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CITTADELLA VIGODARZERE Gino

19 maggio 1844 - 21 settembre 1917 Nominato il 14 giugno 1900 per la categoria 03 - I deputati dopo tre legislature o sei anni di esercizio provenienza Veneto

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Giuseppe Manfredi, Presidente

Onorevoli colleghi! Ora il nostro pensiero pur troppo si deve volgere ai senatori che abbiamo perduto durante le vacanze. [...]
Il conte Gino Cittadella Vigodarzere, che aguravamo salvo dal male, che lo aveva colpito, ad una replica soccombette il 21 settembre in Padova, ove avuto aveva i nobili natali il 19 maggio 1844. Dopo quello delle leggi, i suoi studi furono i letterari e gli artistici. Addestratosi nella scoltura, espose a Bruxelles ed a Torino. Scrisse e pubblicò prose e versi; e il suo poemetto ”Il tradito di Queretaro” è citato da Cesare Cantù nella ”Cronistoria dell'indipendenza italiana”. Alla coltura il conte Gino congiunse la bontà; e fu amato per il cuore benefico, la finezza del sentire, la dolcezza delle maniere, la somma cortesia. Segno fu a generale riverenza per la dignità della persona, le insigni tradizioni del casato alto tenute e l'esemplarità della vita privata e pubblica.
Lo spirito liberale e l'amor patrio, con tanti pregi, lo indicarono per la rappresentanza politica; fu eletto dal collegio di Civitella tre volte, e, dopo un intervallo in dimissione, dal 1° di Padova due; e fu deputato al Parlamento dalla XII alla XIV legislatura, e nelle XVI e XVII.
Lo avemmo dal 14 giugno 1900 in Senato, dove aveva seduta il padre conte Andrea letterato pur esso e della patria benemerito. Ci allietava la sua presenza; ci fu gradita la sua parola nelle opportunità proferita.
Del Comune di Padova entrò nel Consiglio lungamente vi rimase, e nel 1913, quarantesimo della carica, venne dal Consiglio festeggiato ed onorato il chiaro gentiluomo con medaglia d'oro commemorativa. Altre cariche pubbliche rivestì, elevandole e facendone specchiatamente il dovere. La scuola professionale femminile ed il Museo Bottacin l'ebbero presidente carissimo. Padova, che piange il concittadino, ha aggiunto nuovo lutto a quello per la morte del Veronese; onde doppiamente ci condogliamo. (Benissimo). [...]
TOMMASINI. Il giorno della riconvocazione è pel Senato un giorno di lavoro e di festa, ma non va scevro da commozione, perché è giorno in cui si commemorano le perdite che nell'intervallo delle vacanze il Senato ha subìto.
Il venerato nostro Presidente, gli egregi oratori che mi hanno preceduto, hanno oggi ricordato gli alti meriti di persone scomparse alla vita pubblica, singolarmente benemerite della patria, amatissime nel Senato Se comune è il rammarico e la memoria degli onorevoli colleghi perduti, per taluni di essi le relazioni personali più dirette, più antiche, più vive, giustificano quasi un attestato di particolare rimpianto. [...]
DI BRAZZÀ. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DI BRAZZÀ. Legato da vincoli di parentela ma più ancora da viva amicizia ed affetto fraterno, fin dai più giovani anni, al caro estinto del quale Padova, sua natia, città, e noi tutti rimpiangiamo la perdita; mi parrebbe mancare ad un sacro dovere se non prendessi la parola per associarmi, con animo commosso, a quanto ha detto il nostro illustre Presidente.
Altri parleranno, io credo, sulla sua opera altamente patriottica svolta nell'ambiente amministrativo della sua città natale. Mi limiterò a ricordare la sua innata intelligente bontà. Col conte Gino Cittadella-Vigodarzere è scomparso un gentiluomo perfetto del vecchio stampo.
Il suo animo gentile e mite non arrivava quasi a comprendere che non si dovesse essere quale era egli stesso; quindi il suo tratto sempre gentile con ogni persona, massime cogli umili.
Di tratti squisitamente fini, colto, amante delle arti belle, scrittore elegante, visse per fare il bene, e nell'esercizio di questo, prodigò tutto se stesso con saggia carità, saggiamente intesa.
Spero avere consenziente il Senato nel pregare il nostro Presidente di volere esprimere alla sorella contessa Luisa, che gli fu sempre fida ed amata compagna, ai fratelli, ed all'altra sorella contessa Giustina di Valmarana la parte che il Senato prende al loro dolore. (Approvazioni).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il senatore Polacco.
