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CAVALLETTO Alberto

28 novembre 1813 - 19 ottobre 1897 Nominato il 20 novembre 1892 per la categoria 03 - I deputati dopo tre legislature o sei anni di esercizio provenienza Veneto

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Andrea Guarneri, Vicepresidente

L'egregio vicepresidente Cremona nonostante una leggiera indisposizione che lo travaglia, ha avuto il pensiero di redigere lui stesso le necrologie dei colleghi, che mancarono ai vivi nelle decorse vacanze.
Prego uno degli onorevoli nostri segretari di avere la cortesia di leggerle; intanto propongo, e credo che il Senato vorrà associarsi a questa mia proposta, di inviare i nostri ringraziamenti all'egregio vicepresidente Cremona per la cortesia da lui addimostrata redigendo queste commemorazioni (Bene).
Il senatore, segretario, CHIALA legge:.
PRESIDENTE. Signori senatori! [...]
Alberto Cavalletto nacque il 28 novembre 1813 a Bassanello (Padova) da modestissima famiglia. Studiò matematiche nell'Ateneo patavino e vi ottenne la laurea d'ingegnere nel 1836.
Partecipò alla guerra d'indipendenza del 1848 e '49, per tutta la sua durata, dalla cacciata degli Austriaci da Padova, sino alla capitolazione dell'eroica Venezia: comandante un battaglione della legione Brenta e Bacchiglione; comandante il forte di Treporti uno de' rappresentanti all'Assemblea nazionale che decretò la memorabile difesa ad ogni costo; amico e collaboratore di Daniele Manin.
Caduta Venezia, Cavalletto tornò a Padova, pieno di fede nei destini della patria, dicendo a sé stesso ed agli amici: Ora bisogna ricominciare da capo. Affigliato ai Comitati istituiti nelle città della Lombardia e della Venezia, si adoperò nei preparativi di una nuova rivoluzione. Ma il Governo austriaco vegliava, armato della legge marziale e del più feroce arbitrio: Cavalletto fu arrestato nel luglio 1852, messo in catene, coinvolto nei processi di Mantova, chiuso nel famoso carcere della Mainolda con Tito Speri e con tanti altri patrioti. Condannato alla forca, la pena capitale gli fu commutata in quella del carcere in ferri per sedici anni, da scontarsi in una fortezza dell'Impero.
Cavalletto sostenne il carcere con serena dignità prima a Josephstadt, poi a Lubiana; e dopo alcuni anni, compreso in un'amnistia generale, fu messo in libertà.
Uscito dalla galera, Cavalletto si rifugiò in Piemonte, asilo di libertà, dove si preparavano efficacemente le armi per la nuova riscossa. Imminente la guerra del 1859, fu di aiuto e sprone ai Veneti che volevano arruolarsi come volontari. L'armistizio di Villafranca fu una delusione ben amara per lui, che s'era creduto alla vigilia della liberazione della sua Padova, della sua Venezia; ma l'animo suo fortissimo stette ancor saldo, e più che mai ebbe fede nell'avvenire. Continuò esule e povero, ma ardente di carità e di patriottismo, a soccorrere gli emigrati indigenti, ed a dirigere ed alimentare l'agitazione nelle provincie venete, dissuadendo i tentativi intempestivi d'insurrezione e chiamando i giovani ad ingrossare le file dell'esercito nazionale.
Durante la breve e sfortunata campagna del 1866, fu aggregato allo Stato maggiore dell'esercito accampato sul Mincio; ed a lui mettevano capo tutte le corrispondenze coi patrioti veneti che informavano sulle condizioni e sui movimenti delle truppe nemiche. Fatalmente di tali informazioni non si volle tener conto e non si seppe approfittare.
Alberto Cavalletto, appena laureato ingegnere nel 1836, era entrato come praticante nell'Ufficio delle pubbliche costruzioni della Provincia di Padova, ed avanti il 1848 era divenuto ingegnere di riparto, con riputazione di valente idraulico, avendo dato buone prove di sé nella difesa dei fiumi dell'estuario.
