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CARLE Giuseppe

21 giugno 1845 - 17 novembre 1917 Nominato il 17 novembre 1898 per la categoria 18 - I membri della Regia accademia delle scienze dopo sette anni di nomina provenienza Piemonte

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Giuseppe Manfredi, Presidente

Onorevoli colleghi! [...]
In Torino il 17 novembre è mancato a noi il collega ed a quella Università il professore Giuseppe Carle. Nato in Chiusa Pesia della Provincia di Cuneo, il 21 giugno 1845, in Torino studiò giurisprudenza, e lo studio più specialmente raccolse sulla filosofia del diritto con l'acquisto di tal dottrina, che gli aprì il passo alla Cattedra. In quella stessa Università, nella quale aveva appreso, fu incaricato dell'insegnamento correndo l'ottobre 1872; divenne professore straordinario nell'ottobre 1874 ed ordinario nel marzo 1878 sulla Cattedra della filosofia del diritto. Nel novembre poi del 1885 fu incaricato anche dell'insegnamento della Storia del Diritto. Amato dai discepoli, in pregio fra i colleghi, il professore Carle, fatto il decano della Facoltà di giurisprudenza, ne fu Preside carissimo. Crebbero onore al suo nome le sue opere; delle quali le principali sono: Le origini del diritto romano; La vita del diritto nei suoi rapporti colla vita sociale; La filosofia del diritto nello Stato moderno.Egli traeva da G.B. Vico strettamente connesse la filosofia della storia, la filosofia del diritto e la storia del diritto romano.
Il dotto giurista filosofo meritò la Croce dell'Ordine Civile di Savoia, e di appartenere all'Accademia dei Lincei, oltre che a quella delle Scienze di Torino. Fu membro del Consiglio Superiore della pubblica istruzione. Nominato senatore il 17 novembre 1898, partecipò luminosamente ai lavori del Senato. Ricordansi molti suoi discorsi importanti nelle pubbliche discussioni, l'ultimo dei quali calorosissimo per l'istituzione della Cattedra di Filosofia della storia nell'Università di Roma.
In Torino, fattasi una seconda cittadinanza, si prestò con affetto al Comune, del quale fu consigliere dal 1889 al 1905, Assessore dal 1891 al 1898. Con Torino e con l'Ateneo torinese il Senato si conduole. (Benissimo). [...]
RUFFINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUFFINI. Onorevoli colleghi, gratitudine non peritura e ammirazione sempre vivida di antico scolaro, devozione profonda di collega e affezione calda e commossa di amico m'impongono, in modo imprescindibile, di dire almeno due parole in memoria dei senatori Giuseppe Carle e Lorenzo Camerano, professori entrambi di quella Università di Torino alla quale sempre mi onorai e tuttavia altamente mi onoro di appartenere.
Insieme io li commemoro, non solamente perché ebbero comuni alcuni dei tratti più salienti della loro vita esteriore, che con tanta pienezza ed esattezza di informazione furono di già rievocati dal nostro venerando Presidente, ma ancora perché comuni furono ad essi alcuni tratti intimi della loro personalità, derivati forse dalla loro origine montanara: l'Alpe nordica piemontese per il Camerano, e la montagna meridionale per il Carle. Li accomunava invero certo loro costume semplice, schivo di ogni apparenza, e così nemico di ogni ostentazione, che a volte l'osservatore superficiale avrebbe potuto scambiarlo per un non so che di rozzezza montanara: di quella rude semplicità, che faceva pensare al compaesano dell'uno e amico sopratutti ammirato dell'altro, al grande montanaro Quintino Sella. Ma anche per essi male si sarebbe apposto chi da codesta esteriore apparenza avesse voluto argomentare delle qualità dell'animo loro; perché raramente uomini io conobbi, che più intensamente sentissero il fascino di ogni più sublime ideale, che più intensamente e più caldamente avessero sempre professato il culto del sapere, della bellezza, della giustizia e di ogni progresso civile ed umano.
Ancora un tratto li avvicinava, ed era che entrambi furono maestri molto più grandi forse che scienziati; e quando io questo dico, non intendo punto scemare il merito loro, ma darvi, per contro, il massimo rilievo; poiché io stimo che mai come in quest'ora grave della nostra storia si debba sentire, come sia qualche cosa di infinitamente più prezioso per una nazione l'avere dei grandi maestri che non dei grandi scienziati.
Non sono in condizione, per difetto assoluto di competenza, come voi ben potete intendere, di anche semplicemente adombrare le ragioni per le quali in così alto pregio era ritenuto l'insegnamento dell'indimenticabile collega ed amico Camerano; ma certamente io non posso, anche quale semplice osservatore di fatti, non rilevare che tutta una scuola di studiosi e di scienziati è sorta dalla sua scuola e si è propagata agli Atenei maggiori d'Italia. Ma quanto al Carle, è ben altra cosa; e chiunque fu all'Università di Torino nel decennio che va dal 1880 al 1890 (in quel decennio, voglio dire, ch'è compreso tra le sue due opere maggiori: La vita del diritto e le Origini del diritto romano, opera non di pura filosofia speculativa la prima, ma di storia della filosofia; e la seconda, più che non di storia, di filosofia della storia; e perciò intimamente connesse, non solamente per certa virtuosità di competente in più materie disparate, ma per una sostanziale ragione intima di naturale evoluzione del pensiero e degli studi del Carle); chiunque fu, ripeto, nell'Università di Torino e alla scuola del Carle tra codesti due termini, che furono i più fecondi della sua attività scientifica e didattica, non può non recar testimonianza, che egli vi apparve, nell'ambito delle scienze del diritto, quale il più fecondo ed efficace formatore di mentalità; il più felice plasmatore di coscienze giuridiche; cosicché, quale che sia stata poi la via che gli scolari suoi ebbero a battere, o l'umile via del procuratore di provincia o la via più alta di chi ebbe la fortuna di ascendere una cattedra universitaria, tutti concordi però riconoscevano che colui, che li aveva formati alla vita del diritto, era stato essenzialmente Giuseppe Carle.