POLACCO. Mentre mi associo commosso alle parole che l'illustre Presidente con la usata elevatezza ha consacrato alla memoria dei tanti, dei troppi colleghi perduti, mi si permetta ch'io qui porti pure la voce, di Padova particolarmente provata in quest'anno da lutti ch'essa ha comuni col Senato del Regno.
Ci era stato da pochi mesi rapito Achille De Giovanni, il clinico insigne, che già nuova ferita si apriva nel cuore di Padova, il cui Ateneo vedea spegnersi d'improvviso un altro ancora dei suoi luminari, nelle matematiche discipline parimenti famoso, e del suo incremento particolarmente benemerito per ciò ch'egli qui ottenne a pro della scuola per gli ingegneri. E poco appresso ecco, la città tutta quanta immersa ancora nel più profondo dei lutti per la scomparsa del gentiluomo esimio che pareva rispecchiarne nella sua rappresentativa figura l'antica maestà e la rifiorente grandezza. Il conte Gino Cittadella degno rampollo di benemerita antica prosapia, Giuseppe Veronese surto invece ai fastigi della scienza da umilissime origini, si incontrarono, prima nel Consiglio della città, più tardi anche in questa più eccelsa Assemblea, in quel culto del pubblico bene che, fondendo gli animi, cancella qualsiasi disparità di natali. Pari in entrambi, benché ascritti a parti politiche opposte, l'altezza d'intenti e il fervor d'opere onde servirono la patria, la grande, io dico, e la piccola patria, che li circondarono in vita di estimazione altissima, che oggi alla loro memoria danno entrambe tributo di riconoscente rimpianto. [...]
In Gino Cittadella che pur fece udire ascoltatissimo qui la sua parola, ornata sempre e specialmente nell'improvvisare felice, una signorilità di animo, di pensiero e di modi che rendea doppiamente benedetta dallo stuolo dei beneficati la mano di lui sempre aperta ad occulti soccorsi, una signorilità che, comunicandosi a persone e cose, placava veementi dissidi, nobilitava argomenti in apparenza volgari, su tutto e su tutti portando l'effluvio di una fascinatrice purezza di cuore e di vita. Lo si sarebbe detto un superstite solitario di un'età cavalleresca e di un mondo ideale più sereno e più buono del nostro, se non fosse stato ch'egli amava pur vivere della vita turbinosa dell'età che fu sua, saldo sì nei cardini tradizionali dell'ordine religioso e civile, ma sollecito dei problemi sociali nuovi ed accessibile ad ogni forma di reale progresso, deferente sempre sino allo scrupolo verso chi da lui dissentisse ed altrettanto proclive ad indulgenza nel giudicare gli altri quanto diffidente a torto delle forze sue proprie e rigido censore verso se stesso.
Menti così preclare ed animi tanto eccelsi trovano sempre nei diletti dell'arte il maggior ristoro alle diuturne lor cure. E così fu per il Veronese, espertissimo nel disegno e nella pittura, e per il Cittadella, delle lettere e delle Muse cultore appassionato ed artefice di sculture ed altre opere plastiche piene di vita. Padova seppe rendere il dovuto omaggio anche a queste peculiari loro attitudini, e per sé farne tesoro, proclamando il Cittadella patrono del proprio museo Bottacin, preponendo il Veronese alla fiorente scuola per le arti decorative e industriali che si fregia del nome di Pietro Selvatico e volendoli entrambi nella Commissione provinciale conservatrice dei monumenti; sicché ne troviamo abbinati i nomi, come io ho sentito il bisogno di abbinarli quest'oggi, in uno degli ultimi atti della loro vita operosa, quel voto energico che, a tutela del patrimonio artistico di Padova contro i pericoli di barbare incursioni nemiche, quella Commissione pubblicamente emetteva in principio d'anno, voto ch'essi affrettaronsi a patrocinare insieme presso il Governo con lettera vibrante di fede nei destini della patria, ma di trepidanza per i capolavori dell'arte.
Onore dunque alle anime loro che sempre aleggieranno venerate fra noi e piaccia al Senato che delle sue condoglianze l'illustre Presidente si faccia interprete, oltreché presso le famiglie desolate dei due colleghi tanto desiderati e compianti, anche verso le città orgogliose di aver dato loro i natali. (Approvazioni).

Senato del Regno, Atti Parlamentari. Discussioni, 25 ottobre 1917.