Dopo l'assedio di Venezia, il Nostro aveva rifuggito dal chiedere al Governo straniero d'essere riammesso in servizio. Ma, sgombrata la Venezia dopo la guerra del 1866, egli venne reintegrato nell'ufficio d'ingegnere del genio civile, ed ebbe poi occasione di rendere segnalati servigi come ispettore di circolo e come membro del Consiglio superiore dei lavori pubblici: specialmente nell'autunno del 1872, quando l'arginatura del Po che copre Ostiglia, per continuo franamento, si era così indebolita da far temere che le acque del gran fiume, già minacciose, non irrompessero irresistibili sommergendo Ostiglia e andassero a mescolarsi colle acque dell'Adige, allagando tutta quella vasta ed ubertosa zona sino a Rovigo. L'immane disastro fu scongiurato dall'intelligente attività del Nostro, aiutato dal valoroso ingegnere Zucchelli.
Nel novembre 1876, Cavalletto si ritirò dal servizio attivo e ottenne d'essere collocato a riposo.
La VII legislatura (1860) portò Alberto Cavalletto per la prima volta alla Camera elettiva, come deputato di Chiari. Successivamente rappresentò i collegi di Casalmaggiore, di Valdagno, di San Vito, di Udine. Nessuno fu più assiduo di lui e più coscienzioso nell'adempimento dei propri doveri inerenti al mandato legislativo. Prese parte assai attiva alla discussione di moltissimi disegni di legge e con grande autorità, specialmente di quelli che riguardavano opere idrauliche o altre materie dipendenti dall'Amministrazione dei lavori pubblici.
Ma l'azione di lui, più ancora che tecnica e legislativa, è stata patriotica: di lui si è detto con ragione che sembrava avesse ereditato da Nino Bixio la missione di esortare i colleghi a sacrificare sull'altare della patria i dissidi partigiani e i rancori personali. Il suo ideale costante era la patria forte, rispettata e temuta: ond'è che insisteva perché si rinvigorisse la istruzione militare; ed a chi avversava la spesa a ciò necessaria, ricordava con voce concitata la imbelle fine della Repubblica di Venezia ed il trattato di Campoformio!
Sebbene sciolto da ogni clientela di parte e del tutto indipendente, egli rifuggiva dall'associarsi a votazioni che potessero rovesciare il Ministero: poiché agli occhi suoi il Governo rappresentava l'Italia, ed una crisi poteva ancora compromettere quanto si era miracolosamente conseguito, dopo tante delusioni, tanti patimenti, tanti martirî!
Per lo stesso motivo, egli, che tutto aveva sacrificato per avere una patria libera, non arrivò mai a comprendere che si potesse fare opposizione alle maggiori spese per l'esercito e per la marina.
Nelle elezioni del 1892 rimase soccombente, ma l'ingiustizia fu prontamente riparata colla nomina a senatore. Voi, egregi colleghi, non avete di certo dimenticato il 12 dicembre, quando egli fece il suo ingresso in quest'Aula: per impulso spontaneo de' vostri cuori, voi sorgeste tutti in piedi e salutaste con un applauso il venerando e immacolato patriota: applauso che si rinnovò al giuramento del nuovo senatore, e ancora quando egli, commosso fino alle lagrime, andò ad occupare il suo seggio. Gli annali del Senato non ricordano altro esempio di simili accoglienze.
Anche fra noi, Alberto Cavalletto, malgrado la grave età, fu assiduo e partecipò ai nostri lavori. Ora, da due anni circa, sentendosi ammalato, si era ritirato nella sua città nativa, dov'era adorato. Le cure che gli furono prodigate non valsero, i voti mandati a lui dal Senato non furono esauditi. Il 19 ottobre ultimo scorso egli esalava serenamente l'anima grande, inconsapevole della sua grandezza, come ben disse un illustre suo concittadino dando l'ultimo saluto alla sua bara.
