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COSTA Giacomo Giuseppe

24 novembre 1833 - 15 agosto 1897 Nominato il 07 giugno 1886 per la categoria 13 - Gli avvocati generali o fiscali generali presso i magistrati di appello dopo cinque anni di funzioni provenienza Lombardia

Commemorazione

 

Atti parlamentari - Commemorazione
Andrea Guarneri, Vicepresidente

Atti Parlamentari - Commemorazione
Andrea Guarneri, Vicepresidente

L'egregio vicepresidente Cremona nonostante una leggiera indisposizione che lo travaglia, ha avuto il pensiero di redigere lui stesso le necrologie dei colleghi, che mancarono ai vivi nelle decorse vacanze.
Prego uno degli onorevoli nostri segretari di avere la cortesia di leggerle; intanto propongo, e credo che il Senato vorrà associarsi a questa mia proposta, di inviare i nostri ringraziamenti all'egregio vicepresidente Cremona per la cortesia da lui addimostrata redigendo queste commemorazioni (Bene).
Il senatore, segretario, CHIALA legge:.
PRESIDENTE. Signori senatori! [...]
G. G. Costa nacque in Milano il 24 novembre 1833 da modesta famiglia ligure, ed ivi fece gli studi secondari. Studiò poi legge ed ottenne la laurea nell'Università di Genova. Avvocato, ritornò a Milano nel 1859, appena cessato il dominio austriaco.
Nel luglio 1860 entrò nella magistratura come sostituto procuratore superiore di Stato soprannumerario presso il Tribunale di appello per la Lombardia, e rimase a Milano fino al 1866 in qualità di sostituto procuratore generale in quella Corte di appello. Nel 1866 fu applicato al Ministero di grazia e giustizia in Firenze, e vi occupò anche l'ufficio di direttore capo della seconda divisione. Nel febbraio 1867 tornò alla Corte d'appello di Milano; e nell'ottobre 1869 fu richiamato al Ministero a fungervi da segretario particolare dell'illustre Vigliani, il quale più tardi, cioè nel 1873, lo volle suo segretario generale. Nell'intervallo, ossia nel settembre 1871, era stato trasferito da Milano a Venezia per ordinare e reggere l'ufficio di quella Procura generale, del quale divenne titolare nel dicembre 1874. Fu tramutato da Venezia a Genova nel gennaio 1876, poi a Palermo nel 1880, ad Ancona nel 1881, ed a Bologna nel 1884.
L'ingegno eletto, la mente acuta, la dottrina giuridica vastissima, la facondia ammirabile e la dialettica stringente gli crearono in breve tempo un'alta riputazione, ed accelerarono singolarmente la sua carriera di magistrato. Ebbe la fortuna ben meritata di poter rendere eminenti servizi nella condotta di vasti e complicati processi, rimasti celebri, come quello del Banco Parodi a Genova e dell'associazione di malfattori a Bologna. Di lui è stato detto con esattezza che lo splendore della sua carriera fu il riconoscimento degli eccezionali suoi meriti di giurista e di oratore.
Nel 1885 morì Giuseppe Mantellini ch'era stato il creatore dell'Avvocatura erariale. Parve allora che fosse ben difficile di sostituire quell'illustre giureconsulto; il Governo fu felice nel porre gli occhi su Giacomo Costa, ed in breve tutti sentirono che il nuovo avvocato erariale era interamente degno del predecessore.
Poco dopo, cioè nel giugno 1886, Costa fu ammesso in Senato, dove subito diede luminose prove della sua grande competenza nelle più svariate materie ed acquistò indiscussa autorevolezza di operoso relatore e limpido oratore, nella discussione dei bilanci non solo ma anche dei più ponderosi disegni di legge che occuparono quest'alta Assemblea durante la legislatura XVI e le successive.
Nell'anno 1894 sostenne il delicatissimo e difficile ufficio di relatore della Commissione instituita dal guardasigilli per accertare la responsabilità dei funzionari giudiziari che avevano preso parte all'istruttoria del processo per i fatti della Banca Romana. La sua Relazione rimane e rimarrà documento nobilissimo del modo come il Costa intendeva l'altezza della missione del magistrato; e basterebbe anche da sola a redimere l'onore della giustizia italiana dalle ombre accumulate in quel triste periodo che ebbe principio col 18 gennaio 1893.
Quella Relazione concludeva colla proposta di provvedimenti amministrativi e legislativi, riguardanti l'ordinamento giudiziario e la procedura penale; e col riconoscere che "molto e molto occorre di fare perché si ripari a quello stato di disagio nel quale si dibatte l'amministrazione della giustizia penale".
