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CONCI Enrico

24 giugno 1866 - 25 marzo 1960 Nominato il 30 settembre 1920 per la categoria 20 - Coloro che con servizi o meriti eminenti avranno illustrata la Patria provenienza Trentino-Alto Adige

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Cesare Merzagora, Presidente

Ha chiesto di parlare il senatore Benedetti. Ne ha facoltà.
BENEDETTI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, il 25 marzo scorso quasi novantenne, si è spento a Trento il senatore Enrico Conci.
È stata una morte serena, senza nessuna sofferenza, nel segno di quella fede che fu la forza vera di tutta la sua lunga operosa vita, filialmente abbandonata alla volontà di Dio.
Era nato a Trento il 24 giugno del 1866, compì gli studi ginnasiali nella sua città e all'Università di Graz si laureò in legge. Entrò giovanissimo nell'agone politico, militando nelle file del Partito popolare cattolico. Per le sue alte doti di mente e di cuore, oltre che per la serenità, tolleranza e signorilità da lui portata nella battaglia politica, ebbe rapido successo. Eletto deputato alla Dieta di Innsbruck nel 1896, ne divenne nel 1901 vicecapitano provinciale. Nel 1897 venne eletto deputato al Parlamento austriaco per il collegio di Mezzolombardo e della valle di Non, collegio che gli rimarrà sempre fedele durante tutti i suoi 60 anni di vita politica, sia sotto la dominazione austriaca, sia dopo il ricongiungimento del Trentino alla Madre patria.
Dal 1912 fu anche uno dei sette VicePresidenti della Camera dei deputati di Vienna, distinguendosi in quell'ufficio per la finezza di tatto e per larga comprensione dei problemi e dei sentimenti di ogni nazionalità rappresentata in quel consesso. Ma fu soprattutto nella difesa degli interessi della sua terra e la difesa della nostra individualità etnica e del diritto storico della sua gente che rifulsero le sue doti di ferma, coerente tenacia. Non era l'uomo dai gesti clamorosi, ma era l'uomo che non si piega. Sapeva sempre trovare la forma più decisa e precisa di dignitosa protesta contro ogni sopruso, contro ogni ingiustizia.
Furono i tempi dell'astensione, poi dell'ostruzionismo, i tempi delle battaglie per l'autonomia e per l'università italiana a Trieste, i tempi della Pro-patria, della Lega nazionale, della Società alpinisti tridentini e del monumento a Dante a Trento.
Non fece mai mistero dei suoi sentimenti di fiera italianità e di costante opposizione all'Austria. La dirittura di carattere dimostrata sempre da Enrico Conci, ben lontano dall'accarezzare il padrone con ufficiose proteste di lealismo, gli procurò, nel 1915 - dopo la chiusura del Parlamento e la soppressione dell'immunità parlamentare decretata dal Governo militare austriaco - il confinamento con tutta la famiglia a Linz e la dichiarazione di politicamente sospetto, con il conseguente obbligo di presentarsi tutti i giorni alla gendarmeria.
Con la morte di Francesco Giuseppe, il Parlamento austriaco riapre i battenti ed Enrico Conci riprende il suo posto. Aveva dovuto tacere per tre anni, ora però ha una tribuna dalla quale può parlare alto e forte, non solo per il suo Trentino, ma per tutti i popoli oppressi dall'Austria-Ungheria. È del maggio 1918 il discorso di Praga che tanto entusiasmo suscitò in tutti i popoli non tedeschi della monarchia.
"È l'augurio di un perseguitato ai perseguitati", egli dice, "del rappresentante di una nazione oppressa gemente ancora sempre sotto gravi compressioni; possa il ruggente leone czeco presto accovacciarsi tranquillamente, soddisfatto del suo trionfo". Il discorso gli procura la destituzione da vicecapitano provinciale, carica alla quale era stato eletto tanti anni prima. Conci risponde al sopruso, restituendo per lettera al presidente del Consiglio la croce di commendatore di Francesco Giuseppe conferitagli dieci anni prima, esigendone cenno di ricevuta.
Ma non siamo che alle prime avvisaglie; il 24 ottobre gli otto deputati trentini e i tre giuliani si costituiscono in fascio nazionale italiano sotto la presidenza dell'onorevole Conci. Il 25 egli pronuncia alla Camera il seguente discorso:
"In nome del fascio nazionale italiano, costituitosi ieri, ho l'onore di partecipare quanto segue: Fondandoci sui postulati del Presidente Wilson, riconosciuti ed accettati dalle Potenze centrali, dichiariamo che tutti i territori italiani, finora soggetti alla monarchia austro-ungarica, nessuno eccettuato, li consideriamo come già virtualmente staccati dal suo nesso territoriale; per la qual cosa i deputati italiani non hanno punto il compito di entrare in trattative col Governo e con i rappresentanti delle nazionalità ancora soggette all'Austria allo scopo di dare un nuovo assetto allo Stato. Poiché i territori italiani, situati entro i presenti confini della monarchia, si devono oramai ritenere come virtualmente appartenenti allo Stato italiano, protestiamo in modo speciale contro il trattamento eccezionale che, secondo le intenzioni del Governo, si dovrebbe usare alla città di Trieste".
