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CHIRONI Giampietro

06 ottobre 1855 - 01 ottobre 1918 Nominato il 03 giugno 1908 per la categoria 18 - I membri della Regia accademia delle scienze dopo sette anni di nomina provenienza Sardegna

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Emanuele Paternò di Sessa, Vicepresidente

Signori senatori! [...]
Il 1° di questo mese di ottobre a Torino moriva il senatore Giampietro Chironi, lasciando lungo rimpianto. Era nato a Nuoro il 5 ottobre 1855 e laureato in Giurisprudenza nel 1876 preferì l'insegnamento all'avvocatura. Nel 1881, all'età di 26 anni era già professore all'Università di Siena e nel 1885 passava a quella di Torino, della quale fu per parecchi anni rettore.
A Torino prese parte alla vita amministrativa, fu consigliere comunale ed assessore, fu preposto a molti istituti di beneficenza e d'istruzione ed ovunque lasciò traccia di larga intelligenza e di feconda operosità.
La sua Nuoro lo volle deputato. Da dieci anni sedeva in Senato, che frequentò assiduamente facendo parte di commissioni importanti ed intervenendo con autorità nelle discussioni.
Il senatore Chironi cogli scritti e con l'insegnamento acquistò meritata fama di valente giureconsulto. Il Senato sente vivo il dolore della sua perdita. (Benissimo). [...]
RUFFINI. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUFFINI. Non vi dispiaccia, onorevoli colleghi, che di Giampietro Chironi "mentre la sua salma ancora insepolta richiama intorno a sé quanti furono in Torino colleghi e scolari suoi, amici ed ammiratori, e cioè tutta intiera una città senza riserve possibili, senza astensioni immaginabili" io vi parli, non già forzando la mia mente, turbata dalla notizia improvvisa della sua morte e quasi dal dolore ottenebrata, a mostrarvi quale insigne uomo di scienza egli sia stato e quale perdita di conseguenza la scienza nostra abbia fatto con lui (del resto, mi consta, che altri dopo di me lo farà, e con maggiore competenza che la mia non è); ma, dando ascolto unicamente alla voce del cuore, la sola che in me oggi parli e mi costringa a parlare; e che io vi dica, quindi, con semplicità e come meglio potrò, quale incomparabile maestro egli sia stato per tutti quanti ci vantiamo di essere usciti dalla sua scuola; vi dica quale uomo veramente adorabile egli fu.
Mi sta ancora innanzi agli occhi della mente, e vorrei quasi dire a quelli del corpo, la figura di Giampietro Chironi, la prima volta che ci apparve, in una accolta di studenti fra le più imponenti che io abbia visto mai, e della quale io pure ero. Sono passati oramai più di trent'anni, da quel brumoso mattino di dicembre torinese, che egli salì la prima volta quella Cattedra di diritto civile, da lui ancora giovanissimo conquistata per vittoria di concorso. Quel giorno del 1885 segnò senza dubbio una data memoranda nella vita di Giampietro Chironi; ma quel giorno segnò del pari una data memorande nella vita e nella storia della Facoltà giuridica di Torino.
Il professore, che allora ci si presentava, era tutto ciò che di più remoto potesse esistere da quanto ci attendevamo, e cioè dalla figura tradizionale del professore, quale le consuetudini locali erano venute foggiando nella nostra mente. Bisogna risalire a quello, ch'era l'ambiente accademico torinese in quegli anni, per rendersi conto di ciò che l'avvenimento di quel giorno significava. La Facoltà giuridica di Torino ebbe momenti di grande splendore, quando, con l'accorrere nella capitale piemontese degli esuli di ogni regione d'Italia e specialmente del Mezzogiorno, grandi nomi illustrarono le sue cattedre, quali quelli di Pasquale Stanislao Mancini, di Francesco Ferrara, di Antonio Scialoja, di Amedeo Melegari e altri.