In che cosa consistesse cotesta sua virtù di maestro, sarebbe troppo lungo discorso voler partitamente dire. Era soprattutto una vera passione di assurgere alle più pregnanti sintesi; ed era ancora un bisogno irrefrenabile di uscire dalle vie comuni, per cui egli si tenne lontano sempre da tutte quante le correnti che a mano a mano nella vita scientifica prevalsero e, diciamo la parola, furono di moda. Suo costante studio era di riattaccarsi ai nostri grandi maestri, per cui egli ci metteva sempre innanzi Vico, Romagnoli, Gioberti, Mariani, Mancini, ecc., per dimostrarne la grandezza in giusto confronto con gli stranieri. Ed era ancora in lui una perfetta probità di insegnante, per cui ogni lezione sua era come un'opera creata al nostro cospetto. Egli non era un felice e facile parlatore; ma badate bene, che i maestri più efficaci sono coloro appunto, a cui l'espressione del pensiero costa grande sforzo e una fatica quasi fisica. Una qualunque sua lezione, anche la meno riuscita, era lo spettacolo edificante di un onesto sforzo per la conquista di un qualche grande vero. Onde per lui era perfettamente vero, quanto il Lessing, come è noto, diceva di sé: che se Domineddio gli avesse offerta in una mano la verità assoluta e dall'altra l'impeto sempre insaziabile per la conquista del vero, egli avrebbe risposto: Padre, la verità assoluta è per te solo, dai a me soltanto l'amore inestinguibile della verità. Certo, più di un critico potrebbe osservare, ad esempio, che la sua Vita del diritto è tutta dominata da una troppo rigida tricotomia; ma lo scolaro vi trovava una sicura bussola per orientarsi fra tanta congerie di fatti e di concetti. Certo i rigidi specialisti potranno forse appuntare le sue Origini del diritto romano, come pervase da un soffio troppo imperioso di lirismo e di fantasia: ma come trascinati ne erano i giovani, e quale inestinguibile fuoco di ammirazione si accendeva in essi per la vita! Del resto chiunque abbia famigliarità con una qualunque scienza, ed in particolare con le scienze positive, sa che le sintesi provvisorie, le così dette ipotesi di laboratorio, sono, a volte, infinitamente più feconde di bene e di progresso per la scienza, che non le stesse singole verità definitivamente accertate. Questo può forse dirsi pure, in qualche misura, del Carle.
Tratti comuni della loro vita esteriore e della interiore avvicinarono i due venerati e compianti colleghi, Carle e Camerano. Ma un tratto comune fu pure tra di essi nella morte: e quanti nell'ora suprema furono loro vicini ne fecero concorde testimonianza.
Minati, è vero, entrambi da morbo che non perdona; entrambi ebbero però il tracollo dalla sventura immane, che si è abbattuta sulla nostra patria, e che ferì nel più profondo l'essere loro, e lo ha spento. Onde i loro scolari li venereranno in eterno, e per la virtù, che li inspirò nella vita, e per l'angoscia, che il condusse alla morte. (Vive approvazioni). [...]
BERENINI, ministro dell'istruzione pubblica. Debbo portare per la prima volta la mia parola modesta in questo Alto consesso, per commemorare insigni uomini che vi hanno appartenuto onorandolo e ricevendone onore. [...]
DI Giuseppe Carle, di Lorenzo Camerano, non potrei dire di più di quello che ne disse con tanta sobria, semplice, ma completa eloquenza l'illustre senatore Ruffini. Egli accumunò i due uomini per le virtù intime della vita, per le peculiari qualità dell'intelletto, pur a così diversi campi rivolto. Ebbene, egli disse giusto, e giusto tanto più quando affermò che più che scienziati, e scienziati erano per davvero, più che scienziati erano maestri.
Giuseppe Carle non cedette ai facili adescamenti di costruire una scuola filosofica; era comune l'esca alle menti filosofiche ed egli la sfuggì. Poté invece dare una base sistematica alla filosofia del diritto, e tanto più egli lo poté in quanto aveva intelletto temperato fortemente negli studi del diritto positivo; onde quando l'illustre senatore Ruffini ricordò due grandi opere ”Le origini del diritto romano” e ”La vita del diritto in rapporto alla vita sociale” descrisse, così accennando, tutta quanta la vita intellettuale di Giuseppe Carle, il quale non creò, né pensò di dettare alla vita le sue leggi con apriorismi dottrinari, ma trasse dalle ragioni del diritto studiate nella vita, le luci superiori onde la filosofia potesse essere non scienza a se stessa e fine a se medesima, ma larga e feconda ispiratrice di fenomeni sociali e giuridici che da essa derivano, e ad essa si innestano. Questa fu la grandezza dell'attività dell'ingegno di Giuseppe Carle, onde egli poté non fare una scuola, ma fare degli scolari; avere discepoli devoti e riconoscenti al maestro, operosi nella vita, sia che seggano nelle cattedre, sia che dispensino nella attività professionale il sapere che attinsero alla sapienza del loro maestro nella scuola.

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 13 dicembre 1917.