senato.it | archivio storico

CARDUCCI Giosue

27 luglio 1835 - 16 febbraio 1907 Nominato il 04 dicembre 1890 per la categoria 19 - I membri ordinari del Consiglio superiore di istruzione pubblica dopo sette anni di esercizio e per la categoria 20 - Coloro che con servizi o meriti eminenti avranno illustrata la Patria provenienza Toscana

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Tancredi Canonico, Presidente

Signori senatori! Giosuè Carducci non è più fra noi. Il carattere imponente che ebbe il trasporto funebre della sua salma in mezzo alla profonda commozione dell'intera Bologna e della immensa moltitudine accorsavi dal di fuori, l'unanime compianto di tutta Italia e di altre nazioni, sono il migliore suo elogio: sono viva testimonianza del pregio in cui gli italiani e gli stranieri tengono il suo fortissimo ingegno.
Dopo questo, che potrò dire io di lui?
Della sua carriera sociale esteriore, è presto detto. Nato a Val di Castello presso Pietrasanta il 27 luglio 1835, fu professore prima a S. Miniato, poi a Pistoia, poi all'Università di Bologna: sedette breve tempo alla Camera, essendo stato sorteggiato fra i professori eccedenti il numero consentito. Nominato senatore il 4 dicembre 1890, si spense a Bologna il 16 febbraio 1907, dopo aver ricevuto dai concittadini e dagli stranieri largo tributo di ammirazione, di entusiasmo, di altissime onoranze, fra le quali il conferimento del premio Nobel.
Ma dire, anche sommariamente di lui e dell'opera sua come letterato e poeta, È d'altri omeri soma che de' miei.
Inutile enumerare i copiosi suoi volumi in versi ed in prosa, dei quali gli uni non cedono agli altri, né per vigore di concetti, né per altezza d'ispirazione e limpida venustà di forma. Tutti li conoscono. Non farò che trasmettere, come un lampo, l'impressione che nell'animo mio ha lasciato quest'uomo.
Ingegno profondo, tenace, studiosissimo - anima sensibile, appassionata, sdegnosa - Giosuè Carducci alimentò il fuoco che ardeva nell'inferno vulcano del suo spirito con lo studio indefesso della storia e dei classici. Questi si impressero così altamente nel fervido suo cuore, che il primo periodo della sua produzione poetica ne è tutto impregnato. Più tardi, fosse l'effetto, o dei consigli datigli dal Guerrazzi, o dell'evoluzione sua naturale, egli trasformò quel succhio tratto dagli antichi poeti vivificandolo col succhio suo proprio: e ne sorse il vero Carducci in tutta al potente sua originalità.
I versi di lui rispecchiano i vari aspetti della ricca sua natura.
Ora v'intenerisce il cuore, quanto dice al figliuoletto mortogli a tre anni: Tu, fior della mia pianta percossa, inaridita, Tu de l'inutile vita estremo, unico fior. Sei ne la terra fredda, sei ne la terra negra: ne il sol più ti rallegra, né ti risveglia amor!.
Ora vi fa partecipare alle lotte che si combattono nell'animo suo quando, rivolto al mare, esclama: Tirreno, anche il mio petto è un mar profondo, E di tempeste, o grande, a te non cede: L'anima mia mugge nei flutti.
Ora, trasportato dallo sdegno che si desta in lui al confrontare l'eroismo dei fratelli Cairoli con le orgie dei gaudenti, prorompe in uno scatto, nel quale la nobiltà del movente fa perdonare la forse troppo cruda severità della forma: Solingo vate, in su l'urne dei forti Io vo' spezzar la lira: Accoglietemi, udite, o degli eroi esercito gentile; Triste novella io recherò tra voi: La nostra patria è vile!
Caldo un tempo di fede repubblicana, altroché riconobbe che, senza la monarchia, non si sarebbe potuto fare né conservare l'Italia, divenne - e fu sempre di poi - monarchico sincero e convinto. Additando la patria, dice al Re: Questa dolente il suo Cesare chiama:.
e venne la bella ode alla Regina Margherita; e, novello Tirteo, egli incitava l'Italia alle pugne, ne piangeva le sventure, ne stigmatizzava la fiacchezza.
Si può non essere d'accordo con Giosuè Carducci su più di un punto: ma non si può disconoscere la straordinaria potenza della sua musa, l'efficacia della sua parola o soavemente gentile, o satiricamente affilata, o roventemente sdegnosa; tagliente come una spada, pungente come una freccia, tonante come un colpo d'artiglieria, - leggera o scurrile, non mai, perché senza posa tenuta alta dal dolore di vedere la patria abbassarsi moralmente, dal desiderio ardentissimo di vederla nobile e grande.(Bene).
Ben si può dire del Carducci quel ch'egli disse di Vittorio Alfieri, col quale ebbe più di un punto di somiglianza: E trattò il verso come ferreo brando, Vate superbo. Ma, come egli stesso mestamente vaticinava di sé: Tramontano le stesse in mezzo al mare, e si spengono i canti nel mio core.
In verità però, non i canti si spensero: si spense, malgrado la robustezza della fibra, la sua esistenza, logora in gran parte dal lavoro, dalle interne tempeste e dal morbo latente, di quella fibra più forte.