Ma con la formazione del Regno d'Italia la Facoltà torinese fu disertata, e decadde. A ciò conferirono, oltre a cotesto abbandono, anche gli ordinamenti universitari allora in vigore. La scelta dei professori, dopo che le chiamate di quelle illustrazioni della scienza vennero a cessare, si tornò a fare per la via di quelle aggregazioni, le quali, se innegabili vantaggi strettamente didattici potevano avere avuto per l'addietro, più non rispondevano al grande progresso, al rinnovamento sostanziale, al carattere cosmopolitico e alla specializzazione, che erano sopravvenuti e prevalevano in tutte le scienze, e anche nelle giuridiche. Ci si aggregava, infatti, senza una speciale vocazione, e quasi senza libertà di scelta, in quella materia, in cui era bandito il concorso; poi si attendeva per turno, esercitando la professione o facendo, il ripetitore dei corsi più diversi o il supplente dei professori ufficiali, che una cattedra si rendesse vacante; e su questa cattedra il candidato più anziano accampava i suoi diritti. Accadeva quindi che spesso saliva alla cattedra chi nella relativa materia non aveva una preparazione lunga e specifica. Quasi sempre si trattava poi di gente piuttosto anziana, che non aveva fatto le sue prove in altre Università; gente per di più un poco sfiorita nell'esercizio subordinato della ripetizione e della supplenza. Il tradizionalismo e la gerarchia e un po' di campanilismo predominavano ove ha da essere libertà, uguaglianza e spirito di rinnovamento continuo. Anche i migliori degli elementi locali, che, pur derivando dalla aggregazione, seppero poi affermarsi altamente nel campo della scienza, avevano dovuto però piegarsi a delle ben singolari iniziazioni accademiche. Onde accadde, per esempio, che Luigi Mattirolo cominciasse con insegnare e scrivere di filosofia del diritto, per terminare poi nella procedura civile; e inversamente Giuseppe Carle cominciasse con il diritto romano e la procedura civile, per finire nella filosofia del diritto; mentre Cesare Nani si aggregava nel diritto commerciale e finiva per insegnare una materia così remota da questa, qual è la storia del diritto.
Orbene in cotesto ambiente, che l'avvento recente di alcuni insigni scienziati, quali Emilio Brusa e Salvatore Cognetti De Martiis, aveva conferito di già a svecchiare, ma che nel fondo rimaneva pur tuttavia quel che dicemmo, sopraggiunse, come forza viva e rinnovatrice, il più giovane di tutti, Giampietro Chironi; preannunziato da una delle più esemplari e clamorose vittorie di concorso che gli annali universitari ricordino.
E così accadde che in quel mattino brumoso di decembre noi vedessimo emergere, di sotto al baldacchino un poco apocalittico della vecchia cattedra, anziché la compassata figura di un professore, secondo la immagine tradizionale, un giovane nel pieno vigore delle sue forze, un uomo davvero risplendente di una sua virile, tipica e simpatica bellezza, la quale già di per se stessa conquideva; e vedessimo in quel viso accendersi uno sguardo e irradiarsi uno dei sorrisi più luminosi, più dolci, più seducenti, che Domineiddio abbia mai stampato sopra l'aperto volto di un uomo onesto; e udissimo - a compiere la malia dell'aspetto, dello sguardo e del sorriso - una parola di timbro così profondo, insinuante, persuasivo; che istantaneamente, sto per dire, fulmineamente, con la subitaneità dell'istinto, della intuizione, della divinazione, del sogno e dell'amore, e cioè di tutte le cose più sante, più forti e più misteriose, si strinse, fra la scolaresca torinese e Giampietro Chironi un patto di amicizia e di dedizione reciproca, che 33 anni di insegnamento non hanno - non che infranto - allentato od offuscato mai. Da quel momento Giampietro Chironi fu l'amico per eccellenza di tutti gli studenti: di quelli che studiavano e di quelli che non studiavano, di quelli che frequentavano le lezioni e di quelli che non le frequentavano, di quelli che se lo meritavano e anche di quelli che non se lo meritavano affatto; perché la sua bontà era veramente infinita, come infinita è quella della divina Provvidenza. Onde si può ben dire, che mai fu tanto giusta, come per Giampietro Chironi, la bellissima sentenza del Michelet, che "il vero, il grande insegnamento, altro non è e non ha da essere, se non una forma particolarmente gentile, un aspetto particolarmente nobile, di quel nobilissimo fra tutti i sentimenti, che è l'amicizia".