Felice l'Italia se i suoi figli delle nuove generazioni sapranno intendere il patriottismo purissimo di Alberto cavalletto! (Benissimo). [...]
SPROVIERI. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
SPROVIERI. Perdonate, illustri colleghi, se ardisco di prendere la parola per qualche collega estinto.
Il commemorare le virtù dei buoni e valorosi è cosa più che sacra ed affettuosa. Certamente io nulla potrei aggiungere a tutto quello che si disse delle loro virtù e del loro patriottismo, della scienza e dei loro meriti personali.
Mi si permetta però dire poche parole per due miei compagni d'esilio e commilitoni delle proprie battaglie.
Primo il venerando Cavalletto ch'ebbi la fortuna di avere mio superiore al memorando assedio di Venezia, nel quale si comportò da prode soldato.
Egli fu poscia mio compagno d'esilio, e per molti anni, mio collega nell'altro ramo del parlamento.
Da questo banco mi si permetta che mandi un saluto affettuoso e rispettoso al collega estinto.
Sarebbe una fortuna se la gioventù di oggigiorno lo prendesse per modello in tutte le sue virtù civili e militari, e nel suo patriottismo. [...]
Propongo che a tutte le famiglie dei colleghi estinti, siano mandate le nostre condoglianze, senza nessuna distinzione.
PRESIDENTE. Dunque metto ai voti la proposta di inviare un voto di condoglianza a tutte le famiglie degli estinti nostri colleghi.
Chi approva questa proposta è pregato di alzarsi.
(Approvato). [...]
PARENZO. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PARENDO. Non ho l'uso, onorevoli colleghi, di associarmi a queste commemorazioni, tanto più ch'io penso contrariamente a quella che è ormai una pietosa consuetudine: ma poiché non sono presenti nell'Aula, conterranei che abbiano militato nelle stesse file dell'onorevole nostro collega defunto il senatore Cavalletto, permettete a me, nato nelle sue terre, di associarmi alle nobili parole, che furono pronunziate oggi dalla Presidenza e dal senatore Sprovieri.
Mi sono spesso trovato nella mia modesta sfera di azione, fino dai miei più giovani anni, pur professando per il Cavalletto il più profondo rispetto, mi son trovato a combattere in file opposte alle sue.
Ma riposa assai tranquillo il pensiero, quando, dai tempi attuali, noi torniamo a quelli nei quali le battaglie politiche erano certo più vivaci, forse anche più feroci, se si vuole, ma mantenevano nel fondo dell'animo dei battaglieri sentimenti di reciproco rispetto, di reciproco affetto, peri i quali si sentivano più ingagliarditi. (Benissimo). Ond'è che, anche con l'illustre defunto pur mirando allo stesso fine, la diversità delle idee non poteva separarci nella reciproca stima. Lasciate quindi che alla memoria dell'onorevole Cavalletto rivolga un pensiero, una parola commossa, certo che il Senato, che ne accolse con tanto entusiasmo l'entrata, con altrettanto dolore sentirà la sua dipartita. (Vive approvazioni). [...]
PELLOUX, ministro della guerra. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
PELLOUX, ministro della guerra. [...]
Finalmente altro nome caro all'esercito è quello di Alberto Cavalletto, impareggiabile cittadino, soldato valoroso di tutte le guerre dell'indipendenza.
Egli amò l'esercito fino all'ultimo giorno della sua vita, ed in ogni occasione lo dimostrò; lo amò di un amore, di una simpatia tale, che forse nessun militare lo amò di più, e questo sentimento gli era ben ricambiato dall'esercito, che aveva per lui la più viva simpatia, ne rimpiange vivissimamente la perdita, e ne conserva cara la memoria. (Benissimo).

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 30 novembre 1897.