Tradurne in atto gli alti e nobili concetti era la suprema ambizione di Giacomo Giuseppe Costa; ed egli si credé avvicinato all'agognata meta quando nel marzo 1896 la fiducia Sovrana lo chiamò al seggio di guardasigilli. Subito egli preparò ed in parte anche attuò importanti riforme nell'amministrazione giudiziaria, miranti allo scopo di tenere alto il prestigio della magistratura. Ma allora appunto lo abbandonò il sorriso della fortuna. S'inasprì ed invelenì il morbo di cui pare avesse contratto i germi nelle eccessive fatiche, non mai interrotte malgrado le istanze della famiglia e degli amici. Di giorno in giorno apparivano sul suo volto emaciato i progressi della malattia; i medici gli raccomandavano il riposo; ma egli, sempre sereno, negava d'essere ammalato e si rifiutava a desistere dal lavoro.
Nei primi giorni dell'estate gli giunge una improvvisa terribile notizia: la morte quasi istantanea di un suo figliuolo a Torino. Ed egli, padre infelicissimo, si concede appena ventiquattr'ore per accorrere colà e comporre nella fossa la salma del giovane diletto. Soltanto dopo finita la discussione del suo bilancio in Senato, acconsentì a ritirarsi colla famiglia nella quiete della campagna; ma era troppo tardi.
Non era scorso un mese quando egli si sentì prossimo alla fine. Negli ultimi istanti inviò agli augusti Sovrani un telegramma in questi termini:
"Morendo, mando a V.M. l'estremo saluto e l'espressione della mia devozione, che cessa soltanto colla vita".
Il Re da Valsavaranche, la Regina da Gressoney rispondevano profondamente commossi, facendo voti per la conservazione dell'amico. Quando i due telegrammi reali arrivarono ad Ovada, il nobile infermo aveva cessato di soffrire. Sue ultime parole, dirette alla degna consorte, furono: "Vado a raggiungere nostro figlio".
Inchiniamoci davanti a tanta tragica grandezza. Non è lecito disperare dell'avvenire morale di una nazione, capace di produrre caratteri così fortemente temprati come quello di Giacomo Giuseppe Costa (Benissimo). [...]
CANONICO. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
CANONICO. Dopo le parole che abbiamo testé udite in memoria del compianto senatore Costa, per verità sarebbe superfluo aggiungerne altre. Le sue doti di ingegno e di cuore, stanno impresse nell'animo di tutti noi, e specialmente la tenace energia di volontà con cui, negli ultimi mesi della sua vita di uomo e di ministro, costringeva un organismo in isfacelo ad obbedire alla vigorìa dello spirito. Esempio raro ed imitabile della fedeltà religiosa al dovere, del carattere di soldato che combatte ancora morendo, per non mancare alla propria consegna (Benissimo).
A simiglianza di quanto fu fatto altra volta per un senatore morto ministro, il compianto Lorenzo Eula, io propongo al Senato che, oltre alle condoglianze che certamente furono già mandate dalla Presidenza e che in ogni caso propongo di inviare alla famiglia, si abbruni per otto giorni il seggio della Presidenza del Senato.
PRESIDENTE. Pongo ai voti la proposta fatta dal senatore Canonico.
Chi l'approva voglia alzarsi.
(Approvato). [...]
SPROVIERI. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
SPROVIERI. [...]
Propongo che a tutte le famiglie dei colleghi estinti, siano mandate le nostre condoglianze, senza nessuna distinzione.
PRESIDENTE. Dunque metto ai voti la proposta di inviare un voto di condoglianza a tutte le famiglie degli estinti nostri colleghi.
Chi approva questa proposta è pregato di alzarsi.
(Approvato). [...]
DI RUDINì, presidente del Consiglio. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
DI RUDINì, presidente del Consiglio. A nome del Governo io non posso che associarmi al lutto del Senato.
Le lettere, le arti, le scienze, le armi fecero perdite amarissime, e amarissime soprattutto al Senato che ha veduto scomparire alcuni personaggi autorevoli, amati e stimati.
Il cordoglio del Senato è il cordoglio della patria e il Governo non può non associarsi a questo cordoglio; ma io ho più specialmente il dovere di significare l'amarezza mia e dei colleghi miei per la perdita dell'onorevole Costa, che ci fu compagno fino al dì della sua morte.
Quanto fossero elevati e nobili i suoi sentimenti, quanto vasta e profonda fosse la sua dottrina voi ben sapete; è inutile che io ve lo ripeta; ma il ricordo dell'altezza dei suoi sentimenti, della vastità della sua dottrina deve rendere a voi ed a noi più amara la perdita sua. (Approvazioni).

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 30 novembre 1897.