Ma non soltanto in tutto questo era la ragion del successo dell'insegnamento, anzi di quella vera missione, che Giampietro Chironi seppe compiere nella nostra Facoltà. Egli vi fu l'apportatore di qualche cosa di sostanzialmente nuovo per noi; egli fu l'annunciatore di una buona novella scientifica. Primo, infatti, egli ci parlò di metodi nuovi e di ideali scientifici, che ci erano rimasti fino allora sconosciuti. La sua stessa prolusione, trattando del metodo storico negli studi del diritto civile, aveva questo grande vantaggio su tutto quanto si era fino allora udito: che mentre, per un verso, metteva in valore tutti quegli studi propedeutici, di erudizione e di storia, che si era usi a considerare un po' come materia di pura lustra e alquanto ingombrante; per un altro verso recava una concezione nuova e veramente positiva, (la quale nelle scienze giuridiche e sociali non può essere che la concezione storica) in un campo di studi, fino allora un po' tradizionalistici e astratti, quali eran rimasti quelli del diritto civile, e in genere del diritto positivo.
Per questo Giampietro Chironi fu il maestro di tutti: di quelli, che si dedicarono alla disciplina da lui così degnamente professata; come ancora di tutti coloro, che ad altri studi si erano dati.
E questo è un rilievo di importanza decisiva per giudicare dell'opera da lui compiuta. Invero, la Facoltà giuridica torinese, pur essendo per tradizioni, per numero di studenti, per mezzi di studio, fra le prime del Regno, era fino allora vissuta, rispetto alla produzione scientifica e alla vita accademica, sto per dire, sotto un regime di economia universitaria chiusa; e cioè, tanto essa produceva di scienziati, quanto ne occorreva alla sua esistenza, al suo fabbisogno professorale; il resto era di professionisti. Da allora in poi, e per merito in molta parte del Chironi, la nostra Facoltà cominciò a produrre scienziati, anche oltre il suo fabbisogno accademico, così che parecchi di essi poterono poi occupare non indegnamente cattedre di altre Università del Regno.
Ma quale era il metodo con cui quel grande maestro, che fu Giampietro Chironi, otteneva il suo intento? Si può essere grandi maestri in diverse maniere. E non saprei come meglio chiarire il mio concetto, e, al tempo stesso, il metodo particolare di quel mio amato e rimpianto professore, se non con qualche paragone.
Senza allontanarmi dall'ambito della disciplina del diritto civile, la quale fu così duramente provata in questi ultimi tempi, e perdette soltanto lo scorso anno un'altra sua vera illustrazione, Vincenzo Simoncelli; io ricorderò, come questi fu in ogni momento della sua vita essenzialmente e spiccatamente un maestro; fu cioè un maestro forse ancora prima di essere scolaro. Così preminenti erano in lui le Facoltà di insegnante, che insegnò sempre tutto bene; per modo che una persona, la quale non gli era certo avversa, soleva, dire, con un paradosso dei più espressivi, che egli insegnava bene anche le cose che non sapeva.
Il Chironi ci apparve invece, fin da quel primo istante, di cui ho detto, nella stessa giovanile esuberanza e freschezza della persona, come un meraviglioso scolaro, come un nostro eccezionale condiscepolo. Certo non si poteva dare persona, da cui fossero più alieni il fare apodittico e ogni sussiego professorale. E tale egli rimase, immutabilmente, per tutta la sua vita, anche quando gli si imbiancarono i capelli. Egli rimase sempre il fraterno compagno di studi de' suoi allievi, l'animatore instancabile, l'uomo dalla fede più fervida e più contagiosa, colui che dissipava tutti i nostri dubbi, tutte le nostre esitazioni. Ancora un paragone mi viene suggerito dal vedere innanzi a me un altro grande maestro, e maestro di scolari, i quali poi si diedero a discipline anche remote, da quella da lui professata, voglio dire Vittorio Scialoja; che fu collega del Chironi in quell'Università di Siena, la quale in un certo momento fu un vero vivaio di professori insigni, quali, oltre al Chironi e allo Scialoja, il Loria, il Ferri ed altri ancora. Orbene, il metodo dello Scialoja è quello di colui che tempera il metallo, che l'arroventa e poi gli fa subire un bagno freddo; e cioè il bagno freddo della sua critica sapiente, corroborante e formativa. Il metodo del Chironi fu quello dell'arroventamento illimitato, e cioè dell'incoraggiamento, dell'ottimismo, dell'entusiasmo. Poiché la simpatia, l'ottimismo, l'entusiasmo furono davvero le note caratteristiche della sua individualità, furono davvero il suo principium individuationis. Onde, riandando con il pensiero alla pazienza inesauribile, alla bontà arridente, con cui egli si sforzava di far scaturire dai visi de' suoi scolari la comprensione, il consenso, il fervore, mi tornano alla mente certe parole, che di sé diceva un famoso filosofo americano vivente, Josiah Royce, e che il Chironi avrebbe potuto con tanto diritto appropriarsi: “Amo la varietà dei lampeggiamenti del pensiero, che si accendono sulle ardenti faccie giovanili. Li amo, perché essi esprimono la passione, la meraviglia, la verità”. Poiché la verità è figlia non solo della critica, ma anche della lode; ed ogni metodo è buono e può fare il grande maestro; purché nel maestro ci sia un uomo onesto e degno, che tutto se stesso dia e tutto subordini al bene dei propri scolari.