Il poeta che - col verso nitido, meditato e vigoroso del Carducci - sapesse, in una sintesi vivente e sublime, additare all'Italia la realtà del suo stato e l'ideale a cui essa confusamente aspira, svegliarla, commuoverla e sospingerla verso quell'ideale, con l'onnipotenza della fede e dell'amore, tramutando così le angosce di tante anime in gioia e coraggio, sarebbe il vero poeta dei tempi. Vate significa profeta: e il profeta è ad un tempo apostolo.
A te intanto noi mandiamo l'estremo affettuoso saluto, o illustre collega, onore del Senato e dell'Italia, la cui parola ispirata e possente, scevra da mollezze e sdolcinatura, seppe scuotere e far fremere i cuori di una intera generazione. (Approvazioni vivissime).
GIOLITTI, presidente del Consiglio, ministro dell'interno.Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
GIOLITTI, presidente del Consiglio, ministro dell'interno.Dopo la splendida commemorazione del Presidente del Senato, il quale ha.
ricordato la figura di Giosuè Carducci, come poeta e come altissimo carattere, due qualità, che lo fecero uno dei fattori del nostro risorgimento, a me non resta che associarmi al vivo dolore del Senato, per la perdita di un membro che tanto lustro arrecava a questo eminente consesso.
Noi assistiamo con dolore ogni giorno alla dipartita degli uomini, che più hanno contribuito a darci una patria, a formarcela libera, e, speriamo, in poco tempo grande; ma ècon dolore maggiore, forse, che si vede scomparire il poeta della indipendenza e della libertà nostra. (Approvazioni).
Egli è stato soprattutto amante di questa Roma, ed in questa Roma l'altro ramo del Parlamento ha deliberato che debba sorgere un monumento, perché egli è degno di star vicino a Vittorio Emanuele ed a Garibaldi.
Ho perciò l'onore di presentare al Senato il disegno di legge, che l'altro ramo del Parlamento ha già approvato, perché in Roma sia eretto un monumento a Giosuè Carducci. (Approvazioni vivissime).
PRESIDENTE. Do atto all'onorevole presidente del Consiglio della presentazione del progetto di legge per la erezione di un monumento a Carducci in Roma, e propongo al Senato di nominare una commissione speciale, affinché ne riferisca seduta stante.
Voci: La nomini il Presidente, il Presidente.
PRESIDENTE. In omaggio al desiderio espresso dal Senato, chiamo a far parte della commissione i senatori Finali, Mariotti Filippo, Cavalli, Inghilleri e Scialoja.
Prego questi signori senatori di adunarsi subito, perché possiamo oggi stesso discutere e votare il disegno di legge.
SACCHETTI. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SACCHETTI. Dopo le nobili e belle parole colle quali il nostro illustre Presidente ha commemorato il grande poeta che fu collega nostro, e dopo le espressioni colle quali l'onorevole presidente del Consiglio ha presentato il disegno di legge per erigergli in Roma, un monumento, io non posso avere la temerità di aggiungere una parola la quale pretenda o di accrescer pregio alle onoranze tributate a Giosuè Carducci, o di significare un encomio più adeguato all'opera sua.
Di fronte ad una grande figura quale è quella di Giosuè Carducci circondata da un serto di gloria imperitura tessutogli non pure dall'Italia ma da tutto il mondo civile, par quasi che l'omaggio da preferirsi sia il silenzio, come espressione muta di un alto senso di ammirazione e di riverenza; quel silenzio che risponde in qualche modo allo sbigottimento dell'animo nostro quando ci sentiamo incapaci di abbracciare con la mente la immensità di una sventura o di sputare la potenza miracolosa del genio. Questo silenzio è imposto a me più che ad altri. Malgrado ciò io spero che non mi mancherà l'indulgenza vostra, onorevoli colleghi, se oso unicamente di rivolgere un saluto di affetto alla memoria di Giosuè Carducci, come interprete del sentimento dei miei concittadini; di quell'affetto del quale Bologna lo circondò per quasi mezzo secolo e del quale egli in tante occasioni si compiacque e si dichiarò orgoglioso e grato.
Nella città che lo acclamò cittadino di onore e della quale egli si considerava come figlio di adozione, tutto parla ancora di lui, e tra quelle mura si sente alitare ancora lo spirito gagliardo e creatore del sommo poeta. E quella città, famosa per l'antico Studio, e fiera del suo motto ”Libertas” lo piange dal fondo dell'anima perché, ha sentito come rinnovellarsi per l'opera di lui le glorie di un passato lontano: perché ha sentito vibrare, con eletta novità di forma e con insuperabile vigoria di pensiero le note che parevano sopite di verità e di giustizia, e quelle dei ricordi più gloriosi della nostra patria; e perché ha visto quanto fosse ancora vivo intorno alla cattedra sua, il fulgore del celebrato ateneo.
