mi associo in nome del Governo alle commemorazioni dei senatori [...] e Francesco D'Ovidio. Di Francesco D'Ovidio non io dovrei parlare qui dove siedono tanti amici, estimatori, compagni di studio e di lavoro, discepoli devoti dell'illustre scomparso. Ma mi sia consentito, come a reggitore delle scuole, ricordare di lui più ancora che i suoi scritti numerosissimi tra i quali primeggiano quei manzoniani e danteschi di larga e solida dottrina, di una forma limpida e fluente, come siamo abituati ad ammirarla in molti scritti napoletani, vivi e scintillanti di arguzie, la sua opera veramente incomparabile di maestro. Francesco D'Ovidio come [...], hanno con l'opera loro infaticabile contribuito a dare alla Scuola ed alla Scienza italiana quel senso di dignità e di serietà per quale si può parlare in Europa con rispetto e con ammirazione di una scienza filologica italiana. Essi sono stati maestri nel più nobile senso della parola; e nell'amore e nella ricerca del vero, nell'abito al lavoro proseguito con disinteresse e con religiosa abnegazione sono stati educatori del carattere nazionale. Questi uomini infatti che vissero tutti modestamente e che austerità dei loro studi parve quasi separare come una barriera della vita tumultuosa della politica, dalla faciloneria dilagante talvolta derisi o poco apprezzati, hanno preparato ed abituato al lavoro severo, paziente, metodico tutta una schiera di giovani, temprandone il carattere, offrendo ad essi l'esempio di una vita nobile, disinteressata, data con fervore allo studio dell'insegnamento. Per questo rispetto Francesco D'Ovidio può essere additato come un alto esempio ai giovani. Al suo indefesso lavoro non domandò altro compenso se non la intima gioia che derivava dalla persuasione che, compiendolo, egli serviva il proprio paese; ed è morto povero. Vecchio, quasi cieco, con mente lucidissima e con la chiara coscienza del progressivo e fatale deperimento delle sue forze e della fine che si appressava rapidamente, egli non un momento solo ristette dal lavoro ordinando, rivedendo, correggendo le bozze dei primi due volumi delle sue opere che si ristampavano. Tale egli fu in tutta la vita, come ha recentemente ricordato con accorato rimpianto il suo diletto discepolo, il senatore Scherillo, sin da quando egli salì sulle cattedre dei Licei nel 1870 dalle quali passò poi alla Università di Napoli, chiamatovi da Ruggero Bonghi nel 1873.
Alla memoria del maestro venerato, come il Senato, così la Scuola italiana s'inchina reverente. (Vive approvazioni).

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 8 dicembre 1925.