Tuttavia Io spirito conciliativo, tollerante, indulgente del Chironi pativa due eccezioni. Egli era invero irremovibile, e direi quasi intrattabile sopra due punti: la incolumità e la santità della famiglia, e la incolumità e la santità della patria.
Quest'uomo, arditissimo nella speculazione scientifica e che nell'ambito del diritto civile fu tra i precorritori e fautori di quella nuova tendenza cosidetta sociale nello studio di esso, così che nessuna riforma di carattere puramente economico, per quanto ardita, avrebbe potuto spaurirlo, si adombrava e diventava assolutamente irreducibile quando si avesse in qualunque maniera l'aria di portare un attentato alla compagine famigliare. Io credo che in parecchi di noi è rimasta la memoria dell'ultimo discorso che pronunciò in Senato, poiché l'ho sentito citare anche di recente. Si discuteva la legge circa gli orfani di guerra; e quando con una certa disposizione sembrò al Chironi che si volesse allentare per questi figli della patria la tutela naturale dei propri congiunti, per sostituirvi qualche cosa di artificiale e di fittizio, egli scattò e parlò in modo così eloquente e travolgente che tutti ne rimanemmo scossi. Erano le tradizioni patriarcali della sua terra, era l'anima della sua gente che parlava allora, come sempre, in lui più potente di ogni altra voce.
L'amore della patria fece che: egli sentisse questa nostra santa impresa profondamente, quanto pochi. Ond'egli plaudì all'unico figlio -unica compagnia rimasta a lui che altra famiglia più non aveva -” quando si fece volontario di guerra; né volle che dal fronte si allontanasse anche - quando già la malattia, di cui morì, lo aveva colpito; e considerò come la più grande consolazione, che egli potesse avere negli ultimi giorni suoi, la promozione per merito di guerra di questo suo figlio valoroso. Orbene anche per questo suo fervente culto della patria, noi possiamo asserire, che in lui era rimasta pur sempre intatta quella, che (con designazione la quale non può non suonare oramai sacra ad ogni orecchio di italiano), io vorrei chiamare una vera anima sarda.
A questo figlio, non indegno di tanto padre, io vorrei pregare il Senato che siano inviate le nostre condoglianze. Ma non solo questo figlio carnale egli lasciò, poiché furono suoi figli quanti furono alla sua scuola: e questi suoi figli spirituali forse in quest'ora medesima si trovano raccolti intorno alla sua salma: e questa, per una gentile e pietosa consuetudine, che egli, rettore dell'Ateneo torinese, volle ripristinata, sta nel mezzo del cortile dell'Alma Mater, per prendere congedo dalla dimora prediletta, per dare l'ultimo addio alla casa del suo spirito. Consentite, quindi, che a cotesti suoi figli spirituali io proponga, che il Senato mandi, inviandola all'Università, l'espressione del suo rimpianto. E poiché infine chi vi parla fu il primo e più anziano di essi, vogliate permettere ancora, onorevoli colleghi, che, non avendomi la vita concesso ch'io assolvessi anche in tenue misura l'infinito debito di gratitudine, ch'io avevo verso questo nostro estinto, io proclami ancora una volta, qui innanzi a voi, con la solennità e con la forza che solo il luogo augusto e la vostra presenza possono conferire alle mie parole, che la mia riconoscenza, la mia devozione, il mio affetto verso la sacra sua memoria non verranno meno in me che con la vita. (Approvazioni vivissime).