Le onoranze rese oggi dal Senato a Giosuè Carducci recano a tutti gli italiani, e in particolar modo alla cittadinanza bolognese, un altissimo conforto, e saranno fra le tante una delle manifestazioni più ricordate dell'Italia nostra, una delle manifestazioni più care alla mia Bologna (Approvazioni vivissime}.
BUONAMICI. Domando di parlare.
PRESIDENTE, Ne ha facoltà.
BUONAMÌCI. Dopo le meste parole insuperabilmente ben dette dal nostro Presidente, e dopo quanto l'illustre collega Sacchetti, dopo il Presidente, ha esposto, egualmente bene, intorno a Carducci, certo sembrerà un di più ed una parola inutile quella che io vengo a pronunciare in questo consesso sullo stesso doloroso proposito, ma un forte bisogno mi spinge; ed è proprio il bisogno di un saluto, di un ricordo del grande nome di Giosuè Carducci: né mi rivolgo all'uomo o all'italiano di cui ha già fatto ampia testimonianza di grandezza e di celebrità il paese intiero; né al nostro amico indimenticabile, al compagno degli studi giovanili, io non poteva mai negare questa prova della mia amarezza, per la irrimediabile perdita di lui. Non poteva negare il saluto a chi è stato con me per lungo tempo intimamente legato, ed ha tenuto memorabili colloqui di lettere e di scienza.
La mia memoria è sempre viva e fresca di ciò; anzi mi passa per la mente anche in questo momento, come un lampo, come uno sprazzo, l'immagine e la reminiscenza di quelle serate quando in Pisa, e in una piccola e lieta brigata, Giosuè Carducci ci leggeva i suoi primi versi: ed erano quei primi versi che furono poi stampati in un libriccino in S. Miniato, libriccino ora diventato ben raro, ma che io conservo come reliquia preziosa.
In codesto libriccino ci sono poesie stupende, come tutti sanno, forse le più belle del Carducci, se dopo egli non avesse scritto le Primavere elleniche,che sono soave melodia di concetti e di parole, una ispirazione veramente greca, resa perfetta dal Genio italiano, e se tante altre ancor più perfette liriche non avesse composte, i sonetti, alcuni dei quali sostengono il confronto con quelli del Foscolo.
Nelle varie poesie del Carducci si trova innanzi tutto Orazio, che è il suo primo ispiratore, come vi si trova Victor Hugo, e come vi si trovano altri: ma sopra queste ispirazioni ci è sempre il genio italiano che tutto lo domina, imperocché Giosuè Carducci è stato ai nostri tempi grande e perfetto poeta di propria individuale potenza: ed io non isbaglio, come non sbaglia nessuno, il quale dica che dopo Leopardi non c'è altro vero e sublime poeta in Italia che Giosuè Carducci. Egli è l'unico, perché tutti gli altri che tentano avvicinarsi a lui, se veramente si mettono a confronto della sua statura, credetemi, non gli arrivano al ginocchio.
Leopardi, doloroso, e di tutto quasi disperando, ai suoi tempi vedeva la sua patria, schiava ed avvolta in ceppi stranieri e se ne lagnava con accento inimitabile di dolore e di poesia: Carducci invece vedeva risorta la sua patria, e la seguiva in tutte le sue vicende gloriose fino a celebrarla pienamente libera, e, come diceva il presidente del Consiglio, nella prossima speranza di sempre maggiore grandezza. Ecco perché ho chiesto io la vostra tolleranza, signori colleghi, ed al Presidente ho chiesta la parola; cioè perché mi fosse concesso di prestare quest'ultimo saluto all'amico che ricorderò sempre, col quale tante ore e giornate, ho trascorse, mi sia permesso di dire anche questo, nella mia dimora, leggendo e commentando le sublimi ottave di Ariosto, dal quale egli attingeva certo nuova forza, e specialmente quella vivissima frase poetica per la quale è rimasto ai nostri tempi veramente solo ed unico. E poiché ho l'onore di appartenere all'Università, dividerò questo mio compianto e questo mio saluto coll'aggiungere anco a nome dell'Università stessa che essa ha nobilmente ricordato il suo antico alunno, e se ne è fatta una gloria.
Il prof. Cian lesse uno stupendo discorso di storia, di critica, di serio elogio a Carducci, davanti ad ascoltatori numerosissimi e per sincera dispiacenza commossi.
Ed ora vi ringrazio, onorevoli colleghi, di avermi permesso di prestare quest'omaggio all'amico perduto; e vi ringrazio di avermi dato di poter ripetere in questo luogo ed in questo momento solenne, quasi insieme agli altri che mi hanno preceduto nell'onore della parola, che noi dobbiamo lungamente piangere e ricordare quello che l'Italia tutta onora, e non solo l'Italia, ma pure altre nazioni onorano e a lui prestano quanto si può di decoro dovuto al valore della mente, e ad una fama imperitura. (Approvazioni).
PRESIDENTE. Nell'attesa che la Commissione, da me nominata per l'esame del disegno di legge oggi presentato dal presidente del Consiglio, venga a leggere la sua relazione, prego i signori senatori di non allontanarsi dall'Aula.

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 5 marzo 1907.