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CARRA Antonio

17 agosto 1807 - 24 ottobre 1877 Nominato il 09 novembre 1872 per la categoria 09 - I primi presidenti dei Magistrati di appello provenienza Emilia-Romagna

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Sebastiano Tecchio, Presidente

Signori senatori! [...]
Antonio Carra, nato a Parma il 17 agosto 1807. Forniva splendidamente nell'Ateneo parmense il corso degli studi giuridici; talché, giunto appena all'anno vigesimo quinto dell'età sua, fu delegato all'insegnamento delle romane istituzioni nella Università di Piacenza.
Chiamato quindi agli uffici dell'ordine giudiziale, venne via via nominato nel 1836 giudice, e nel 42 vicepresidente del Tribunale civile e criminale a Piacenza; nel 46 procuratore del Governo ducale appo il Tribunale di Parma; nel 50, presidente di quel medesimo Tribunale; nel 55, Presidente della Corte d'appello; nel 58, consigliere della Suprema corte di revisione, e membro del Consiglio di Stato.
Sarebbe ingiusto chi non ricordasse che mentre nel Ducato era spenta ogni luce di libertà, e allora eziandio che Carlo III trascendeva ad ogni maniera di arbitrî, i giusdicenti sempre illibati (e, se occorrea, coraggiosi) a ducali placiti mai non piegarono; altra signoria non conobbero che la giustizia e la legge. Avevano innanzi a sé un inclito esempio: il Nicolosi. Ma, poiché non sarebbe cagion di sorpresa che la rapidità delle ascensioni del Carra alle altezze dell'Ordine lo avesse posto in sospetto ai rivali, mi piace potervi certificare che, per consenso di tutti, a lui perfettamente attagliavasi l'apotegma del Venosino:
"Justum ac tenacem propositi virum.
...........................
Non vultus instantis tyranni.
Mente quatit solida" (1).
(1) Horat.: Od. III, 3,2.
Costituitasi nei nuovi tempi la magistratura del Regno d'Italia, il Carra dapprima fu presidente di sezione della Corte d'appello di Casale; elevato nel 1866 a primo presidente della Corte d'appello di Ancona; trasferito nel 1876 alla Corte d'appello di Firenze. Quest'ultima destinazione dimostra come il Regio Governo avea presagito che il Carra, anzichè impaurire della folla e della gravità degli affari, quanti più ne vedesse e tanto più si allegrerebbe a distrigarne i viluppi e a nettar via gli arretrati. Il presagio fu contentato, mercè l'alacrità impareggiabile del Presidente.
Non mi consta ch'ei siasi, tosto o tardi, intromesso nei campi della politica. O che nella sua gioventù reputasse follia lo sperare non molto lontana l'italica risurrezione: o che l'amore tragrande alla scienza del giure e ai doveri del magistrato lo distogliesse allora e poi da ogni altro pensiero; fatto sta che le parti politiche non lo numeravano né tra i maestri, né tra i discepoli. Pur nondimeno, sacerdote ch'egli era della Giustizia, torna impossibile che, nei segreti dell'animo, alla patria non augurasse libertà e indipendenza, diritti primissimi di qualchessiasi nazione.
Il decreto reale del 9 settembre 1872 l'ha chiamato al Senato del Regno; ma, comecché alcuna volta egli abbia visitato questa Assemblea, non ha mai rotto il silenzio: a me pareva che, pur assiso tra noi, avesse sempre il cuore e la mente alla sua Corte d'appello.
Le udienze della Corte lunghe e frequenti; la intensità dell'attenzione ond'ei seguitava i referti, e le arringhe degli avvocati; la scrupolosa sottilità che poneva nel computo delle alterne ragioni dei contendenti; le focose premure che lo agitavano per iscansare tutti gli indugi che non fossero in verità necessarî; la smania di assodare e arricchire ogni di più il patrimonio delle sue cognizioni; e sopratutto l'austera abitudine di negare a se stesso la benché menoma distrazione o sollievo da tante cure, non potevano non insidiargli la salute, la vita. Circa due anni addietro, fu tocco d'apoplessia; tra poco, riebbe il senso ed il moto, ma non volle saperne degli ozî che gli venivano consigliati. Coll'usato fervore ripigliava il seggio di Firenze.
Nelle ultime ferie ha risalutata la diletta sua Parma; e quivi, il 24 ottobre, un nuovo accidente di gocciola lo freddò.
Signori, questi sono gli otto colleghi che abbiamo perduto quando il Senato taceva, nel brevissimo giro di quattro mesi, dal 23 di giugno al 24 di ottobre.
Degli altri tre che, riapertesi appena le nostre adunanze, li seguirono nel sepolcro, vorrete permettere ch'io faccia parola in una delle tornate prossime.
Così non corre giorno che non ci dica:.
Vitae summa brevis spem nos vetat inchoare longam. (1).
Così non corre giorno che non ci stimoli ad affrettare i lavori che il Senato porge in tributo al Re ed alla patria.
(1) Horat.: IV, 1,15.

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 17 dicembre 1877.