POLACCO. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
POLACCO. Frequenza e intimità di rapporti per identica natura di magistero e di studî, consonanza piena di idealità e di fede scientifica, dettero all'amicizia ch'ebbi per più di trent'anni con Giampietro Chironi tale impronta fraterna, da rendermi oggi angosciato come per domestico lutto. Fraterna ho detto l'amicizia nostra: a lui propriamente io guardava come il minor figlio guarda in famiglia al maggiore, con un senso misto di affetto e di reverenza, intento sempre a seguirne gli esempî e d'ogni sua buona ventura esultante come e più che della propria fortuna.
La piena del dolore non mi consente in quest'ora parole non indegne di aggiungersi a quelle testé risuonate in quest'Aula in onore della sua benedetta memoria; ma voi tuttavia indulgerete, o colleghi, al bisogno ch'io sento di porgere io pure l'ultimo saluto a chi, dileguandosi improvvisamente dalla terra, porta seco tanta parte dell'animo mio.
Quando un uomo come Francesco Ruffini dichiara di dovere alla scuola di Giampietro Chironi il meglio dell'esser suo di scienziato e l'esserne discepolo proclama uno dei maggiori suoi vanti, diciamo pure che il lacrimato collega seppe attingere le vette supreme della didattica e inchiniamoci dinanzi alla muta sua spoglia come alle reliquie di un grande missionario della scuola, intesa veramente quale apostolato vivificatore di intelligenze e di anime in un continuo agitare e suscitare di originali gagliarde energie.
Integrò egli così (accordo non molto frequente) sulla cattedra l'opera insigne spiegata con inesauribile produzione scientifica, maestro sempre di prim'ordine, o ch'egli elettrizzasse le aule universitarie con la foga della sua rapida incisiva parola, o che questa parola, più torturata talvolta come tutto quanto coscienza di scrupoloso scienziato affida allo scritto, egli diffondesse apportatrice di nuovi lumi ai cultori della scienza ed ai ministri o coadiutori della giustizia.
Nobilissimi sempre gli ideali cui volse il forte ingegno e la ricca dottrina. La famiglia sovratutto egli considerò come il patrimonio più sacro ch'è debito nostro serbare e trasmettere intatto ai venturi; ed io non posso non rievocare (mi si perdoni quanto vi ha di personale in codesto ricordo) l'opera da lui data con la consueta genialità e saggezza a quel ristretto cenacolo costituitosi sotto il nome di Comitato per la difesa della famiglia quando, sono parecchi anni, lo spettro del divorzio parve sorgere minaccioso sul sacrario della casa italiana. Di quel cenacolo restiamo soli il Gabba, il Filomusi ed io, ora che il Chironi ha raggiunti in un modo migliore gli spiriti eccelsi di Ruggero Bonghi e di Emanuele Gianturco. E restiamo immersi nel pianto, ma più che mai risoluti a rinnovare, ove occorresse, la buona battaglia, forti di una comunione di anime che la morte non vale a distruggere.
Giunga, o indimenticabile amico, questa promessa che io faccio, sicuro interprete, anche dei due nostri venerati maestri, come l'omaggio più puro al tuo purissimo spirito, congiunta al vale estremo che, desolato, io ti porgo. (Approvazioni vivissime).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il senatore Giordano Apostoli.
GIORDANO-APOSTOLI. Sicuro di rendermi interprete anche del sentimento unanime dei miei compaesani della Sardegna, mi associo, con tutto il cuore, alle nobili ed elevate parole, con le quali l'onorevole nostro Presidente e gli onorevoli colleghi Ruffini e Polacco, hanno reso omaggio, in quest'Aula, ai meriti ed alle virtù dell'illustre collega Giampietro Chironi.
Di lui si può dire veramente che nella vita pubblica come nella privata: nella famiglia, nel Parlamento, nelle pubbliche amministrazioni, egli fu sempre cittadino esemplare.