Con questo documento storico di primaria importanza, e che si può considerare una anticipazione del "Bollettino della Vittoria", uno dei pionieri del movimento cattolico, a nome dei colleghi trentini, istriani e giuliani, concludeva la sua attività parlamentare nella monarchia austro-ungarica. Con l'annessione del Trentino alla madre patria, Enrico Conci riassume, con altra veste, il suo compito di capo dell'amministrazione provinciale autonoma, dimostrando come sempre la sua particolare competenza di esperto di problemi economici ed amministrativi.
Il 30 settembre 1920 viene nominato senatore del Regno. Poco dopo, il 17 ottobre, viene chiamato alla direzione regionale del Partito popolare ed in tale occasione chiese che venissero osservate le antiche autonomie provinciali e comunali per la migliore tutela degli interessi locali, e dichiarò di non voler fare rappresaglie, ma di voler rispettare e far rispettare i giusti diritti della popolazione tedesca, venuta a far parte del territorio nazionale. La sua attività di amministratore provinciale venne bruscamente troncata la sera del 23 ottobre del 1922 con l'occupazione fascista del palazzo provinciale. Anche in quella occasione si comportò secondo il suo temperamento e, nell'abbandonare il suo posto di lavoro e di responsabilità, "sia ben chiaro", dichiarò, "che io cedo alla violenza".
Durante il ventennio il suo compito politico si ridusse ad una parvenza. Solo nel 1924, quando maggiormente imperversava la campagna denigratoria da parte del fascismo contro Alcide De Gasperi, Enrico Conci scrisse una lettera coraggiosa in difesa dell'amico e compagno di idee. Poi non gli restò che ritirarsi addolorato in disparte. Non cessa però la sua opera di incitamento, di persuasione e di convincimento nei valori immortali della libertà e della democrazia. È la fiaccola sotto il moggio, che arde perenne e non si spegne.
Passata la bufera della seconda guerra mondiale, risorto il nostro paese a novella libera democrazia, Enrico Conci è di nuovo sulla breccia, forse un po' stanco, ma sempre entusiasta, sempre sereno, pronto a sostenere con il consiglio e con l'esempio le nuove leve politiche che si erano forgiate in silenzio nell'Azione cattolica e nella Resistenza.
Il popolo trentino nel 1946 mandò alla Costituente la sua figliola. E nel 1948 il suo antico collegio lo rielesse, con una manifestazione plebiscitaria di fedeltà, a proprio senatore. Ora lo ricordate tutti voi nella prima legislatura del Senato repubblicano, sempre assiduo ad ogni seduta, affabile, arguto, cortese; ricordate la sua abitudine - dettata da difficoltà auditive - di sedersi vicino ad ogni curatore, che ascoltava con la massima attenzione, e la sua cortese e costante manifestazione di compiacimento verso di esso - a meno che non avesse offeso con il suo intervento i suoi principi morali e religiosi - tanto che lo avevamo soprannominato il "congratulatore" ufficiale del Senato.
Durante la prima legislatura, ultra-ottantenne, si sobbarcava tutte le settimane il viaggio Trento-Roma e ritorno, con giovanile resistenza, conscio di compiere il proprio dovere sia a Roma sia nel collegio. Dopo una vita spesa al bene pubblico si ritirerà ottantacinquenne a vita privata, ricordando il tempo passato, fedele fino all'ultimo alla sua profonda concezione di cristiana democrazia.
Dal Parlamento di Vienna, alla Dieta di Innsbruck, dalla Giunta provinciale di Trento al Senato del Regno, a quello della Repubblica, Enrico Conci passa franco e sicuro, alieno da ambizioni e particolari interessi, persuaso di servire nel popolo l'idea maturata e cristianamente accettata, convinto che la buona battaglia vada sempre, in fasi, circostanze, ambienti diversi, combattuta lealmente e serenamente, nell'interesse superiore del proprio paese e del proprio popolo.
A Enrico Conci, che dalla vita ebbe dolori e preoccupazioni e qualche sorriso, ma seppe rialzare la sua vela verso idealità superiori, che rimasero e rimangono patrimonio ideale della nostra gente, va riverente il pensiero ed il rimpianto del Gruppo della Democrazia cristiana del Senato. Ai familiari tutto il nostro cordoglio.
ANGELINI. ministro senza portafoglio. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANGELINI. ministro senza portafoglio. A nome del Governo mi associo al profondo compianto manifestato in memoria dell'onorevole Enrico Conci che nella sua attività politica, come ha bene rilevato il collega senatore Benedetti, seppe imporsi per le sue doti di onestà e di attaccamento alla idea democratica.
Noi lo abbiamo tutti conosciuto. Egli fu uomo veramente di indiscussa fede nella libertà. Conobbe l'esilio e le sofferenze pur di non venir meno ai sentimenti di fermissima italianità.
Alla sua memoria, alla memoria di quest'uomo illustre, di questo trentino autentico, sensibile alle sofferenze, alle ansie ed agli interessi della sua gente e della nostra Italia, rivolgo un commosso deferente omaggio.
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, sono sicuro di interpretare il sentimento di tutto il Senato rivolgendo un caro saluto alla memoria del senatore Conci di cui ricordiamo la figura patriarcale che illustrava questa Assemblea, nonché quella cortesia e quella garbatezza che sono caratteristiche della sua nobile terra.
Alla sua famiglia vadano i sensi del più sentito cordoglio del Senato.

Senato della Repubblica, Atti parlamentari. Resoconti stenografici, 10 maggio 1960.