Scienziato eminente, come lo attestano le sue numerose e pregevoli pubblicazioni, valoroso docente, giureconsulto di grande e profonda dottrina, il Chironi fu apprezzato ed amato da quanti ebbero il bene di avvicinarlo; fu stimato specialmente per la sua singolare modestia.
Onde egli è oggi sinceramente compianto da quanti lo conobbero: e questo unanime compianto risponde al maggiore elogio che. di lui si possa fare.
Nel rendere, pertanto, alla cara memoria del collega ed amico, il ben dovuto tributo d'onore e di compianto, proporrei che il Senato, oltre che al figlio, voglia fare pervenire le sue condoglianze anche al municipio della città di Nuoro. (Approvazioni). [...]
BERENINI, ministro della pubblica istruzione. Domando di parlare.
PEESIDENTE. Ne ha facoltà.
BERENINI, ministro della pubblica istruzione. Alle parole, colle quali i senatori Raffini, Polacco e Giordano Apostoli hanno descritto e definito la vita e l'intelletto di Giampietro Chironi, io nulla debbo né posso aggiungere. Egli, del resto, ancora parla e parlerà alle generazioni presenti e venture degli studiosi colle opere sue, che sono documento e testimonianza del suo sapere e della geniale profondità della sua mente di giurista. Egli fu un maestro; ma è luce che non si spegne, perché appunto, in tali opere è una fonte viva è perenne, che alimenterà chiunque abbia sete di sapere non per la vana conoscenza delle cose esteriori, ma per la profondità dei principî che furono luce del suo pensiero. Perché due doti preminenti ebbe l'attività scientifica di Giampietro Chironi: la squisita finezza della penetrazione e la vasta profonda preparazione romanistica: onde egli poté considerare l'organismo del nostro diritto civile come una salda struttura formale, che l'attività dello studioso e del legislatore dovevano industriarsi di alimentare di continuo con un fresco e vivente contenuto sociale in analogia alla evoluzione e al progresso dell'opera tutrice dello Stato.
Pochi, come il Chironi, sentirono altrettanto viva la esigenza che il diritto privato dovesse di continuo essere sottratto alla tendenza di cristallizzarsi in forme e in istituti antiquati per atteggiarsi di continuo, secondo le esigenze sempre rinnovantisi, che scaturiscono sotto la pressione di nuovi bisogni e di nuove necessità sociali.
Questa visione sicura della funzione e della finalità del diritto, avvalorata sempre dall'analisi delle fonti, gli permise nell'età matura di disciplinare tutta quanta la materia del nostro diritto privato in quelle sue classiche istituzioni, che sono veramente opere insuperate per nitidezza e profondità di pensiero e per intrinseca organicità di struttura.
Poche opere come questa hanno fatto altrettanto bene ai nostri studenti delle Facoltà di giurisprudenza, disciplinandone il pensiero al rigore della logica giuridica e alla profonda comprensione degli istituti fondamentali del nostro diritto privato. Né l'attività di maestro e di giurista del Chironi è minore o meno proficua nelle molte altre opere sue, che rimarranno classiche nella nostra letteratura giuridica.
Né l'uomo era inferiore al giurista come sanno tutti coloro, che ebbero, come io ebbi, la fortuna di essergli amici. La squisita dolcezza dei modi era specchio della bontà dell'animo, della altezza della mente.
Egli apparteneva a quella gente mite e forte, che compie nella vita le opere più feconde di bene. Né il Chironi visse soltanto nell'ambito della vita universitaria: non dalla cattedra soltanto insegnò, ma fu anche nella vita e nei pubblici uffici. Lo ricordava testé il senatore Ruffini, come rettore dell'Università di Torino, io lo ricordo come membro del Consiglio Superiore della pubblica istruzione, ma lo ricordo anche come membro della Commissione reale per il riordinamento dalla istruzione superiore, ove egli si prodigò in una attività così instancabile e così fervida che ci rende debitori alla sua. memoria della più profonda riconoscenza.
Di molte sue idee, di sue sapienti proposte il Ministero dell'istruzione dovrà fare tesoro; e sarà questo il migliore omaggio reso alla sua memoria di maestro e di giurista. (Approvazioni vivissime). [...]

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 3 ottobre 1918.